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E poi ci fu il mare. Comparve come il bordo turchese dell'orizzonte, come se il cielo si fosse raccolto lungo i margini della terra concentrandovi tutti i suoi colori.

Shamira conosceva già quella distesa mutevole. L'aveva accolta con il miraggio della fine della sete dopo l'estenuante traversata del deserto. Ma quell'acqua, amara e salsa, non era riuscita ad altro che a farle dolere le labbra gonfie e le vesciche dei piedi esausti.

Durante la navigazione nel tanfo umido del ventre della nave, il mare si era baloccato coi migranti a suo piacimento, ora dandogli la benigna illusione di un materno cullare, salvo scuoterli un momento dopo come semi in una zucca vuota.

Giunta nel caotico via vai del porto di Triana, il mare era sparito alle sue spalle prima ancora che se ne rendesse conto, dietro le sagome di legno e pietra squadrata delle case più alte che avesse mai visto sino a quel giorno, accalcate le une sulle altre intorno al dedalo di viuzze strette e affollate.

Ora, tra i riccioli di foschia, il nastro di seta turchina pareva sorriderle neanche fosse lieto di rivederla. Doveva fidarsi?

Ci volle ancora l'intera mattinata, una breve sosta tra un fortino di opuntia spinose, di cui saccheggiarono i frutti, e poi parte del pomeriggio per giungere ai bordi scoscesi di una scogliera, affacciata su una falce di sabbia baciata da acque cristalline. Scesero sino alla pic­cola spiaggia percorrendo un sentiero ripido e stretto.

La caletta, riparata dal vento, raccoglieva in un abbraccio tutto il tepore del sole. Sha­mira si accovacciò, lottando con i legacci delle proprie malconce calzature per togliersele e saggiare a piedi nudi la sabbia fine e piacevolmente calda. Era alle prese con un nodo parti­colarmente ostinato quando udì il tonfo. Il leggero bagaglio e gli abiti polverosi del compa­gno giacevano affastellati in un mucchio scomposto sulla spiaggia: lui si stava allontanando dalla riva a vigorose bracciate.

- Che aspetti? Vieni anche tu! - la chiamò quando, fermatosi e volgendosi indietro, la vide in piedi sul bagnasciuga.

- Io non so nuotare! - gridò la ragazzina di rimando, guardando l'acqua diventare improvvisamente profonda a pochi passi dalla riva. Lo vide tornare indietro, ma non fu la flui­da sicurezza dei suoi movimenti a lasciare sconcertata Shamira.

Un dio marino. Ecco l'impressione che ebbe quando, giunto nell'acqua bassa, il com­pagno si levò in piedi, con la pelle chiara stillante di gocce lucenti e la fulva chioma arruffa­ta come una folta criniera leonina. Le ampie spalle e il torace poderoso, i fianchi stretti e gli arti snelli e forti... Il medesimo fisico scolpito dei giovani guerrieri del suo villaggio, perché sì, Tavish era giovane davvero! Lo vedeva bene ora che non indossava quei suoi cenci sfor­mati, ma solo un esiguo perizoma, e la polvere era stata lavata via dall'acqua salata; non do­veva avere molte più estati di quante ne avrebbe avute Naima, sua sorella maggiore.

Quando vide che le tendeva la mano, si accorse finalmente che le stava parlando.

- ... e non c'è proprio da aver paura. Vieni! -

- Dove? -

- In acqua! Non imparerai a nuotare stando a guardarla da lì. Coraggio, ti insegno io! - la invitò con piglio sicuro.

Eppure tutta la sua padronanza parve svanire di colpo quando, come le sembrò natura­le, lei iniziò a togliersi i vestiti. Quel che si scorgeva del suo volto diventò persino più rosso della folta capigliatura, anche se il sole non batteva tanto forte.

- No-no-no! Que-quella è meglio che la tieni! - balbettò con un improvviso accenno di panico dandole frettolosamente le spalle, quando fece per sfilarsi anche la camiciola.

- Come tu vuoi, però... - iniziò lei guardandolo perplessa. Poi la voce le morì in gola.

Sembravano segni d'artigli, come se un animale feroce avesse infierito a forza di un­ghiate per il solo gusto di causare dolore, pensò scorgendo l'intrico di cicatrici che si interse­cavano sulla schiena dell'amico. Poi capì che conosceva solo un tipo di belva capace di in­fliggere sofferenza solo per il gusto di farlo e lo sguardo le si appannò di lacrime.

Tavish, udendola piangere, vinse il ritegno e la sbirciò da sopra una spalla. Capì al­l'improvviso il motivo della sua angoscia e si volse di nuovo, per sottrarle la vista del marto­riato campo di battaglia che portava inciso nella propria carne.

- Per i sette gironi di Kariun, son proprio uno stupido! - imprecò tra i denti sfiorandole le guance umide. - Perdonami, non volevo spaventarti! -

Si ritrovò le sue braccia a collana intorno al collo, la figura acerba di adolescente scossa dai singhiozzi premuta contro il petto. Ammutolito dall'imbarazzo e incapace di trovare parole per consolarla, la sollevò e si inoltrò con lei nel quieto abbraccio del mar della sera.


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