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- Che hai tra le mani? -

- È il pranzo per Mastro Kasey. Niamh non è ancora tornata dal mercato e Maire mi ha chiesto di portarglielo al posto suo - spiegò Shamira, sollevando un portavivande avvolto in un canovaccio.

- Aspettami, ti accompagno! – disse Tavish, sparendo dentro al capannone per depositarvi il pesante sacco che portava sulle spalle.

Mastro Kasey era il capitano della Chianca, la torre di avvistamento che vegliava sul golfo di Triana. Protesa sul mare all'estremità del promontorio roccioso, che un ampio pontile di legno aveva mutato in banchina d'ormeggio su cui movimentare agevolmente le merci, la si poteva scorgere da qualsiasi punto del porto.

- Tu lo hai mai visto? - chiese Shamira osservando curiosa il profilo squadrato dell'edificio, perdendosi l'ostile scambio di occhiate tra Tavish e la ciurma di masnadieri di Cormac, intenti a caricare provviste sulla sua goletta.

- Come dici? – disse vago Tavish, che vedendo i gaglioffi distogliere lo sguardo, volse il proprio al lieve ondeggiare della tela turchina che avvolgeva i fianchi di Shamira.

- Il Capitano! Lo conosci? - chiese la fanciulla guardando il ragazzo da oltre la spalla.

Tavish, colto di sorpresa, levò frettolosamente gli occhi, ostentando improvviso interesse per il volo ozioso di un gabbiano.

- Non proprio - tossicchiò imbarazzato. – L'ho visto solo da lontano, mentre scrutava l'orizzonte tra i merli della torre. Però ne ho sentito parlare un po' ovunque. Dicono che abbia solcato in lungo e in largo ogni mare conosciuto. Fino a quando ha deciso di aver navigato abbastanza e ha impiegato tutto il suo denaro per costruirsela - disse accennando all'edificio.

- Mastro Kasey ne ha fatto la sua casa. E la terrazza in cima è diventata la sua nuova tolda - riprese Tavish lasciando la vista del severo fortino, in favore delle due spalle aggraziate che lo precedevano. - Non l'abbandona spesso, ma finisce per saper lo stesso quel che succede fuori e dentro al porto, perché è benvoluto tanto dai trianesi, quanto da chi pratica questa rotta. Grazie alla sua sorveglianza, Triana ha saputo difendersi in modo efficace da parecchie incursioni e, quando c'è nebbia o tempesta, il fuoco di segnalazione che accende là in cima ha tratto d'impaccio più di un natante. Guarda! Deve averci visto arrivare. Ci sta aspettando sulla porta. -

Corpulento e largo di spalle, l'uomo li accolse con un ampio sorriso tra la folta barba nera brinata da fili candidi come sale marino, che gli conferiva un'aria vagamente piratesca. Vestiva una lunga zimarra bruna di foggia marinaresca su una tunica color sabbia, stretta sul ventre prominente da un'alta cinta di cuoio dall'elaborata fibbia d'argento brunito.

- Dunque oggi tocca a voi farmi da vivandieri. È un piacere conoscervi. E soprattutto vedervi in così ottima cera. Quando sei sbarcato da quel peschereccio, ragazzo, non avevi l'aspetto migliore di un relitto abbandonato dalla risacca. E chi lo avrebbe mai detto che quello spaurito ragazzino di Kreen dai capelli rasati, fosse una damigella così graziosa! -

- Mia sorella non ha mai... - iniziò Tavish aggrottando la fronte.

La roboante risata del Capitano interruppe la sua protesta.

- Ragazzo, tener d'occhio quel che succede qui è il compito che mi sono scelto. E non scordo facilmente una faccia, io – disse bonario. - Lo hai dimostrato sul naso di Cormac di essere un bravo fratello. Di sangue o per scelta non sono fatti che interessino la sicurezza di Triana e che sia necessario far sapere in giro – aggiunse strizzando un occhio con aria complice. - E ora venite. Ho appena stappato una buona bottiglia e berla incompagnia dà più soddisfazione – disse varcando la soglia e invitandoli con un cenno della mano sinistra, coperta da un alto guanto di cuoio.

Shamira e Tavish si guardarono interdetti, poi la ragazza strinse più forte il portavivande e si decise a seguirlo.

- Da questa parte – disse l'ospite a metà della rampa di scale che saliva dal piano terra, mutato in magazzino. - Sbarrati dietro la porta, ragazzo. -

La scala sbucava direttamente dal pavimento dell'unico ambiente del piano superiore, che lasciò Shamira senza parole.

La stanza era stata sfruttata in ogni suo angolo esattamente come la cabina di una nave.

Su ognuna delle tre pareti rivolte al mare c'era una finestra, protetta da un'anta a tasselli di vetro piombato e incuneata tra le scaffalature, che andavano dal pavimento al soffitto con il loro schieramento di volumi, rotoli di pergamena e oggetti esotici quanti Shamira non ne aveva mai visti prima.

Alla quarta parete, invece, accanto a un lavabo di ferro battuto, munito di brocca e bacile in terracotta smaltata, era incernierato alle pietre intonacate a calce un tavolo a ribalta, in quel momento sostenuto da una cassa da marinaio e già apparecchiato per il pasto.

Mastro Kasey vi accostò gli sgabelli che teneva disposti sotto a due delle finestre e aggiunse, accanto a una bottiglia polverosa già stappata, un altro paio di boccali presi da una mensola.

Tuttavia Shamira neanche se ne accorse. I suoi occhi erano tutti per il grosso uccello che, davanti alla terza finestra, la fissava dal suo trespolo. Aveva un becco adunco color dell'onice e il piumaggio bruno, salvo che per il ventre candido e per la nobile testa crestata, con una banda scura all'altezza dei lucenti occhi gialli, come se indossasse una maschera.

Ipnotizzata dalla vista del falcone, Shamira fece cadere un attizzatoio dall'estremità ricurva appoggiato all'alto zoccolo di pietra posto al centro della stanza, dove alcuni ciocchi crepitavano quieti.

- Chevalier, ti sei guadagnato un'ammiratrice! - rise il Capitano dando voce al pennuto. - È ora di pranzo anche per lui. Ti piacerebbe accompagnarcelo? - chiese a Shamira.

E senza por tempo in mezzo si sfilò il guanto e glielo offrì. Shamira non se lo fece ripetere due volte.

- Non sarà pericoloso? - disse Tavish, osservandola preoccupato deporre il portavivande per indossare la protezione.

- Chevalier è degno del nome che porta. Non si mostrerebbe mai sgarbato con una damigella. Vero, amico mio? - disse al falco. - Ora chiudi la mano e portala davanti alle zampe - istruì cortese la fanciulla. - Accostala da sotto e... Ecco fatto! Stringi bene i geti nel pugno e tienilo sollevato mentre sciolgo la lunga.

Shamira, che avvertiva la forza della presa degli artigli attraverso il cuoio, serrò le due sottili strisce di pelle fissate intorno ai tarsi, corti e robusti, e osservò il volatile scrollarsi il piumaggio marezzato, dai riflessi bluastri, e lisciarselo con il lucido rostro, mentre il Capitano slegava la correggia che assicurava i geti al posatoio.

- Ha un aspetto così fiero! Come lo avete catturato? -

- Oh, in realtà è lui che ha trovato me - raccontò l'uomo sfiorandogli il ventre con il dorso dell'indice. - Fu sbattuto sulla mia nave durante una tempesta. Era parecchio malconcio e non sapevo se ce l'avrebbe fatta. Ma alla fine sono riuscito a indurlo a mangiare e quando arrivammo in vista della costa, ormai avevamo fatto amicizia. Qui dentro lo tengo legato per la sua sicurezza. Quella si scalda quando accendo il fuoco - disse accennando alla cappa metallica a forma di imbuto rovesciato sospesa sopra al focolare.

Poi, preso l'attizzatoio da terra, lo agganciò a una maniglia del soffitto di travi di quercia, rivelandouna botola, che si aprì lasciando scivolare sino a terra una scala apioli.

- Pensi di farcela a salire con lui sul braccio? -

Shamira sorrise e, agile come un furetto nonostante la gonna, si arrampicò lesta sino alla terrazza della torre.

Chevalier già inarcava le ali e allungava la testa a filo di vento.

- Lancialo! - disse Mastro Casey dal basso.

Shamira levò il braccio verso l'alto e il rapace, spalancate le grandi ali, raccolse il vento salato e spiccò il volo, diventando una macchiolina nell'azzurro nel tempo che la ragazza impiegò per rimettere a fuoco la vista nel riverbero del sole, scoprendo un altro mondo.

Quanto appariva vasto l'orizzonte! E come era diversa la cittadina vista da lì, con le sue teorie di tetti abbarbicati in quello scampolo di costa. E la voce del mare, trapuntata dalle strida dei gabbiani che giocavano nell'aria salsa...

- Tutto bene lassù? - la riscosse la voce del Capitano.

- Io... Sì! Arrivo! - disse Shamira, riempiendosi gli occhi di quella vista e i polmoni di quel vento vivido, prima di tornare a scendere.

- Una vista da mozzare il fiato, vero? - gongolò il loro ospite, con la stessa soddisfazione che avrebbe mostrato se quello spettacolo lo avesse allestito lui stesso appositamente per lei.

- Oh, sì, è così... non so nemmeno come dirlo - sospirò Shamira desolata.

- Se ti mancano le parole, potresti trovarle in uno di quelli - sorrise il Capitano, accennando ai libri che riempivano gli scaffali. - Ci sono storie che potrebbero piacerti. Promettimi di averne cura e posso prestartene qualcuno. -

Shamira, il cui unico esempio discrittura che avesse scorto era nei registri su cui Diarmid teneva i conti dello squero, chinò il capo vergognosa.

- Grazie, ma... mica so leggere io. -

- Se è solo per quello, si può rimediare. Che ne dici ragazzo? - disse rivolto a Tavish - Sei disposto a sostituirmi di vedetta per qualche giro di clessidra, diciamo... un paio di volte alla settimana? Quando hai finito la tua giornata in cantiere, naturalmente.

Shamira trattenenne il fiato. Non avrebbe mai osato chiedere all'amico di rinunciare al meritato riposo dopo le fatiche del lavoro.

- Affare fatto! - disse Tavish con sicurezza.

- E allora è venuto il momento di assaggiare il contenuto di quella bottiglia - rise gioviale il Capitano, versando un boccale e mettendoglielo in mano.

Per poco Tavish non si strozzò quando, sorseggiando il liquido color rubino, fu travolto dal commosso abbraccio di Shamira.

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