19



Aveva tanti volti il mare. Specchio del cielo crestato di spuma. Via d'acqua tra terre lontane. Gigante impetuoso gonfiato dalle tempeste. Mondo sommerso ricolmo di vita. Liquido abbraccio che conforta e sostiene.

Quando l'acqua le era salita intorno, Shamira si era avvinta ancora più strettamente al compagno, la paura che sommergeva tumultuosamente il dolore provato per lui.

- Lasciati andare e non aver timore - l'aveva esortata quietamente Tavish. - Ti terrò io fino a quando non sentirai che è l'acqua a sorreggerti. Rilassati, come se fossi distesa su un prato... Senza irrigidirti... Ecco... così, brava. -

L'acqua aveva raccolto tutto il calore del sole ed era quasi tiepida. La sua carezza l'a­veva avvolta e rinfrancata, lavando via la polvere del viaggio, la fatica, alleggerendole il cuore, ristorandola. In breve imparò a fare a meno dell'ausilio sicuro dell'amico, azzardò persino qualche goffo tentativo di spostarsi muovendo gambe e braccia.

- Molto bene! Con un po' di pratica presto ti confonderò con una naiade - approvò il ragazzo a poca distanza da lei.

- Cosa è naiade? -

- Oh... ecco... è uno spirito delle acque... e tu... le somigli molto - bofonchiò diventan­do di nuovo rosso come per un colpo di sole, tuffandosi e sparendo alla sua vista prima che potesse chiedergli altro.

Shamira sguazzò pazientemente sino a riva, dove si tolse la vesticciola bagnata, la stese su uno scoglio e pensò che forse non sarebbe stata una cattiva idea lavare anche tutto il resto. Persino le scarne capre che allevavano a Kreen avevano un odore migliore dei loro abiti.

Tavish, tornato frettolosamente a recuperare la propria camicia e il coltello, le lanciò appena un rapido sguardo, poi si allontanò a nuoto e si immerse varie volte. Quando tornò a riva, agitò trionfante l'indumento tramutato in un fagotto rigonfio.

Mentre il cielo virava dal pervinca all'indaco, approntarono un falò e un insolito ban­chetto. Il ragazzo aveva svolto la camicia mostrandole il contenuto: una dozzina di ricci di mare dai lunghi aculei bruno-violacei e alcune grosse conchiglie dalla forma irregolare.

- Cerca un paio di conchiglie della grandezza di un cucchiaio... - disse mentre, con somma cautela, tagliava parte delle spine velenose e forzava il rigido scheletro sottostante con il coltello. Con molta pazienza l'amico riuscì a trasformare quelle palle di aculei minac­ciosi in dodici scodelline pungenti, al cui interno spiccava una stella turgida e carnosa di un bell'arancione acceso. Anche le ruvide conchiglie erano state forzate per rivelare le carni ro­sate.

- Attenta a non ferirti con le spine. Prova ad assaggiare... - la invitò raccogliendo con la valva di una vongola quella polpa sugosa, concentrandovi tutta la propria attenzione.

Shamira lo imitò in ogni gesto... e così scoprì che il mare, oltre a numerosi volti, un odore caratteristico, una voce ipnotica e una miriade di colori mai uguali, aveva anche un sapore tutto speciale, dolce e salato insieme. Nel piccolo campo non si udì altro suono che il quieto crepitare del fuoco e il respiro della risacca, finché non rimasero che gusci accurata­mente ripuliti.

- Mare come bosco. Mai senza mangiare se sapere dove guardare - proclamò soddisfat­ta indossando gli abiti ormai asciutti. E lei, che a guardare con attenzione si era ormai abi­tuata, non mancò di notare come finalmente il compagno parve rilassarsi e non rifuggire più la sua vista.

- Io fatto qualcosa che offende te? - chiese mortificata.

- Come dici?- esclamò il ragazzo guardandola stupito.

- Ecco, ora tu parli e guardi, mentre prima tu parli a me, ma guardi dove io non sono. Cosa io sbagliato? -

Per un momento quel rossore improvviso tornò ad accendere il volto del compagno. Eppure il sole era tramontato da un pezzo!

- Non è che mi hai offeso... ma... cerca di capire... non sono certo di legno! - bofonchiò impacciato.

- Tu di legno? Non sei mica albero! -

- Appunto! Non sono un albero, ma un uomo! E tu... tu non sei più una bambina... ma una donna... quasi - borbottò al colmo dell'imbarazzo.

- Oh... quindi io no buona da guardare... - mormorò ancora più delusa.

- Cos... No-no-no, proprio il contrario! - esclamò mentre il suo volto rasentava il por­pora. - Insomma, qui i vestiti non li usiamo solo per ripararci dal freddo... E una ragazza non si spoglia davanti a un uomo, a meno che non sia il suo sposo e abbiano in mente di far dei figli! - sbottò esasperato.

Lo sguardo addolorato della ragazzina mutò improvvisamente di registro, mentre si fissava negli occhi rannuvolati del giovane.

- Tu però fatto - osservò Shamira. - È normale qui per maschio spogliare davanti a femmina che non è moglie? - chiese corrugando la fronte.

Tutto il rossore di Tavish svanì di colpo, lasciando al suo posto un pallore latteo.

La ragazzina si morse il labbro inferiore e senza una parola gli diede le spalle e andò ad avvolgersi nella sua coperta.

- Sha-Shamira... io non ci ho proprio pensato... io...

- Tu pensare che stupida selvaggia, ecco cosa! - lo interruppe lei, guardandolo con oc­chi colmi di pena e indignazione. - No scelto io di venire qui a Lanita. No colpa mia se Ka­dir rubare nostra terra e pioggia non venire per troppo tempo. Però partita lo stesso, perché mia famiglia e mio villaggio può vivere. Anche se partire poteva essere morire nel deserto, anche se barca che portato me poteva andare a fondo come sasso. Tutti trattare peggio che capra, però io cercato di imparare, sempre, perché Shamira non è stupida, anche se ancora non conosce le cose diverse da quelle che lei sapeva. Ma se pure Tavish pensa che Shamira è solo selvaggia ignorante, io... io... -

L'amarezza ebbe la meglio. Le parole cedettero ai singulti inarrestabili di una creatu­ra ferita, e per nascondere il pianto si richiuse nel bozzolo delle coltri. Tavish lo svolse con sorda ostinazione, traendola per le spalle e obbligandola a sedersi di fronte a lui.

- Guardami! - disse prendendo delicatamente quel volto pallido tra le proprie mani, ter­gendo coi pollici le lacrime che le rigavano le guance. - Non ho mai pensato una cosa del ge­nere, mai, mi hai capito? Spaccherei i denti a chiunque osasse anche solo insinuarlo davanti a me. Ma non cambia quello che sono io: uno zoticone ignorante che ha cercato di diventare qualcosa che esisteva solo nella sua testa. Uno zoticone ignorante e molto stupido, che ha dimenticato persino quel poco di buone maniere che han tentato di insegnagli. Non sei l'unica ad avere un mucchio di cose da imparare... - sospirò tentando un mesto sorriso.

Shamira si asciugò risolutamente gli occhi col dorso della mano e sorrise a sua volta.

- Imparare in due è più facile... Però tu prometti! -

- Cosa? -

- Prometti che tu no rompi denti nessuno per cosa così stupida. A Shamira non impor­ta quel che altri dire, se Tavish non lo crede anche lui. -

- Prometto che ci proverò... - disse lui laconico.

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