3
Tavish era un solitario. Lavorava in silenzio, mangiava in silenzio, prendeva la misera paga a fine giornata senza commenti. Non dava problemi e non ne cercava, così che nessuno pareva prestargli attenzione.
Tuttavia Shamira capì ben presto che non era proprio così.
Era normale e accettato come una sorta di legge naturale che a tutti loro toccassero non solo le prepotenze del caporale, ma pure le angherie dei tre diretti sottoposti. Non erano altro che raccoglitori come gli altri, ma grazie alla loro propensione per la rissa e la delazione, erano risaliti nella gerarchia del loro piccolo mondo variegato a livello di sottocapi. Cani da guardia più feroci del loro padrone, non si esimevano dall'insegnare il senso del rispetto a suon di pugni, specie ai colleghi di lavoro meno malleabili, magari colpevoli di aver cianciato pubblicamente di diritti e compensi più dignitosi.
Quanto alle lavoranti, non avevano neppure bisogno di parlare. La loro semplice natura femminile bastava a renderle prede privilegiate di attenzioni moleste e oltraggi. Protestare o ribellarsi, nel migliore dei casi, voleva dire perdere il lavoro. Un lusso che nessuna di loro poteva permettersi.
Così i soprusi si sopportavano come la pioggia, il vento forte e il sole cocente, senza commentare lividi e ferite ingiustificabili nel loro mestiere. Si sperava che passassero in fretta e che non ricomparissero troppo presto. Nulla di più. Le cose andavano così per tutti e tutti lo sapevano, uomini, donne e bambini, senza discriminazione di età, colore della pelle o religione, per chi ne conservava ancora una.
Ma per Tavish no.
La polvere aveva spento e reso indistinguibile ogni cosa di lui. Gli abiti raffazzonati non avevano tinte diverse dalla pelle incrostata o dalla criniera incolta di barba e capelli.
Tranne gli occhi.
Li aveva osservati a lungo Shamira. Certo, lei e Tavish non si parlavano molto, di solito per giorni interi e mai più di tre parole in fila. Ma si guardavano spesso, occhi negli occhi.
Quelli di Tavish erano grigi. No, non semplicemente grigi. Erano come un cielo nuvoloso, indeciso tra uno svogliato meriggio coperto e un pigro mattino piovigginoso.
Ma in fondo, lì da qualche parte, la percepivi la minaccia di tempesta.
E di quella minaccia persino il sorvegliante aveva timore.
Un po' meno i suoi tre scagnozzi, ma solo perché erano stupidi quanto prepotenti. E da quella notte gliel'avevano giurata, anche se erano troppo vigliacchi per farsi avanti apertamente. Bastava che li guardasse in silenzio per spegnere il loro dileggio e farli allontanare come botoli ringhiosi.
Ora, da quella paura latente, Shamira trasse conforto e sostentamento. Scoprì che se stava in fila con Tavish la sua razione di zuppa era più abbondante; se alle sue spalle c'era lui quando ritirava la paga, le toccava qualche monetina in più. Nessuno aveva più osato tormentarla da quando dividevano la stessa tana.
Quasi per naturale conseguenza avevano iniziato a lavorare insieme, con reciproco vantaggio. Con quelle sue mani di bimba cresciuta troppo presto, era diventata abile e veloce nella selezione dei frutti e le gerle si riempivano molto più infretta. Il silenzioso compagno, poi, le sollevava sulle ampie spalle, risparmiandole la fatica maggiore.
Insomma, per la prima volta dopo troppo tempo, Shamira si sentiva quasi felice.
Se solo anche lei avesse potuto fare qualcosa per lui...
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top