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Tavish aveva guardato il recinto danneggiato e, senza commentare, si era messo all'ope­ra. Un pesante paletto era stato rimosso e trascinato a qualche passo di distanza, men­tre alcune assi erano schiodate: sul legno, ingrigito dalle intemperie, si vedevano ben chiare le tracce della leva usata allo scopo. Senza dubbio uno scherzo idiota per fargli perdere il pur breve riposo concesso a mezzogiorno con una mansione supplementare, decise seccato.

Il capo sorvegliante non c'era quel giorno. Di sicuro Meron aveva colto l'occasione per vendicarsi del loro alterco. Poteva andare peggio, stabilì con quieta rassegnazione. 

Pazientemente ripiantò il paletto al suo posto, inchiodò diligentemente le traverse e poi iniziò a raccogliere gli arnesi nella bisaccia, mentre il corno suonava il suo richiamo al lavoro nell'aranceto.

Il sorvegliante balzò giù dallo steccato, dove se ne era rimasto appollaiato a tenerlo d'occhio sino ad al­lora senza muovere un dito.

- Aspetta! Meron mi ha detto che c'è un altro lavoretto per te! -

- A me no - commentò Tavish laconico raccogliendo la bisaccia e avviandosi.

- Fermati, ti dico! E riporta indietro gli attrezzi! Servono per... -

Il fiato gli mancò di colpo quando Tavish lo atterrò lanciandogli in braccio la borsa. Voleva che glieli restituisse, no? Per quel giorno gli avevano fatto perdere tempo a sufficien­za e pure il rancio, quindi che si contentasseto, decise avviandosi deciso verso l'agrumeto.

Ma quando arrivò all'albero dell'appuntamento, Shamira non c'era. Magari si era at­tardata con l'amichetta, si disse dubbioso guardandosi intorno e cercandola con lo sguardo. Tuttavia, che la giovane compagna non si vedesse da nessuna parte lo impensierì. Non era da lei fare tardi al lavoro. Ma fu la mancanza del solito gruppo di guardiani a fargli correre un brivido gelato lungo il filo della schiena.

- La ragazzina, l'avete vista? - chiese ai lavoranti più vicini con ansia crescente.

- Se n'è andata con quell'altra da un po' - disse uno.

- Dalla parte della fattoria, mi pare - disse un altro in bilico su una scala.

Tavish corse via senza una parola. Il cuore gli premeva in petto come un pugno che tentasse di scavarsi una via d'uscita, mentre lui si aggirava tra gli edifici dell'insediamento come un animale braccato, spaventando a morte un anziano manovale che si godeva il sole del primo pomeriggio, travolgendo due lavandaie col loro carico di panni, facendo imbizzar­rire un cavallo che il maniscalco e il suo garzone si apprestavano a ferrare.

Avrebbe voluto spremere tutta l'aria che gli riempiva i capaci polmoni per chiamarla a gran voce, ma disabituato com'era a usarla non gli riuscì che un rantolo spezzato e incom­prensibile.

E allora si costrinse a tacere, a ignorare il tumulto del proprio cuore impazzito per concentrarsi sui suoni tutto intorno a lui. Fu così che udì la ragazzina.

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