Capitolo 3 - 𝒫𝑒𝓇 𝒪𝓇𝒸𝒽𝒾𝒹𝑒𝒶 𝒻𝒶𝓇ò 𝒹𝒾 𝓉𝓊𝓉𝓉𝑜 - Parte 2


«Almeno sua madre può uscire di casa senza barcollare». Era Diana a parlare e questo irrigidì ancor di più Orchidea. «Sarò pure una pianta grassa come mi chiami tu, grullo, ma almeno io non faccio il giro dei bar per tutta la notte per poi tornare a casa il mattino dopo. Io controllo che mia figlia abbia mangiato o che la sera sia al sicuro nel suo letto. Puoi dire lo stesso di te?»

Il ragazzo scialbo rimase sbigottito da tali parole e, indietreggiando, sbuffò; si voltò e, seguito dal gruppo di amici ridacchianti, che Orchidea non degnò nemmeno di uno sguardo, si allontanò.

Diana, tutta compiaciuta, si sistemò sulla sedia e cercò gli occhi della figlia. Voleva sapere come stava il suo fiorellino bianco, ancora confuso per la scena a cui aveva appena assistito.

«Come...?» sussurrò Orchidea, sentendo un sorriso fiero dentro di sé.

«Conosci quel ragazzino?» domandò Diana con voce pacata.

«È nella mia classe, ma non ricordo il suo nome», ammise la figlia sospirando.

«Beh, io conosco la madre ed è una grande ubriacona. Alle superiori beveva molto spesso e adesso ha la fama di essere una brutta donna», spiegò la madre. Fece una pausa di qualche secondo osservando la figlia, che giocava con la piadina, ancora quasi intera, e continuò: «È sempre così?»

In realtà Diana avrebbe voluto chiedere informazioni più specifiche, ma sapeva che Orchidea non avrebbe risposto, perciò optò per un quesito generico, sperando che non la turbasse più di quanto quel commento avesse fatto.

«La maggior parte delle volte», confessò la ragazza.

La madre sentì all'istante una rabbia profonda e oscura farsi strada nel petto, ma cercò di spegnerla con l'estintore della buona notizia: «Vedrai che le cose andranno per il meglio», disse.

Orchidea alzò i suoi piccoli occhi azzurri e guardò disorientata la madre, continuando a pensare che quel giorno si stesse comportando in modo strano. Diana prese dalle mani della figlia la piadina ormai fredda, sapendo che non l'avrebbe mangiata, e si alzò.

Tornarono alla macchina e, sempre in silenzio, presero l'autostrada verso una destinazione completamente diversa da quella che Orchidea pensava.

Proprio quando l'automobile accostò, la ragazza con la pelle estremamente chiara alzò lo sguardo e vide un palazzo molto distante da quello in cui si trovava il loro appartamento. Quello di Ida.

«Che cosa ci facciamo qui?» esortò confusa Orchidea.

La madre non rispose, scese dall'auto ed entrò nel palazzo, seguita dalla figlia con la pelle chiara; bussò alla porta e la donna con il nome di una guerriera venne ad aprire.

«Ciao, ragazze», le salutò Ida. «Accomodatevi».

Diana entrò con passo deciso, mentre Orchidea si guardò intorno in modo circospetto, osservando un po' la madre e un po' la psicologa. Si diressero nella solita stanzetta, dove però fu aggiunta una sedia pieghevole. Le tre donne si sedettero, ognuna al proprio posto.

«Perché siamo qui?» chiese con tono acido Orchidea.

Diana e Ida si scambiarono uno sguardo d'intesa e si accordarono con un cenno del capo. A quel punto, la prima fece un sospiro e disse: «Siamo qui perché dobbiamo parlarti».

D'un tratto la testa di Orchidea, la ragazza il cui nome sembrava un gioco di parole, venne invasa da così tanti pensieri che dovette abbassare il capo per non far vedere alle due donne davanti a lei il tornado d'angoscia che la attanagliava. Il suo sguardo si posò sulla mano, ancora fasciata per quanto accaduto venerdì sera, così bisbigliò: «È per via di quello che è successo venerdì?»

«Tesoro, ho ricevuto una buona offerta di lavoro», disse con voce agitata Diana. «Un ottimo stipendio e molti benefici, come una casa grande».

«Quale lavoro?» intervenne Orchidea con un pizzico di indifferenza.

«Una scuola materna. Dovrò gestire l'intera scuola», rispose la madre prendendo aria a fatica.

«Quando hai trovato questo lavoro? Oppure te l'hanno offerto?» la interruppe ancora la figlia.

«Me l'hanno offerto di recente e ho accettato. Per entrambe è un'ottima opportunità per ricominciare».

In quell'istante la ragazza dalla carnagione estremamente chiara si ricordò che le due donne avevano parlato prima di quell'incontro e, di conseguenza, una rabbia strana e improvvisa si impadronì di lei. «Non è che c'entra con la telefonata di ieri? Ho sentito tutto. Forse intendevi questo con ha bisogno di aria nuova? Per favore, non sono una stupida», sbottò Orchidea.

«Fiorellino, nessuno pensa che tu lo sia», intervenne Ida, che era rimasta in silenzio fino a quel momento.

«Allora perché mi state trattando in questo modo?»

Le due donne si scambiarono un altro sguardo, questa volta preoccupato, ed erano pronte a dire qualcosa, ma storsero la bocca quando Orchidea balzò in piedi. «Quindi ci trasferiamo? Dove e quando?»

«Domani sera dobbiamo essere in viaggio», rispose a voce bassa la madre. «In Trentino-Alto Adige».

«Domani sera?» ripeté in un turbine di emozioni la ragazza dai lunghi capelli bianchi. «È per questo che oggi abbiamo comprato solo vestiti pesanti?» Fece una pausa in cui, incredula, elaborò tutte le informazioni ricevute e d'un tratto un'inaspettata tristezza le strinse il cuore così forte che la gola le si serrò e dei goccioloni d'acqua le si annidarono sulle palpebre inferiori.

«Perché?» chiese in un sussurro Orchidea, cadendo sulla poltrona.

«Tesoro...» bisbigliò la madre. Diana si alzò e si mise ai piedi della figlia. «Venerdì ho visto quello che in realtà sei dentro in questo momento».

«E che cosa sono?» ribatté la ragazza pallida, sentendo le lacrime rigarle il viso.

«Sei a pezzi, bambina mia», sussurrò Diana portando una ciocca bianca dietro l'orecchio di sua figlia.

«E cosa pensi che possa cambiare trasferendoci?» replicò maleducatamente Orchidea, tirando su con il naso.

«Voglio solo che tu sia...» Stava per dire felice, ma sapeva di dire il falso, perciò continuò dicendo: «... che tu stia bene».

«No. Tu vuoi aggiustarmi, ma non c'è colla al mondo che possa farlo, perché io non sono un piatto o un vaso. Sono una persona», affermò Orchidea, continuando a piangere. «Credo di aver bisogno di aria», constatò dopo aver esalato respiri profondi per qualche minuto.

«Esci sul pianerottolo», propose Ida con la sua solita calma.

«Aspettami in macchina», disse Diana, cercando di non far trapelare attraverso la voce l'angoscia che aveva dentro di sé.

Orchidea annuì e, prendendo le chiavi dalle mani della madre, uscì dall'appartamento.

Non appena sentì sbattere la porta, Diana sbuffò e disse: «Ho fatto un errore».

«Non dire così», la interruppe subito la terapeuta. «Quello che stai facendo è un'ottima cosa. Prima non ne ero sicura, ma adesso sì. Non lo vedi?»

La madre del fiorellino bianco scosse il capo e rimase in silenzio, così Ida continuò: «Ha espresso la sua opinione e i suoi sentimenti. È arrabbiata perché si sente triste e, forse, anche un po' in colpa. È una reazione. Finalmente una reazione. Avresti dovuto preoccuparti se fosse rimasta in silenzio».

«Magari è tutto troppo improvviso. Dovrei rallentare?» chiese Diana.

«Abbiamo rallentato per cinque anni perché temevamo che quell'episodio potesse ripetersi, ma è passato tanto tempo. Questo cambiamento le servirà». Fece una pausa e sospirò. «Sarà una batosta, ma tu devi rimanere convinta delle tue idee. Questo è l'unico modo per aiutarla».

«Per Orchidea farò di tutto», dichiarò la madre prendendo quanta più aria possibile.

SPAZIO AUTRICE

Ciao ragazzi e ragazze!

Come state oggi?

Ho deciso di dividere il capitolo in due parti, perché sul cellulare leggere i capitolo di oltre 4000 parole può stancare, perciò ecco qui la parte 2.

Come lo avete trovato?

Riempitemi di commenti! Voglio sapere le vostre opinioni, purché siano espresse in modo educato.

In questo capitolo otteniamo delle briciole di pane dei temi e iniziamo a capire meglio i nostri personaggi, tra cui la ragazza il cui nome sembrava un gioco di parole.

Vi mostro il prestavolto di Diana:

Grazie per aver letto questa parte del capitolo 3 e se ti piace, non dimenticarti di mettere una .

Sono sempre ben gradite. Un bacio 🌸

Checca B🌻

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