5. Non sono mai andati via
Erano mesi che Anais non tirava fuori l'auto. Era una vecchia Peugeot di seconda mano che era riuscita a rimediare poco dopo il diploma, quando ancora non poteva immaginare che di lì a poco avrebbe fatto armi e bagagli per trasferirsi a Parigi. Anche se ormai si spostava quasi solo con i mezzi pubblici, la ragazza non aveva ancora trovato il coraggio di venderla. In fondo si era affezionata a quella piccola utilitaria color grigio ferro, che un paio di volte l'anno la scortava fedele fino a casa dei suoi genitori. Era uno dei tanti piccoli traguardi personali che era riuscita a guadagnarsi, in fondo, insieme all'opportunità di andare a vivere da sola. Rinunciarvi sarebbe stato per lei solo un altro fallimento. Un argomento che non voleva neanche toccare.
In fin dei conti, aveva fatto bene a tenerla. Specie quel giorno, visto che sarebbe tornata alla Maison d'Albignac a indagare per conto suo. Aveva preferito tenere Nancy al di fuori della questione, l'aveva sentita ancora troppo scossa per tentare di coinvolgerla. In più, non aveva bisogno di farsi dare della pazza da qualcun altro. Se la sarebbe cavata da sola, com'era giusto che fosse. Voleva dimostrare agli altri e a se stessa di essere abbastanza forte, persino contro dei presunti spettri. Dopotutto, lei ai fantasmi non ci credeva affatto. Che cosa avrebbero potuto farle?
Erano ormai le sette di sera quando l'auto si fermò di nuovo davanti al castello. L'aria era ebbra dal frinire delle cicale, il villaggio di Anjou che si estendeva ai piedi della collina in mezzo alle distese di grano maturo. Anais si fermò a contemplare il paesaggio. Scattò qualche foto, prima di restare in ascolto dei fruscii della sera con una mano appoggiata alla portiera.
Per quanto stesse per varcare di nuovo la soglia di una casa infestata, quell'immagine le diede un insperato senso di pace. Forse era per la totale mancanza di esseri umani, oppure per il semplice fatto di essere di nuovo immersa nella natura, lontano dal caos della città che la narcotizzava, così alieno e frenetico rispetto alla vita che conduceva prima.
Anais inspirò a fondo l'aria colma dei profumi dell'estate giunta ormai al suo culmine. Avrebbe voluto che quella sensazione meravigliosa durasse per sempre, ma le prime ombre stavano prendendo ad avanzare e lei aveva una missione da compiere.
Chiuse la macchina e si avviò furtiva lungo il viale d'ingresso infestato di erbacce. Scavalcò la bassa trincea di nastri bianchi e rossi – che dovevano essere il goffo tentativo di tenere a bada i vandali – e fece il giro dell'abitazione, fino a ritrovare la finestra dalla quale lei e Nancy si erano calate il giorno prima. Il cuore le accelerò vertiginosamente i battiti nel momento in cui si rimise a cavalcioni del davanzale e si diede la spinta per scivolare nel buio. Stava facendo qualcosa di assolutamente proibito, e forse anche pericoloso. Eppure, era proprio questo a farla sentire così viva.
L'interno era esattamente come lo ricordava, buio e polveroso. Subito la sensazione di freddo tornò a farsi sentire, per quanto il termometro segnasse ancora venticinque gradi abbondanti. L'avvertì arrampicarsi lungo le braccia scoperte e infilarsi al disotto dell'epidermide simile a una lama ghiacciata. Anais rabbrividì, facendo appello a tutto il proprio autocontrollo. Non era semplice freddo. Era qualcosa di diverso, che penetrava fin dentro le ossa. Un torpore che avvolgeva l'intero castello in una morsa di ghiaccio, fredda come la morte.
"Falla finita, hai solo ascoltato i maledetti podcast della Durand per tutta la notte!" si rimbrottò mentre avanzava nel corridoio, che ora le sembrava accogliente come una ghiacciaia. Possibile che fosse così anche la sera prima?
Raggiunse la sala da pranzo, con la sua tappezzeria color verde acqua e il pianoforte incuneato in un angolo. Già, il pianoforte... Anais incurvò le labbra, mentre l'adrenalina tornava a frustarle le membra. Mosse un passo verso lo strumento, pronta ad accarezzarlo con le dita ancora una volta, quando di colpo si bloccò con il piede a mezz'aria.
Una corrente d'aria fredda le passò accanto all'improvviso, quasi come se un vento gelido avesse preso a spirare attraverso il corridoio. La ragazza si lasciò sfuggire un'esclamazione di sorpresa, il cuore che accelerò i battiti fino a premerle contro le orecchie. I tasti del pianoforte cigolarono, fino a emettere un suono sgradevole, il legno antico che schioccò minaccioso.
«Questa volta non me la fai, brutto stronzo!»
Anais avvertiva la nuca bruciare. C'era qualcuno che la stava osservando nascosto nel buio, avvertiva la sua presenza alle sue spalle. Afferrò il cellulare e accese la fotocamera. Anche se non c'era campo, poteva sempre filmare qualunque cosa stesse accadendo. Avrebbe avuto le prove per incastrare l'intruso, chiunque egli fosse.
Puntò l'obiettivo sul pianoforte, tornato immobile.
«Coraggio, suona. Sono proprio curiosa di ascoltare il tuo ultimo pezzo» sussurrò in tono di sfida, per quanto la voce apparisse incrinata dal terrore.
Per una manciata di istanti non sembrò accadere nulla, tutto era tornato immobile e quieto.
Poi la brezza gelida tornò, improvvisa e irruenta. La colpì dritta sulle ginocchia, prima di svanire nel buio del corridoio.
«Eh, no!»
Anais si voltò di scatto. Era stato qualcosa di troppo concreto per trattarsi solo di un banale fenomeno soprannaturale. Qualcuno era in vena di scherzi, e lei non vedeva l'ora di smascherarlo.
Si gettò all'inseguimento, il flash che danzò lungo le pareti ammuffite mentre la precedeva nell'oscurità. La ragazza allungò il passo. E fu allora che lo vide, proprio vicino alle scale. Il volto perlaceo di una bambina la fissava con i suoi grandi occhi trasparenti, prima di svanire un istante dopo, non appena fu investito dalla luce del flash.
Fu davvero troppo. Anais gridò con tutte le forze che aveva in corpo, il fascio luminoso che schizzò in alto.
«Chi è là?»
No, non era stata lei a parlare. Era una voce di donna, antica e austera, che proveniva dal piano di sopra. Avvertì un fruscio, come di una lunga gonna che accarezzava il pavimento polveroso. Qualcuno stava scendendo le scale. Ancora pochi istanti e l'avrebbe vista.
"Al diavolo tutto!"
Anais si voltò e prese a percorrere il corridoio a ritroso, le ombre che avanzavano insieme al terrore che la paralizzava. I passi erano proprio dietro di lei, incalzanti come il battere ritmico di un bastone da passeggio contro le assi del pavimento. Non aveva tempo di raggiungere la finestra e fuggire via. Qualunque cosa sarebbe accaduta, lei doveva restare. Si nascose dietro una tenda, le mani premute contro la bocca per non mettersi a gridare. Sarebbe morta di terrore, proprio come succedeva nei racconti gotici nel momento in cui si manifestavano gli spettri. Era una sensazione orribile, raccapricciante, una paura incontrollata che mai avrebbe pensato di provare nella sua vita.
Il freddo si era fatto insopportabile, ormai le era entrato fin dentro i polmoni. Respirare le faceva male, il cuore sembrava sul punto di sfondare la cassa toracica. Il suo battito frenetico era assordante, a tratti doloroso. Che gli abitanti della casa riuscissero a sentirla?
"Ti prego, fa' che finisca in fretta... fa' che finisca in fretta..."
Il pianoforte tornò a suonare. Le sue note argentine arrivarono all'improvviso, pacate e gentili come una carezza di conforto da parte di una mano amica. Anais trasalì, colta di sorpresa. Non era niente di paragonabile ai rumori agghiaccianti che aveva udito la sera prima. Era qualcosa di estremamente piacevole, una sinfonia dall'aria antica e ariosa suonata da mani sapienti quanto invisibili, che in qualche modo cercavano di allietare la solitudine che avvolgeva l'antica dimora.
La ragazza chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dalla musica. All'improvviso, il freddo sembrò farsi meno pungente, il cuore cessò di rombare contro la sua testa. La calma tornò, cullata dalla musica. Era come se si fosse creata una sorta di connessione silenziosa tra lei e la strana entità che all'improvviso era entrata nella stanza.
La ragazza si sporse appena dal suo nascondiglio, colta da un'improvvisa curiosità. Quello che vide le fece spalancare la bocca per lo stupore. La sala da pranzo ora appariva piena di gente. Un'anziana donna sedeva sul sofà al centro della stanza, una vertiginosa acconciatura di capelli argentei che svettava sulla sua nuca. Teneva la dita intrecciate con quelle di una ragazza dai capelli scuri, vestita con un semplice abito rosa antico che le arrivava fino ai piedi.
Anais trasalì, incredula. Possibile che si trattasse della ragazza del dipinto che aveva visto nella camera della duchessa?
I suoi occhi guizzarono verso il pianoforte. Una figura era china sui tasti, del tutto persa nella sua melodia. Avvertì il cuore contrarsi, in preda a una sensazione che non aveva mai provato prima d'ora. Era come osservare per la prima volta qualcuno che in realtà conosceva benissimo.
Il volto ovale e armonioso fissava lo spartito davanti a sé, un ciuffo di capelli scuri che gli sfiorava appena il naso. Non portava la parrucca, nonostante fosse vestito come nel Settecento. Ciocche ribelli gli sfioravano appena le spalle ricoperte da un semplice panciotto nero. L'incarnato era pallido, forse troppo per un essere umano. Che si trattasse della cipria, messa in risalto dalla penombra? Oppure...
Anais non fece in tempo a giungere alla conclusione che tanto avrebbe voluto rimandare. Qualcosa di gelido le sfiorò la mano all'improvviso, e lei schizzò fuori dal suo nascondiglio con un grido di sorpresa. Si rese conto troppo tardi di aver commesso un errore madornale.
Nella sala da pranzo cadde il silenzio. Anais avvertì i sudori freddi imperlarle la fronte. Avrebbe voluto sparire nel nulla proprio come loro, quelle pallide figure che la osservavano impietrite tra il sorpreso e lo spaventato.
«Ehm... salve.»
«Chi siete voi e che cosa ci fate nella nostra casa?» l'anziana donna dai capelli argentei l'apostrofò con la sua voce solenne, lo sguardo corrucciato da un'espressione di puro sconcerto. «E per quale motivo siete vestita in maniera così sconveniente?»
«Per favore, non voglio farvi alcun male. Credevo che in questa casa non ci fosse nessuno...»
«Per caso siete una strega?»
Anais abbassò lo sguardo. La bambina che aveva visto ai piedi delle scale sgusciò fuori dalla tenda. Teneva un piccolo cane bianco tra le braccia, il quale le sfuggì subito dopo per correre verso di lei ad annusarle la mano. La ragazza la ritrasse con un sussulto, nel momento in cui venne investita subito da una nuova sensazione di gelo. Fu allora che capì che cosa l'aveva sfiorata poco prima.
«Io non sono una strega» sussurrò. «Mi chiamo Anais Marchand. Sono una studentessa, vengo da Parigi.»
«Una donna che studia e per di più che indossa vesti da uomo? Mio Dio, quanto in basso siamo caduti negli ultimi tempi!»
«Nonna, per favore.» La ragazza dai capelli scuri le pose la mano sull'avambraccio, prima di levare lo sguardo su Anais. «Per caso siete venuta a spezzare la maledizione?»
«Vi ho già detto che non sono una strega, e in ogni caso non so di che cosa parlate.»
«Le donne che si vestono in maniera strana di solito sono streghe» cantilenò la bambina in tono impertinente, mentre la scrutava con il visetto all'insù.
«Ehi, io non mi vesto in modo strano! Voi piuttosto...» Anais indugiò sui loro abiti e le loro acconciature, così alieni rispetto ai suoi capelli legati in una coda e l'abbinamento jeans e t-shirt bianca. «Chi siete?»
«Siamo i conti d'Albignac, ovvio!» ribatté la donna anziana in tono perentorio.
«Ma nonna, mi pare che questa fanciulla abbia appena detto che pensava che la casa fosse disabitata» intervenne la ragazza bruna ancora una volta.
«Insomma, Camille, non diciamo sciocchezze! Possibile che il popolo abbia una memoria così corta?»
«Non è impossibile, dal momento che potrebbero essere passati dei secoli dalla vostra scomparsa.»
Un gelo improvviso calò sulla stanza, mentre tutti gli occhi tornavano a posarsi su Anais. La ragazza vacillò, l'imbarazzo che montava attimo dopo attimo. Quegli sguardi la mettevano i brividi. Erano qualcosa di innaturale, che non doveva essere lì.
«Mia cara, sapresti dirmi la data di oggi?»
La voce del giovane la colse di sorpresa. Al contrario delle altre, i suoi occhi scuri e gentili sembravano scrutarla con sincera curiosità. La ragazza indugiò sul suo volto, provando una nuova stretta allo stomaco. Era davvero uno dei ragazzi più belli che avesse mai visto, per quanto vestito in quella maniera assurda. Eppure quel pallore così innaturale era troppo marcato per essere vero, quasi come se stesse osservando la sua figura evanescente da dietro un vetro opaco.
Lottò per mantenere tutto il suo autocontrollo, prima di rispondere.
«Siamo a luglio. Il 5 luglio 2023.»
«Che cosa?»
Mormorii di puro sconcerto colpirono i presenti, in particolar modo la ragazza bruna, che ora la fissava con gli occhi carichi di terrore. Il freddo aumentò ancora, era come se fosse collegato alle loro anime tormentate.
Anais la osservò, inquieta. Anche lei era così pallida, al punto da apparire trasparente nei punti in cui il suo corpo sfiorava la stoffa del sofà. Che fosse...
«Scusate tanto,» intervenne, decisa a vederci chiaro «voi siete davvero i conti d'Albignac? Quelli che sono scomparsi durante la Rivoluzione?»
«Scomparsi non significa andati via» precisò la donna anziana in tono perentorio.
«In ogni caso, mi assicurate che siete voi?»
«Ma certo che siamo noi!» la ragazza bruna sbuffò.
«Calma, signore, forse è il caso di presentarci.» Il ragazzo si levò in piedi e si avvicinò ad Anais, prima di rivolgerle un inchino cortese. «Il mio nome è Tristan. Loro sono le mie sorelle, Camille e Sophie. E lei è la nostra nonna, Jolande. Ah, e il nostro cane Mimì. Siamo rimasti solo noi, da quel giorno.»
«Quel giorno?»
Anais osservò il volto del suo interlocutore, inquieta. Gli porse la mano, decisa a vederci chiaro per quanto fosse paralizzata dal terrore. Avvertì le sue dita gelide sfiorarla appena, senza però riuscire a toccarle il palmo. Le loro mani si incontrarono per poi passarsi attraverso, gelide e incorporee.
Il cuore le schizzò in avanti, insieme al terrore che tornò di prepotenza a farsi sentire. No, non era reale, non poteva...
«Voi... siete fantasmi?»
«Sì, è così che ci chiamano.»
Il conte non riuscì ad aggiungere altro. Anais giaceva svenuta ai suoi piedi.
https://youtu.be/_z-L8iQYPzE
**** Ditemi che avete ascoltato la canzone alla fine, è importante. Anche perché questo gruppo ha ispirato profondamente "La promessa dello stregone". Inizio con dire a tutti voi lettori un immenso G R A Z I E. Ho letto i vostri commenti e vi confesso di essermi davvero emozionata. Ho immaginato questa storia per la prima volta 12 anni fa, in un periodo che per me è stato decisivo. All'epoca ero persa come Anais, e forse anche un po' in balia degli spettri come Tristan. Negli anni, loro sono rimasti un po' in disparte, ma in qualche modo non se ne sono mai andati. Andava raccontata anche la loro, di storia. Solo così potranno trovare il loro posto anche loro, nel cuore dei lettori che li hanno accolti con così tanto affetto.
Sono indecisa se mantenere questo titolo o se tornare all'originale: "Fantasmagoria". Voi che ne pensate? Fatemelo sapere nei commenti!
Intanto, se avete voglia di fare due chiacchiere e saperne di più su "La Sentinella", il mio romanzo in uscita il 18 giugno, vi rimando al mio profilo Instagram le_storie_di_fedra.
E non preoccupatevi: continuerò a scrivere questa storia! Lo devo a tutti voi <3
Un abbraccio e buon inizio settimana.
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