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Triana era esattamente come Shamira se la rammentava: un caos di viuzze strette dal selciato sconnesso, affollate di persone, carri e animali da soma in perenne movimen­to, tra case tanto accalcate le une contro le altre che le cime dei tetti parevano chiudersi sulle loro teste sino a inghiottire il cielo.

Erano riusciti a entrare grazie al passaggio offerto da un inconsapevole carrettiere con la vettura carica di agrumi. Probabilmente le guardie di piantone alla porta settentriona­le li scambiarono per dei lavoranti al suo servizio, e fu la loro fortuna. Gli abiti stazzonati li avrebbero sicuramente qualificati ai loro occhi come due mendicanti. Ebbero modo di con­statare dal vivo come quel genere di viaggiatori, quando le male parole non bastavano, fosse tenuto fuori le mura con vigorosa solerzia e solide bastonate.

- Dovremo procurarci al più presto vestiti decenti - disse Tavish aiutandola a scendere appena fuori vista. - Ma prima di tutto ci serve un lavoro. Quel poco denaro che abbiamo non durerà a lungo. -

- Dove andiamo ora? -

- Al porto. Mi raccomando, stammi vicina. -

Una parola. Tutti sembravano avere una gran premura di andar da qualche parte e non si curavano affatto di ciò che intralciava il loro frettoloso cammino. O l'ostacolo era lesto a scansarsi da sé o ci pensavano loro, se non si rivelava più pratico travolgerlo.

Tavish affrontava l'urto di quella marea vivente con la cocciutaggine di uno scoglio ostinato, ma a Shamira, minuta e leggera, toccava sgusciare nella ressa che a ogni passo mi­nacciava di trascinarla via.

Fu nella piazza del mercato che quella corrente eterogenea ebbe la meglio.

D'improvviso i tetti si fecero da parte per lasciare spazio a un cielo gonfio di nubi plumbee. E mentre un sordo borbottio dava il via a uno scroscio violento, se possibile lo spiazzo affollato di banchi e recinti di animali divenne ancor più burrascoso.

- Troviamo un ri... - tentò di gridare Tavish al di sopra del clamore.

Lo schianto lacerante di un fulmine, seguito dal fragoroso scoppio del tuono, si in­ghiottì il resto della frase, mentre una violenta scarica di grandine diede il colpo di grazia alla scarsa pazienza di un branco di maiali, più selvatici che domestici, chiusi dentro un ser­raglio di fortuna nell'attesa di esser venduti. Gli irsuti suini, già innervositi dalla cattività in un luogo tanto affollato e rumoroso, quando si sentirono sferzar la cotica dai chicchi ghiac­ciati, reagirono in massa abbattendo il debole steccato e riversandosi nella piazza.

Fu l'inferno. Gente che fuggiva per sottrarsi ai grugni zannuti delle bestie, gente che li inseguiva tentanto di riacciuffarli, banconi che si ribaltavano urtati dagli uni o dagli altri, il tutto sotto l'infuriare degli elementi.

In quella tempesta esagitata i due ragazzi furono travolti e separati, e per lunghi mo­menti tutte le energie di Shamira furono concentrate nel solo sforzo di non finire affogata in quel magma ribollente. Presa e spintonata come un turacciolo preda dei marosi, la ragazzina venne trascinata nel dedalo delle strade interne dalla folla in fuga e abbandonata come un re­litto nell'andito di una porta sbarrata. Inzuppata ed esausta come la vittima di un naufragio, separata dall'unico amico che avesse al mondo in un luogo quasi sconosciuto, si sentì assai prossima alle lacrime.

Mordendosi il labbro inferiore si costrinse a calmarsi. Non doveva aver timore, Tavi­sh sicuramente la stava già cercando. Doveva solo pazientare e cercare di aiutarlo a trovarla. Ma come? Di certo andare in giro a caso per la città non era il modo giusto. Poi pensò che voleva cercare lavoro al porto: erano diretti lì prima di perdersi. Ecco dunque la risposta: doveva andare là e aspettare.

Riuscì a bloccare un passante quel tanto che bastò per farsi indicare la direzione, poi, visto che ormai era impossibile bagnarsi più di quanto già non fosse, si avviò senza neppure attendere che spiovesse.

Il perdurare dell'acquazzone aveva diradato alquanto il traffico cittadino. Tutto som­mato pochi affari erano tanto urgenti da essere preferibili a un luogo asciutto. Così Shamira giunse al porto piuttosto velocemente. Ora si trattava di trovare un buon posto dove attende­re l'arrivo del suo amico, sospirò camminando lungo la banchina, osservando i battelli on­deggiare inquieti sotto la pioggia. C'erano pescherecci, grosse navi da carico, alcune non troppo diverse da quella che aveva portato lei in quella parte di mondo così ostile e fredda, pensò rabbrividendo negli abiti inzuppati.

Intirizzita e distratta, indietreggiò per guardare meglio un imponente veliero dal ven­tre tondeggiante, finendo per urtare qualcuno alle sue spalle.

- Chiedo scusa - farfugliò intimidita dalla stazza taurina dello sconosciuto.

- E tu come hai fatto a scappare? - le ruggì contro l'individuo agguantandola rudemen­te per un braccio. - Credevi di fare la furba, vero? Muoviti! - inveì trascinandola.

Inutile per Shamira protestare e puntare i piedi. Quando tentò di colpire la mano che la tratteneva con il bastone che le aveva fabbricato Tavish, l'energumeno glielo strappò scagliandolo via, poi le affibbiò un manrovescio che la scaraventò a terra, infine la sollevò di peso e se la gettò di traverso su una spalla come non fosse che una stuoia arrotolata. Il tragit­to fu breve e si concluse sul duro assito di un pontile, tra un cerchio di ceffi inquietanti e un carro pieno di persone. Le bastò un'occhiata per riconoscere nel carico umano un gruppo di propri connazionali, rassegnati e sfiniti dopo un viaggio in mare. Ma fu un altro dettaglio a precipitarla nel panico. Tutti loro portavano intorno alla gola un collare di ferro fissato a una catena, come fossero animali da condure al mercato...

-Maledizione! Questa vi è scappata di sotto il naso, razza di idioti! - inveiva il suo aguzzino. - Lo capite quanto può valere al mercato una bastarda con una pelle così chiara? -

- Ma sei sicuro che sia una delle nostre, capo? - azzardò uno dei guardiani.

- Io detto te che non sapere chi tu sei... - tentò Shamira con un filo di voce.

Al temerario sottoposto toccò una di quelle zampate micidiali che lo spedirono boc­coni sul pontile. Quanto a Shamira si coprì istintivamente il volto tumefatto con le braccia, non appena fece il tanto di guardarla.

- Dimmi, sei di Kreen tu? - la interrogò quasi gentile.

- Sì... - assentì spaventata.

- E chi è il tuo padrone? -

- Io no padrone... -

- Perfetto! Allora adesso appartieni a me. Mettetela con gli altri! - ordinò sbrigativo.

In men che non si dica fu afferrata, trascinata in piedi, strattonata verso l'orrore del collare pronto per lei, spalancato come la bocca zannuta di una belva pronta a ghermirla.

- Tavish! TAVISH, AIUTO! - chiamò disperata.

Poi le fauci metalliche le serrarono il collo e lo strappo violento della catena le mozzò il fiato.

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