Capitolo 13: 𝐿𝒶𝑔𝑜𝓂 - Parte 2
* Off topic * La foto fa schifo, ma sto provando hahahaha
Vi condivido la canzone perfetta per questo capitolo e che riassume perfettamente la coppia di Orchidea e Cristoph
[Dovrebbe esserci un GIF o un video qui. Aggiorna l'app ora per vederlo.]
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Rimasero in silenzio e continuarono il loro percorso, seguendo un sentiero quasi invisibile creato dalle radici degli alberi.
Intorno ai ragazzi c'era solo quiete: i suoni della natura accompagnavano i passi a ritmo e man mano che procedevano in avanti, il sole passava tra i buchi creati dalle foglie, illuminando così il viso dei giovani.
Orchidea ne rimase affascinata.
Cristoph lo notò, perciò sorrise: «Komorebi».
Lei lo guardò confusa, così lui continuò: «È quello che stai ammirando. È il fenomeno del sole che filtra attraverso gli alberi. È una parola giapponese».
«Ne sai davvero tante», sospirò stupito il fiorellino bianco.
«Ne vuoi sentire altre?»
La pallida annuì a testa china. Era curiosa.
«Allora... Mh... Lagom. È svedese e significa non troppo poco, non troppo. Solo giusto».
«È bellissima», rifletté lei, accennando un sorriso.
Lui si voltò e ripeté la sua stessa frase, ma con un'importanza diversa: lei si riferiva alla parola, lui a lei. Si fermarono per qualche minuto.
«Un'altra che mi piace tanto, viene dalla cultura turca. Safak. Il primo scenario visto all'alba, poco prima del mattino»
«Interessante... come certe parole possano rinchiudere un significato del genere... Che cosa ti ha spinto a studiare le altre culture?»
«Non lo so. Forse il mio desiderio di voler cambiare in qualche modo la mia vita», rispose lui ricominciando a camminare.
«Quando hai iniziato a studiarle?» esortò lei.
«Circa in seconda superiore... avevo bisogno di un cambiamento... di una distrazione... A dire il vero, non lo so»
«Perché Nicole non era abbastanza come distrazione?» sbuffò una risata sarcastica Orchidea.
Il giovane dai capelli scuri si irrigidì. «Ti ho già detto la mia opinione su di lei».
«Ma è bellissima dai... Come si fa a non guardarla?»
«Perché sei fissata con la bellezza?» sbottò Cristoph rallentando il passo. «Tu non puoi... minimamente... paragonarti a lei... Tu sei una fata in confronto».
«Beh, mettiamo che sia come dici tu... Se fossi stata brutta, non avresti mai pensato di avvicinarti a me», affermò Orchidea seria.
«Ti ho già detto che l'interiorità è migliore dell'esteriorità», borbottò il ragazzo.
«Sì, ma nessuno può scoprire l'interiorità di una persona, se prima non ci si avvicina e se si è brutti, non se ne fa niente», sbuffò lei. «È questa ormai la società in cui viviamo...»
«Magari non tutti hanno lo stesso canone per valutare quanto uno sia bello», ribatté lui mostrandosi infastidito. D'un tratto si voltò e quella sua azione fece sobbalzare il fiorellino bianco. «Magari io posso trovarti bella, ma il prossimo escursionista che vedremo ti reputerà brutta... ma, a te, cosa importa di una persona che non conosci in confronto a quella che hai davanti?» Deglutì e inspirò. «E che ti vuole conoscere...» aggiunse in un bisbiglio.
Orchidea trattenne il respiro, mentre gli occhi blu lago di Cristoph la stavano divorando, consumando, e la parte più buffa di quel piccolo gesto, era che lei ne era completamente stregata, ammaliata.
Tra i due aleggiava una certa intensità: il mamihlapinatapai, ossia quell'atto del guardarsi reciprocamente negli occhi, sperando che l'altra persona faccia qualcosa che entrambi desiderano, ma che nessuno dei due avrebbe voluto fare per primo.
«Io ti trovo stupenda e sono qui davanti a te». Dopo qualche secondo di imbarazzo, si voltò e riprese a camminare, seguito dal fiorellino bianco, che si sentiva frastornato.
Lei abbassò il capo e si smarrì nei suoi pensieri: il timore di un tradimento era sempre alle porte e questa sua mancanza di fiducia la rendeva costantemente instabile.
«A che cosa pensi?» chiese il ragazzo.
«Ancora non capisco». Scosse la testa. «Perché ti ostini ad essere gentile con me?»
«Ed io non capisco il motivo per cui tu ti ponga queste domande... Che c'è... A Firenze le persone non sono gentili?» ribatté con voce quieta il giovane dai capelli scuri.
«Non ero apprezzata. Mi chiamavano il fantasma o con tutto ciò che gli veniva in mente sul mio nome».
«Non è molto carino».
«Già», sbuffò Orchidea roteando gli occhi. «E, a proposito del mio nome, gliel'ho chiesto a mia madre... il significato intendo... e mi ha spiegato il perché della sua scelta... perciò grazie. Se non me l'avessi chiesto, io non l'avrei mai scoperto».
«Posso saperlo anche io?» fece finta di bisbigliare Cristoph.
Lei rise e poi si fece seria. «È il fiore che mio padre stava portando a mia madre quando stavo nascendo... mio padre è morto, mentre stava venendo in ospedale»
«È una cosa davvero dolce... Cioè mi dispiace per tuo padre...» parlottò lui. «Siamo arrivati», continuò facendo un sospiro di sollievo.
I due ragazzi proseguirono per altri cinque passi, quando all'improvviso si trovarono in un piccolo spiazzo nascosto tra i fusti alti del bosco e uno scenario mozzafiato.
«È... meraviglioso», espirò Orchidea con i fuochi d'artificio negli occhi color zaffiro.
«Sì, lo è». Ancora una volta quel giovane ripeté la stessa frase che disse lei, ma sempre con un significato diverso. Il suo angelo stava brillando più di quanto non facesse già e fu lì che capì: si era innamorato.
Ma come era possibile? Come ci si poteva innamorare di una persona che si conosceva da così poco?
Tra i due c'era qualcosa in più rispetto all'amicizia, un collegamento, un'unione che solo l'ichi-go l'ichi-e poteva spiegare. Cristoph continuava a fissare col cuore in mano quella visione scesa in terra, mentre lei mirava il panorama strabiliante: sembrava quasi essere uscito dal quadro di Monet il tramonto. Il cielo era invaso da una guerra di colori, il sole stava dando i suoi saluti, per poi scomparire dietro le montagne e poco più sotto, si intravedeva il riflesso della battaglia sullo strato superiore del lago di Dobbiaco, nascosto tra le folte chiome del bosco.
Era surreale, ma Orchidea non riusciva a smettere di ammirarlo, quando d'un tratto sussultò: Cristoph le aveva messo le mani sui fianchi.
«Scusa... è che c'è un dirupo e non mi sento bene vedendoti così a rischio».
Lei abbassò lo sguardo e si sorprese nel vedere che mancavano poco più di due passi alla fine del terreno; arretrò e lui interruppe il contatto.
«Ho trovato questo posto qualche anno fa. Avevo bisogno di stare da solo e...» disse poggiando le borse a terra. Fece un passo in avanti e gridò a gran voce: «Di urlare».
Rise e si sentì più leggero. Aveva proprio bisogno di quel pomeriggio e di quel luogo.
«Avanti, vieni», esortò lui con un cenno della mano.
«Perché?» chiese il fiorellino bianco con un'inaspettata gioia nella voce.
«Perché hai gli occhi di qualcuno che vorrebbe urlare e che non lo fa».
Orchidea abbassò immediatamente lo sguardo: quella frase la mise a disagio, solo perché era così vera che non lo ammetteva nemmeno se stessa.
Lui, premuroso e comprensivo qual era, lo capì subito; sorrise e, iniziando a preparare ciò che aveva nello zaino, disse: «Non sapendo cosa ti piacesse, ho preparato un po' di tutto».
«Non mi avevi detto che sarebbe stato un picnic», borbottò lei.
«È un problema?»
«N-no», balbettò la ragazza.
Si sedettero su una tovaglia rossa e iniziarono a mangiucchiare dei pezzi di formaggio. Lui più di lei.
Spazio autrice
Ciao Amici!
Alloraaaaa?
Che ne pensate di questo bellissimo capitolo?
La parte 2 è molto più interessante e manca ancora un parte alla fine del capitolo.... ehehehe tanti scleri vi aspettano.
Mi è piaciuto tanto scrivere questo capitolo, perché sarebbe una delle cose di cui ho veramente bisogno. Sono molto Cristoph in questo momento. Scrivere di lui mi sta aiutando, come spero che leggere di lui vi aiuti in qualche modo.
Un bacione
Checca B
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