Capitolo 13: 𝐿𝒶𝑔𝑜𝓂 - Parte 1
C'erano molti termini per descrivere l'influenza di quel luogo di montagna su Cristoph e lui li adorava tutti.
Numero uno: tenalch. Una semplice parola irlandese, che riusciva a contenere un grande significato in quattro sillabe: il rapporto che uno ha con la terra, l'aria, l'acqua... una profonda connessione che ti rende un tutt'uno con la natura.
Numero due: shinrin-yoku, una parola giapponese, che se tradotta letteralmente significava bagno nella foresta, ma che – in realtà – evidenziava il semplice gesto di fare una visita alla foresta per il relax e il proprio benessere.
Numero tre: dadirri che, dall'aborigeno australiano, indicava il concetto di un ascolto profondo interiore e una consapevolezza silenziosa; un'esperienza di sintonizzazione per comprendere a fondo la bellezza della natura.
Il numero era così grande che era difficile fare una classifica.
Tuttavia ciò che il giovane Cristoph sperava quel giorno era di appurare la sua teoria del ichi-go ichi-e: una volta, un incontro. Un incontro che accade solo una volta nella vita, ricordando di fare tesoro di ogni momento, perché non si ripeterà mai più.
Orchidea era per lui ichi-go ichi-e?
Cristoph continuò a pensarci per tutto il tragitto su quella jeep, che usava di rado e che gli avevano regalato al compleanno, verso casa Fiore, perché – come aveva detto anche Florian – nessuna ragazza gli era interessata così tanto...
Arrivò a destinazione e bussò tutto euforico: non stava più pensando a quello che gli era capitato a casa con i suoi genitori. L'immagine di Orchidea era in grado di fare anche quello...
«Cristoph. Ciao», salutò Diana aprendo la porta.
«Signora Fiore», ricambiò il ragazzo sorridendo.
«Ancora...» sbuffò la padrona di casa alzando gli occhi al cielo per il continuo squillare del suo telefono. «Mia figlia è nella sua stanza... purtroppo, devo rispondere al cellulare. Potresti andare tu? Si trova al piano di sopra. L'ultima porta in fondo al corridoio».
«Certo. Nessun problema», dichiarò il giovane.
Felice di essere di nuovo in quella casa, seguì le indicazioni della madre del suo angelo e quando arrivò davanti alla porta alla fine del corridoio, rimase immobile. Appoggiò il palmo sul legno ruvido, ma non si mosse.
Che si sentisse a disagio per l'incontro del mattino? pensò lui per qualche istante. Scosse il capo e, non lasciandosi demoralizzare, bussò tre volte. Ciononostante non ricevette risposta, così girò la maniglia ed aprì la porta.
Come se fosse stata una scena di un qualche vecchio film, lui la vide e si paralizzò, senza nemmeno più avere la capacità di respirare autonomamente. Lei era raggomitolata su un ripiano vicino alla finestra: stringeva le ginocchia al petto e i suoi occhi cristallini miravano qualcosa fuori dal vetro.
«Orchidea», espirò lui dopo un paio di minuti.
Lei sussultò e, voltandosi, mostrò un'espressione assai stupita. «Che cosa ci fai qui?»
«La nostra uscita», affermò Cristoph sorridendo. «Mi ha fatto entrare tua madre... la stavano chiamando al cellulare proprio quando è venuta ad aprirmi».
«Sì... è piuttosto impegnata».
«Allora sei pronta?»
«Io... non credo... che...» bisbigliò il fiorellino bianco.
«Che cosa?» rise il giovane. «Pensi che, visto che vai da mia madre, non possiamo essere amici?»
Lui ci scherzò, ma era proprio quello che Orchidea pensava: chi sarebbe voluto essere amico di qualcuno che andava da uno psicologo? E se Cristoph avesse letto nella sua cartella?
Lui capì le sue preoccupazioni da come aveva teso il viso, così disse: «Sul serio?»
Il fiorellino bianco fece spallucce.
«Molte persone vanno dallo psicologo e non c'è nulla di cui vergognarsi», dichiarò Cristoph. «Anzi è una cosa molto coraggiosa da fare. Non è da tutti».
«E, quindi, tu mi stai dicendo che vuoi stringere amicizia con me? Una persona malata di mente?» borbottò la ragazza, scandendo tutte le parole una per una.
«Embè... Siamo tutti malati mentali».
Quello affermazione fece ridere Orchidea, la quale si rilassò all'istante e Cristoph fece un passo in avanti. «Allora vuoi uscire con il malato mentale che ti ha salvato la vita lo scorso mercoledì?»
«Solo se lui la smette di dire la parola malato mentale», ridacchiò lei.
«Va bene по уши влюбиться».
«È una delle tue solite parole strane? Che cosa significa?»
«Te lo dirò, quando sarai pronta» mormorò Cristoph in imbarazzo. Quella parola gli era proprio sfuggita. Era stata la sua anima a parlare.
«Lo sono», ribadì il fiorellino bianco.
«Usciamo?» Cambiò discorso lui.
«Sei davvero convinto di questa cosa?»
«Sì, ho tutto in macchina».
«Sai guidare?» chiese sorpresa lei.
«Sì...parliamo durante il tragitto, ti va? Così non ci perdiamo il momento...»
Orchidea annuì e il ragazzo dai capelli corvini assicurò alla madre che sarebbero tornati per sera e che avrebbero mangiato; insieme uscirono di casa, salendo sulla grande jeep di Cristoph.
«Quanti anni hai?» chiese lei non appena il motore fu acceso.
«Ho fatto diciotto anni a marzo», rispose lui.
«E hai già la patente?»
«Ho studiato in fretta e ho trovato buchi giusti alla motorizzazione».
«Dove stiamo andando?» incitò la ragazza, osservando il verde intorno all'auto che diventava sempre più fitto.
«Te l'ho detto: nel mio posto preferito in montagna».
«Ed è così in alto?»
Cristoph non rispose; la guardò e sorrise compiaciuto.
Dopo circa trenta minuti, arrivarono in un piccolo parcheggio nascosto tra gli alberi; il motore si spense e il giovane dai capelli scuri scese dalla macchina. Lei confusa fece lo stesso, ma quando il giovane aprì il portabagagli, il fiorellino bianco disse: «Dove vuoi andare con tutta questa roba?»
«In effetti tre borse mi sembravano tante», sogghignò il ragazzo. «Porterò solo lo zaino e la borsa frigo», aggiunse prendendo le cose dalla macchina.
«È lontano il posto?»
«Non molto», ammise lui, camminando poco più avanti di lei per sgomberare la strada.
Spazio autrice
Ciao amici!
Ecco a voi la parte 1 del capitolo 13. Questo capitolo è molto carico e vi farà sclerare parecchio. Perciò preparatevi.
Grazie per aver letto questo pezzo. Spero di vedervi negli altri.
Un bacio.
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