Capitolo 15 - ɪʟ ᴘᴀʟᴀᴢᴢᴏ - Parte 2
Le lancette del campanile della chiesa di San Giovanni Battista scorrevano imperterrite e il sole si alternava con la luna: martedì, mercoledì e giovedì erano passati velocemente.
Le sorelle Maser ancora non si parlavano; il cugino con il taglio di capelli ribelle cercava di mediare la situazione; di Florian si erano perse tutte le tracce, perché non rispondeva alle chiamate o alle visite a sorpresa da parte degli amici e, infine, Orchidea passava la sua pausa pranzo seduta su un gabinetto, proprio come ai vecchi tempi. Tutto ciò finché la piccola Maser, di nome Elisea, non si posizionò davanti alle porte dei bagni ad attendere il fiorellino bianco con le braccia incrociate al petto e uno sguardo deciso.
«Che cosa ci fai qui?» bisbigliò Orchidea avvicinandosi a passo lento e a testa mezza china.
«Il bagno non è un buon luogo in cui mangiare. Anzi, non credo nemmeno che ci sia del cibo lì». La docile pallida rimase in silenzio, così Elisea continuò: «Vieni a mangiare con noi, per favore? Ho cucinato io oggi ed Elenì è più tranquilla».
«Avete risolto?» sussurrò Orchidea a disagio. «Mi dispiace... che abbiate litigato per colpa mia».
«È Elenì che è troppo protettiva ed esagera spesso...»
«Lo siete entrambe... Vi proteggete a vicenda: è come se aveste un collegamento gemellare. Se uno soffre, anche l'altro lo sente... Vi invidio, perché non siete mai sole...» mormorò il fiorellino bianco con un incredibile onestà.
«Non siamo sole, sì, ma neanche libere. Non esiste privacy e, non sai quanto, la vorrei avere....»
«Io penso... che si possa essere liberi anche amando una persona», dichiarò la pallida. «Che sia un fratello, una sorella, un genitore o un amico. Siamo solo... Voglio dire... è una questione di scelte».
Era inconcepibile quello che stava accadendo, perché persino Orchidea stessa si stava sorprendendo delle sue parole. Se era solo questioni di scelte, allora perché lei sceglieva sempre quella che pensava la facesse sentire bene, ma che in realtà le provocava solo il contrario? Perché non prendeva quell'opzione che la faceva sentire leggera come la domenica precedente?
«Sì, è una scelta e sono felice – non fraintendermi – che ci sia mia sorella a guardarmi le spalle, così come io ci sarò sempre per lei, ma una scelta è anche voler esserti amica, perciò lei lo deve accettare... e tu devi scegliere se venire con me o tornare in bagno».
Il fiorellino bianco sospirò e, malgrado quella voglia di rinchiudersi dietro una porta e rimanere sola, accettò, seguendo la piccola Maser fino al solito tavolo in sala mensa, dove c'erano già seduti Cristoph e Elenì.
Non appena si accomodarono, la maggiore delle Maser alzò gli occhi al cielo, ma rimase in silenzio e il giovane bruno si voltò, mostrando uno dei suoi sorrisi più belli. «Come stai, Orchidea?» chiese lui mentre Elisea tirava fuori i contenitori con il cibo e li posizionava davanti a lei e alla pallida.
«B-Bene, grazie... Voi?»
«Stavo meglio prima», borbottò Elenì continuando a mangiare con portamento.
«Io sto bene, grazie», rispose Cristoph.
«Di cosa stavate parlando?» domandò Elisea.
«Di Florian», mormorò il ragazzo.
«Non risponde a nessuno?» sussurrò preoccupata la piccola Maser.
«P-Perché? C-cosa è successo a Florian?» intervenne Orchidea confusa.
Era stata così concentrata sui suoi problemi, che non si era minimamente accorta dell'assenza del biondo. Quello faceva di lei un'egoista?
Era una domanda che si poneva spesso e la risposta che si dava era sì.
«Non sono affari tuoi», replicò Elenì sgarbatamente.
«Smettila», sibilò la sorella minore, tirandole un calcio sotto il tavolo.
«Non riusciamo a contattarlo... Abbiamo provato a bussare o a chiamarlo, ma non risponde... I suoi non ne parliamo. Siamo soltanto preoccupati», affermò Cristoph con un'espressione seria sul volto.
«Ma perché gli dici queste cose?» sbottò Elenì lanciando la forchetta sul tavolo. «Okay. Se volete darle corda, va bene. Ma io non rimango al tavolo con Nicole 2.0».
«Elenì!» esclamò la sorella minore.
«Non chiamarla Nicole 2.0», la difese il ragazzo, ma la cugina non si voleva proprio smuovere da quella sua opinione negativa che si era fatta.
Si alzò e si allontanò a passo pesante, mentre Elisea, lanciando uno sguardo mortificato e chiedendo scusa, cercò di raggiungerla.
«Ma perché ti do ascolto?» borbottò irritata la maggiore.
«Elenì», farfugliò Elisea con il fiatone. «Aspettami».
«No».
«Perché fai così?»
Si fermarono all'altezza della porta della classe quinta, dove c'era meno gente.
«Fare così?» sottolineò Elenì. «Io sono la maggiore e sto facendo il mio dovere. Orchidea non è la persona che dice di essere. Sei troppo...»
«Sono troppo cosa?» esortò Elisea. Sospirò. «Stai vaneggiando».
«Ah, adesso starei vaneggiando?» sbuffò la maggiore delle sorelle coi pistacchi negli occhi.
«Hai preso...?»
«No! Non ti azzardare a dirmi Hai preso le pastiglie? Perché sì, le ho prese». Fece una pausa in cui inspirò ed espirò. «Perché la difendi?»
«Perché non è come pensi tu... Lei non se la tira per niente. È praticamente l'opposto di Nicole e non credi che le tue parole non la feriscano in qualche modo?»
«Ma se ha sempre la solita faccia...»bofonchiò Elenì.
«Se inizi a sputare veleno, sei tu quella più simile a Nicole».
«Elisea...»
«Sai che odio quando litighiamo, ma odio ancor di più quando ti impunti su una cosa con i paraocchi».
«Mi impunto, perché... è sempre muta e altro...»
«Magari non parla solo perché è molto timida?» esortò Elisea con voce esasperata.
«Hai... più o meno... ragione....», borbottò la maggiore.
«Prova solo a parlarci normalemente... è molto matura e comprensiva».
«Sembra che tu e Cristoph mi stiate facendo passare per la cattiva della situazione... Così sono l'unica con cui non parla eh...»
«Forse è perché l'hai aggredita durante la nostra prima vera uscita?»
Elenì mise il broncio e fece spallucce.
«Non ti sto dicendo di fartela andare a genio subito. Solo prova a conoscerla veramente. Non limitarti alle deduzioni...» disse Elisea sbattendo ripetutamente le palpebre. «Ti prego...» aggiunse con voce da bambina.
«Va bene», sbuffò la maggiore. «Mi sento così stupida... Mi daresti un abbraccio?»
«Che cosa diciamo noi?» ridacchiò la piccola Maser.
«Che cos'è un abbraccio se non un sentimento che non si vuol dire a voce?!»
Quello era il loro motto e non c'era nulla di più vero, perché tutti nella nostra vita abbiamo bisogno di un abbraccio. Anche colui che è il più asociale del mondo, almeno una volta nella vita, ne ha bisogno, perché un abbraccio è una connessione, un collegamento che ti permette di caricarti e scaricarti al tempo stesso.
Le sorelle Maser si appoggiarono al muro e si sedettero a terra, iniziando a parlare come non facevano da giorni e mentre loro ridevano di cuore, nella sala mensa c'erano Cristoph e Orchidea che non sapevano come comportarsi dopo la sfuriata di Elenì.
«Mi dispiace...» sussurrò il ragazzo a testa china.
«Di cosa?»
«Per Elenì... Lei è...»
«Ho capito che le sto antipatica. Non ci posso fare molto...»
«C'è molto di più...», mormorò Cristoph.
«Sì, Elisea me lo ha accennato...» disse il fiorellino bianco a disagio.
Il giovane se ne accorse. «Cambiamo argomento dai. Dove sei stata tutto questo tempo?»
«In giro». Fece spallucce e rimase sul vago.
La situazione si stava raggelando, così Cristoph cercò di alleggerire la tensione con la sua solita impertinenza tenera, ma fastidiosa. «Che cosa avete fatto oggi a lezione?»
«Abbiamo parlato delle verifiche di fine novembre e inizio dicembre... e... mettono un sacco di pressione», sbuffò la pallida.
«Che cos'è che ti mette ansia?»
A quella domanda, Orchidea gli volse uno sguardo torvo. «Io ho qualche problema con la tecnologia... infatti in Tecnologia e informatica non supero l'otto».
«Se vuoi posso aiutarti io. Me la cavo abbastanza bene. Proprio come te».
«Come fai a sapere quali sono i miei voti?» esortò il fiorellino bianco.
«Elenì si lamentava...»
«Wow, allora è proprio come pensavo... anzi è peggio... vabbé». Orchidea stava tremando. Odiava essere odiata, ma odiava ancor di più se stessa, perché nonostante si dicesse che non era rilevante il fatto di essere odiata, la sua anima non era mai convinta.
«È perché deve ancora capirti», affermò Cristoph. Già era tutta una questione di comprensione in cui era necessario aprire il portone del palazzo per poter essere capita. Tuttavia quando si da un codice d'accesso a una persona, non si ha mai la certezza di essere apprezzati.
Era di questo che Orchidea aveva paura.
«Ti va di andare allo chalet bar dopo scuola? Così ti aiuto con le funzioni del tablet e ti svelo alcuni segreti?» chiese il ragazzo sfrontato.
«Non... credo...»
«Saremo solo noi due e qualora volessi tornare a casa, ti ci accompagno».
Orchidea voleva accettare. Davvero. Tuttavia aveva paura. Paura di altre parole.
«Saremo solo noi due», assicurò Cristoph.
«Dovrei avvisare mia madre...» sussurrò indecisa lei. Stava cedendo.
«Torneremo a casa per le 18:30. Non oltre. Promesso».
La giovane pallida dai capelli più bianchi della neve accettò l'invito e nel momento in cui il viso di Cristoph prese una luce meravigliata, l'intera sala mensa venne invasa dallo stridio della campanella, che annunciava la fine della pausa pranzo.
Spazio autrice
Ciao Amici!!!
Come State?
Cosa ne pensate di questo capitolo 15?
Ci ho lavorato parecchio su questa metafora del palazzo, perciò che ne dite di farmi sapere cosa ne pensate?
Un bacione grosso
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