Capitolo 1 - 𝐿𝒶 𝓇𝒶𝑔𝒶𝓏𝓏𝒶 𝒾𝓁 𝒸𝓊𝒾 𝓃𝑜𝓂𝑒 𝓈𝑒𝓂𝒷𝓇𝒶𝓋𝒶 𝓊𝓃 𝑔𝒾𝑜𝒸𝑜 𝒹𝒾 𝒫𝒶𝓇𝑜𝓁𝑒
È quasi impossibile descrivere l'umore di una persona non appena apre gli occhi: come ci si sente? Che emozione si prova?
È questo che la ragazza si domandava sotto le pesanti coperte del suo largo letto.
In che modo ci si sarebbe dovuti sentire? Felici? Tristi? Spaesati?
La ragazza dalle docili membra scansò le coperte color porpora, si mise a sedere, procurandosi il primo giramento di capo della giornata, e si vide per sbaglio allo specchio. I capelli le si erano annodati completamente e il suo viso pareva più pallido del solito.
Che cosa doveva fare per sembrare come tutti gli altri?
Si mise in piedi, stropicciandosi quei suoi piccoli occhi chiari, e si diresse in bagno. Ancora una volta, il suo sguardo si posò sul suo riflesso: sotto gli occhi le si erano formati due grandi solchi. Era stanca, molto stanca, e lei sapeva bene il perché. La luce del sole fiorentino invadeva ogni angolo della casa come se questa gli appartenesse, ma alla ragazza di cognome Fiore non piacque. Le dava fastidio il sole, perché questo le procurava diversi problemi. Il primo era dovuto alla carnagione estremamente chiara, che al contatto con la luce solare arrossiva all'istante; il secondo era sempre di carattere fisico: gli occhi le lacrimavano spesso a causa dell'eccessivo dolore. Infine il terzo, quello che la faceva patire maggiormente, era ciò che il sole rappresentava quando usciva dalla coltre di nubi. Quando il cielo era totalmente privo di chiazze scure, incantando tutti i fiorentini con il suo azzurro limpido, la ragazza – il cui nome pareva solo un gioco di parole – si nascondeva. Non che il sole le fosse veramente nocivo, ma quando camminava nei lunghi corridoi della piccola scuola superiore sentiva sempre delle battutine che mettevano in relazione il sole, il suo nome e il suo cognome. «Ehi, Fiore! Stai facendo la fotosintesi?» «Attenti che a breve cresce!»«Mi dai un po' d'ossigeno?»
Queste cose succedevano almeno cinque volte a settimana, ovvero tutti i giorni previsti dal calendario scolastico – che a Firenze erano quasi sempre assolati –, mentre il weekend lo passava in casa, anche se avrebbe preferito rimanere all'aperto ma da sola. Lei stava meglio quando era sola. Non se ne era reso conto ancora nessuno, ma quando rimaneva sola la ragazza il cui nome era un fiore riusciva a respirare come un essere umano normale.
Un forte colpo alla porta del piccolo bagno risvegliò la ragazza, che era caduta in uno stato di trance, e la fece smuovere.
«Adesso esco», sussurrò la ragazza.
Lavandosi il viso, cercò di ravvivare quelle guance scarne, che raramente diventavano rosse, e uscì portando con sé la sua grande spazzola nera. Rientrò nella sua stanza e, sedendosi sul letto, iniziò – o almeno provò – a districare i nidi di rondine che aveva sulla testa. La camera della ragazza il cui nome sembrava un gioco di parole era molto ristretta; insomma, era degna della sua padrona! Un grande letto con una testata in ferro era adagiato alla parete nord della stanza; alla sua sinistra c'era un comodino in legno con una lampada semplice, un portagioie, un quadernino e una penna, mentre dall'altro lato della stanza giaceva una scrivania nera sulla quale poggiavano diversi quaderni e fogli sparsi, un armadio a specchio, nel quale erano appese le solite quattro camicette che alla ragazza il cui cognome era Fiore piaceva indossare abbinandole a qualche gonna a sbuffo e magari a qualche pantalone, e la libreria, l'unica cosa nella stanza che fosse in perfetto ordine.
Dopo aver districato i capelli biondo platino, rendendoli nuovamente lisci, ed essersi truccata leggermente, la ragazza indossò una camicetta celeste e una gonna bianca, cercando di nascondere il pallore delle sottili gambe con delle spesse calze nere. Prese il suo zaino e raggiunse la madre, che stava preparando la colazione in cucina.
«Sei scesa, finalmente!» borbottò la donna, voltandosi.
«Scusa, mamma», bisbigliò la ragazza abbassando il capo. Poi si sedette al tavolo, risalente all'era preistorica, e sospirò.
«Non ti senti bene, tesoro?» esortò la madre con uno sguardo inquisitorio. «Sei pallida».
«Mamma, sono sempre stata pallida», ribatté la ragazza.
La madre le diede un piatto con un uovo all'occhio di bue e lasciò la stanza. La ragazza il cui nome era un fiore ne fu grata. Non capitava spesso che la madre la lasciasse sola, ma accadde; così riuscì a mangiare mezzo uovo, evitando che le venissero i capogiri per almeno due ore.
Arrivò a scuola, accompagnata dalla madre, e seguì una lezione dopo l'altra, cercando di rimanere da sola il più possibile.
La ragazza il cui nome era un fiore aveva imparato a stare da sola ben presto: le persone intorno a lei avevano iniziato ad allontanarla non appena era diventata larga come sua madre, ma anche allora, quando era cambiata totalmente fino a stare male, la situazione era rimasta la stessa. Si era semplicemente abituata agli sguardi indiscreti e alle parole taglienti, che fossero per il suo aspetto fisico, prima ingombrante e adesso quasi inesistente ma pur sempre pallido, per il suo nome, per il suo cognome o per le abitudini diverse da quelle dei coetanei, il cui passatempo preferito era ubriacarsi la sera in Piazza del Duomo.
Uscì dall'istituto scolastico che erano le due passate. Voleva evitare la mandria di ragazzi della sua età, così, curvando la schiena e abbassando il capo, cercò di passare inosservata fino alla fermata dell'autobus.
La ragazza il cui cognome era Fiore era nata a Firenze circa diciassette anni prima e aveva sempre vissuto nella splendida città di Lorenzo il Magnifico con un certo sdegno, nonostante amasse l'arte con tutta se stessa.
«Ehi, Fiore!» disse qualcuno alle spalle della ragazza dai lunghi capelli biondo platino. Lei si voltò per educazione, ma rimase a testa china, alzando soltanto gli occhi. Vide davanti a sé una sua compagna, di cui, nonostante fossero in classe insieme da anni, non ricordava il nome. Aveva un aspetto simpatico e pulito, ma aveva un sorriso tirato, fin troppo tirato. «Come stai?» chiese la ragazza a colei che di cognome faceva Fiore.
In realtà a nessuno interessava la risposta, ma tutti le facevano quella domanda prima di chiedere quello che in realtà volevano. Lei ci era abituata, perciò si limitava a osservare e a ricordare i gesti più che le parole.
«Bene, e tu?» mormorò la ragazza che di cognome faceva Fiore.
«Bene, grazie», sussurrò l'altra. «Senti, hai preso gli appunti di geometria?»
Ovviamente, pensò la ragazza il cui nome e cognome parevano un gioco di parole.
«Sì, va bene», si lasciò sfuggire Fiore. «Scrivimi sul cellulare e te li mando quando arrivo a casa».
La ragazza dall'aspetto simpatico annuì e, allontanandosi, tornò dal gruppo delle sue amiche, mentre la ragazza dai capelli biondo platino nascose uno sbuffo di fastidio.
Non era sorpresa: era sempre stato così. Ovunque andasse, chiunque fosse, qualunque aspetto avesse, le persone la usavano.
La ragazza il cui nome era un fiore si distrasse – o almeno cercò di farlo – contando il numero delle macchine che le passavano davanti, perché di solito contare l'aiutava a non pensare ad altro. Quando arrivò l'autobus salì e, invece di sedersi, si mise attaccata al vetro dell'autista, provando a ignorare i ragazzi che schiamazzavano in fondo.
Scese alla nona fermata e camminò a passo svelto, per quanto quelle docili gambe riuscissero a fare, fino al grande edificio scuro e vecchio, che ormai le era familiare. Rimase immobile per qualche secondo e per la prima volta quel giorno alzò lo sguardo, sentendo arrivare un altro capogiro.
L'edificio era enorme, pieno di finestre rettangolari divise in tre colonne, e l'entrata, situata a pochi metri dalla ragazza che di cognome faceva Fiore, era contornata da una finta edera verde, che rendeva il tutto più rustico.
Oltrepassò il portone, avvertendo il solito peso nel petto che la affliggeva il venerdì di ogni settimana, e un leggero vento di fine settembre la fece rabbrividire.
Salì le scale e, proprio quando stava per poggiare il dito sottile sul campanello rettangolare e bianco, la porta si aprì.
«Ciao, Orchidea! Entra pure. Ti stavo aspettando».
SPAZIO AUTORE
Ciao ragazzi e ragazze!
Come state?
Ecco a voi il primo capitolo. Come lo avete trovato? Riempitemi di commenti! Voglio sapere le vostre opinioni, purché siano espresse in modo educato.
Ricominciare a scrivere su Wattpad dopo quattro mesi fa strano, perché mi mancavate tutto sommato.
Se vi va, seguitemi su Instagram dove pubblico tanto frasi e spoiler 😍 E se vi va, scrivetemi così ci conosciamo 💪🏻
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top