Capitolo 11: 𝚔𝚘𝚒 𝚗𝚘 𝚢𝚘𝚔𝚊𝚗. 𝚀𝚞𝚎𝚛𝚎𝚗𝚌𝚒𝚊. 𝙽𝚢𝚌𝚝𝚘𝚙𝚑𝚒𝚕𝚒𝚊. - Parte 2
«In sintesi fa la vittima: dice che voi – parole sue – l'avete tradita», bisbigliò la pallida.
Florian scoppiò in una risata, ma Elenì si spostò infastidita.
«Che grulla», disse colui che possedeva gli occhi più chiari del gruppo.
«Che cosa?» sorrise Elisea.
«È un'altra delle tue parole per farci sentire idioti?» aggiunse la maggiore delle Maser.
«In realtà questa me l'ha insegnata Orchidea: significa scemo», affermò il ragazzo dagli occhi cerulei. L'espressione sul viso sottile di Elenì cambiò rapidamente.
«Anche perché la parola di oggi querencia: il luogo da cui viene attinta la forza, in cui ci si sente a casa e altro... Giusto?» continuò Florian e Cristoph annuì.
«Praticamente mio cugino ha una strana abitudine», iniziò a spiegare Elisea. «Ogni giorno ci illustra con una parola nuova e strana».
«Ma davvero?» espirò sorpreso il fiorellino bianco, incrociando lo sguardo del ragazzo con i capelli corvini che ricambiò con un sorriso lucente.
Il gruppo di amici cominciò a parlare con allegria e così Orchidea cercò di isolarsi, stringendosi nelle spalle.
Si guardò intorno e osservò il locale: era mezzo vuoto. Sulla destra, vicino alla porta di servizio del personale, si trovava un lungo bancone in legno scuro, dietro cui lavoravano un uomo e una donna intenti a pulire e asciugare dei bicchieri e dal lato opposto del bar, nascosto dietro un separé di bambù, c'erano le porte dei bagni.
Ne approfittò, cercando di non catturare l'attenzione del gruppo di amici, e ci andò. Non sentiva il bisogno fisiologico, ma aveva la necessità di stare da sola per qualche minuto.
Si bagnò i polsi con l'acqua ghiacciata e fissò il suo riflesso davanti a sé.
Si conosceva quanto bastava per capire che si sentiva in colpa: Florian... Elisea... Elenì...persino il ragazzo fastidioso con cui stava andando stranamente d'accordo di nome Crsitoph, le avevano fatte la gentilezza di portarla in giro per il paese, senza farle sborsare una lira, mentre lei non aveva fatto altro che rimanere nel suo e approfittare del loro pass di ingresso.
Non aveva detto nemmeno una parola eppure quell'uscita non aveva lo scopo di instaurare un rapporto con loro?
Aveva promesso di provarci a sua madre, a Katrin, a Ida, ma ancor di più a se stessa e lo stava facendo davvero.
Ci stava provando. Era il suo corpo a non seguire ciò che il cervello diceva.
Fece un grosso respiro e, chiudendo gli occhi per qualche secondo, sentì la porta del bagno aprirsi. Aveva il cuore in gola, ciononostante si voltò e davanti a sé con le braccia incrociate al petto e un'espressione imperturbabile, vide Elenì Maser. I suoi occhi verde pistacchio non smettevano di squadrarla e Orchidea non sapeva come comportarsi: abbozzò un sorriso, che, però, si spense immediatamente.
«Mi vuoi dire qual è il tuo problema?» disse bruscamente la figlia maggiore della governante.
«In... che... senso?» balbettò il fiorellino bianco.
«Credi anche tu che siamo dei provincialotti? Non siamo abbastanza per te? Siamo troppo campagnoli per meritarci delle tue parole spontanee?» sbottò inspirando. «Senti... a mia sorella piaci e se vuoi continuare davvero questa farsa, permettimi di avvisarti: se provi, minimamente, a ferirla in qualche modo, con una parola, un gesto o persino con un solo sguardo... dovrai vedertela con me»
«Io... non... voglio ... farle del male» bisbigliò Orchidea.
«Può anche darsi, ma le persone danneggiano involontariamente gli altri e, seppur non lo facciano apposta, quello rimane rotto. Guasto. Perciò. Stai. Attenta».
La minaccia si concluse; lei si girò ed uscì dal bagno per raggiungere il resto degli amici con un atteggiamento completamente diverso. Era tornata dolce.
Che cosa è successo di così grave alla piccola Maser da costringere la maggiore, che si era dimostrata molto gentile all'inizio, a comportarsi in quel modo? pensò il fiorellino bianco.
E in quel momento che cosa avrebbe dovuto fare? Cosa avrebbe voluto fare?
Il corpo le chiedeva di correre via, lontana da quel luogo e da quelle persone e la testa era pienamente d'accordo, ma il ricordo distante della promessa fatta alla madre nei primi giorni a Dobbiaco, si presentò come il sole alle prime luci del mattino.
Poi Diana, sua madre, aveva avuto la terribile idea di invitare il gruppo a cena, annullando di conseguenza il suo appuntamento con Katrin, la sua terapista, e così facendo la docile pallida si sentì ancor più in trappola.
Non poteva andare da nessuna parte.
Iniziò a contare i suoi respiri e arrivata al numero cinquanta, tornò sconsolata al tavolo.
«Il sole sta tramontando. È meglio avviarci. Orchidea, sei sicura della cena?» domandò Florian.
«Sì», mormorò lei. Anche perché non poteva dire altrimenti.
Arrivarono a casa Fiore quando l'intera valle fu coperta dall'ombra delle montagne; Diana aprì la porta con un sorriso gigante stampato sul viso e disse: «Siete arrivati giusto in tempo. Devo tirare fuori il pollo dal forno».
Il gruppo di amici entrò in casa e si diresse nella sala da pranzo, proprio vicino alla cucina. Il grande tavolo era imbandito di tutto ciò che in teoria dovrebbe essere usato solo durante le feste: a quanto pare la madre del fiorellino bianco si era lasciato trasportare dall'euforia di quella cena, ma dal suo punto di vista... non era abituata all'idea che la sua bambina avesse degli amici e così in via precauzionale aveva proposto quell'incontro per far agire il suo sesto senso da mamma, che non era mai riuscita ad usare. Doveva capire se quelle fossero delle persone corrette e, soprattutto, doveva verificare che non fossero come Marco Tassoni, quel giovane bambino, ormai adolescente, che aveva sottovalutato all'epoca.
Non appena il pasto fu servito, i ragazzi si sedettero al tavolo: aspettarono che la padrona di casa prendesse posto per prima a capotavola e, vedendo poi che la figlia si era messa al suo fianco, ognuno di loro prese una sedia a caso. Tranne Cristoph, che si impiantò proprio di fronte a Orchidea: voleva vederla e osservarla da vicino e quello era una buona occasione per farlo. Florian prese posto accanto a lui con Elenì, mentre la piccola Maser si mise vicino al fiorellino bianco.
«Lo mangiate tutti il pollo, vero?» esortò Diana. «Non ho pensato che magari qualcuno di voi fosse vegetariano o vegano».
«No, è perfetto, signora Fiore», sorrise il ragazzo con le olive negli occhi. «Nessuno di noi è vegetariano e vegano... Ma grazie dell'ospitalità davvero».
«Oh, ma non è nulla. Sono contenta di vedere i nuovi amici di Orchidea», dichiarò la madre. «Allora, che cosa avete fatto oggi?»
Nessuno rispose, così Diana spronò: «Elenì?»
«Abbiamo fatto un giro per il paese», replicò la ragazza dai capelli castani.
«Dove siete stati?» sollecitò la donna robusta.
«Al castello Herbstenburg e alla chiesa San Giovanni Battista», mormorò Florian.
«E, poi, siamo stati un po' allo chalet bar», aggiunse Cristoph.
«È quel bar dove ci siamo fermate, tesoro?» domandò la madre del fiorellino bianco, che si limitò ad annuire.
«Ah, davvero?» borbottò Elenì alzando un sopracciglio. «Orchidea non ce lo aveva detto...»
«È davvero un ottimo pollo, signora Fiore», mormorò Elisea, cercando di distogliere l'attenzione dal commento acido della sorella.
«Oh, suvvia. Chiamatemi Diana», dichiarò la padrona di casa. «Grazie, Elisea cara. Di dove siete, ragazzi? Dove abitate?»
«Io abito qui accanto. Sono un vostro vicino», rispose Florian sorridendo.
«Oh, davvero? Sono contenta. Pensavo fosse disabitata», borbottò Diana.
«I miei non sono quasi mai a casa», spiegò il biondo, storcendo la bocca.
«Io abito vicino al castello... al confine con il bosco», disse il ragazzo dai capelli corvini.
«Noi in Piazza... vicino alla fontana», borbottò Elenì stringendosi nelle spalle.
«Mi scusi...dove si trova il bagno?» chiese ad un tratto Elisea.
«Cavoli... non ne abbiamo qui sotto. Puoi usare quello della camera degli ospiti. Tesoro, la puoi accompagnare?» domandò la donna robusta dagli occhi smeraldo.
Orchidea annuì e guidò Elisea fino al bagno del secondo piano.
«È qui dentro. Ti aspetto qui fuori», dichiarò il fiorellino bianco, appoggiandosi al muro di mattoni. La piccola Maser fece un cenno col capo e entrò, così la ragazza dalla carnagione estremamente chiara e il cui nome pareva solo un gioco di parole ebbe modo di respirare da quella cena che le sembrava una cosa tremendamente forzata. Una montatura. Sapeva bene che quel gruppo di amici non sarebbe mai stato il suo, visto anche quello che le aveva detto Elenì nel pomeriggio. Molto presto anche gli altri l'avrebbero pensata allo stesso modo.
Ma perché sto pensando a queste cose? pensò Orchidea, camminando avanti e indietro.
Elisea era ancora dentro la stanza degli ospiti; così lei ne approfittò per fare un salto nella sua camera, che in quel momento era l'unico luogo in cui avrebbe voluto stare.
Si fermò al centro, sul tappeto scuro, tra il divano e la televisione, e facendo dei grossi respiri, guardò fuori dalla finestra il buio che diventava sempre più scuro e profondo.
«Nyctophilia», mormorò una voce quieta alle sue spalle dopo qualche minuto di quiete.
Orchidea si voltò e vide la piccola Maser vicino alla sua porta. «Che cos'è?»
«Me l'ha insegnato mio cugino: è una parola inglese che esprime l'amore per l'oscurità o la notte, trovando così un po' di conforto in quel buio».
La ragazza pallida rimase immobile. Non sapeva cosa dire.
«Scusa, ho visto che fissavi fuori dalla finestra e mi è venuta in mente quella parola», parlottò Elisea.
«È molto bella», dichiarò lei. «Come... come stai oggi?»
«A me piace l'oscurità», affermò la piccola Maser. «È l'unico luogo in cui non mi sento giudicata e...»
«Ma... tua sorella... Cristoph... Florian... loro non lo fanno. Anzi mi sembra di capire che ti difendono anche bene», mugugnò incredula Orchidea interrompendola.
«Loro e, soprattutto, mia sorella esagerano alle volte: so che lo fanno per il mio bene, ma è tutto un po'... eccessivo. Diciamo che la mia vita è più a terra di una gomma bucata al momento», affermò la piccola Maser, mentre la ragazza pallida scuoteva il capo, così continuò: «Credi che non l'abbia notato e che non abbia fatto quattro più quattro?»
«Come scusa?» esortò il fiorellino bianco. Il suo corpo tremava tutto, perché si aspettava le stesse parole che la sorella maggiore le aveva gettato a dosso nel pomeriggio.
«Nicole ha detto che ti nascondi in bagno per tutta la pausa pranzo. Ogni giorno. Non hai toccato la tua cioccolata oggi pomeriggio e stasera non hai nemmeno toccato il pollo che ha fatto tua madre. Presumibilmente non riesci a mangiare davanti agli altri... Poi... ti sorprendi se le persone si ricordano il tuo nome e rimani sempre distante dagli altri... sì, molto probabilmente... hai - di sicuro - una storia alle spalle, che ti fa comportare involontariamente in questo modo», fece una pausa e sul suo viso balenarono diverse emozioni. Rabbia. Tristezza. Solitudine. Amarezza. «Io sono gay e diciamo che dopo il mio coming out, che pensavo fosse la cosa peggiore da affrontare oltre al mio aspetto, la mia vita è andata a pezzi: mio padre ci ha lasciate e la mia famiglia è caduta in miseria, costringendo mia madre a trovarsi un lavoro...»
«Perché... mi... stai dicendo tutto questo?» balbettò Orchidea.
«Perché io sono una persona che spera. Sempre. Anche quando sono nel più buio dell'oblio», dichiarò Elisea. «E, tu, mi hai colpito in un certo senso. Ti ho visto uscire da casa di mia zia un paio di settimane fa... allora non sapevo chi tu fossi, ma il tuo aspetto non è facile da scordare».
Il fiorellino bianco impallidì più di quanto già non fosse e sentì un orribile capogiro invaderle la testa e il corpo.
«Tranquilla. Non dirò nulla agli altri, però cazzo! Sempre i più sensibili stanno male, è questo il nostro destino?»
La ragazza dalla carnagione estremamente chiara non rispose: era stupefatta da come quella giovane adolescente, sebbene la poca confidenza condivisa, si fosse aperta a lei. Aveva detto delle cose che erano tutt'altro che leggere: argomenti delicati e ancora fin troppo sottostimati. Tematiche che scatenavano sempre delle polemiche, ma non quelle di Orchidea. Lei era sempre stata dell'idea che ogni essere umano meriti rispetto, indipendentemente da chi si è voglia amare o essere.
Il fiorellino bianco accennò un sorriso e così Elisea, ricambiando e mostrando – finalmente – quella risolutezza che aveva fatto vedere e sentire tramite quel «basta» detto a Nicole quando l'aveva sbattuta a terra, disse: «Credo sia meglio scendere. Che ne dici?»
Orchidea annuì; insieme scesero le scale e tornarono nella sala da pranzo, dove Diana e gli altri stavano ancora parlando vivacemente.
«Sì, davvero. Mio padre è stato davvero contento di poter arredare una casa per una famiglia stabile. Qui ci sono molti turisti e pochi residenti», ridacchiò Florian.
«Stai bene?» bisbigliò Elenì non appena la piccola Maser si sedette. Lei l'assicurò con un cenno del capo, ma non ne fu convinta, così passò il suo sguardo sul fiorellino bianco, il quale abbassò immediatamente la testa.
«Orchidea, tesoro... il tuo amico Cristoph mi ha raccontato dei vostri piani per domani», mormorò contenta la madre.
«Che piani?» balbettò la ragazza pallida.
Improvvisamente la conversazione venne interrotta bruscamente dallo squillare del cellulare di Diana; lei si alzò e, dando un'occhiata, si scusò: «Devo per forza rispondere. Tesoro, potresti sparecchiare?»
«L'aiutiamo noi, molto volentieri», intervenne Florian.
«Siete davvero gentili, ragazzi», ricambiò sorridendo la madre allontanandosi.
Il gruppo di amici si alzò da tavola e, mentre ognuno di loro iniziò a fare qualcosa di utile, Orchidea andò a prepararsi la postazione per lavare i piatti.
«Davvero non te lo ricordi?» chiese ad un tratto Cristoph, posando delle stoviglie nel lavello.
«Che cosa?» esortò lei confusa, senza incrociare il suo sguardo.
«Beh mercoledì hai accettato di venire con me nel mio primo posto preferito».
«Pensavo... fosse solo uno scherzo, perché ti sei lamentato quando ho invaso la tua riva», farfugliò il fiorellino bianco.
«Ci porto solo chi merita e, poi, ti ho salvato la vita, ricordi? Me lo devi», ridacchiò lui.
«Ma dove andremo?» domandò lei contrariata da tutto quel mistero.
Alzò lo sguardo e incrociò i suoi occhi azzurro lago. Si incantò; fece dei piccoli respiri per qualche secondo e rimase in attesa di una qualche risposta, ma anche Cristoph si era imbambolato. Quasi per magia, nessuno dei due si mosse. Nessuno dei due voleva staccarsi da quella connessione che pareva irreale.
Scossero entrambi la testa quando sentirono le risate soffocate di Florian, provenienti dalla sala da pranzo li accanto, che li osservava di nascosto.
«L'importante è che tu ti faccia trovare pronta per le cinque e trenta», ammiccò il giovane dai capelli ribelli.
Spazio autrice
Ciao ragazzi e ragazze!
Come state oggi?
Ecco a voi la fine del capitolo 11.
Come lo avete trovata? Conoscevate le parole citate?
Riempitemi di commenti! Voglio sapere le vostre opinioni, purché siano espresse in modo educato.
In questa parte scopriamo qualcosina in più su Elisea. Nei prossimi capitoli ne arriveranno delle belle!
Grazie per aver letto questo capitolo e se ti piace, non dimenticarti di mettere una ⭐.
Sono sempre ben gradite. Un bacio 🌸
Checca B🌻
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