14. Lo stregone

L'Opéra Garnier si ergeva simile a un antico mausoleo traboccante di luce al disotto del cielo notturno, incastonata nel cuore di ghisa e cemento armato della città. Una volta giunta di fronte all'ingresso, Anais avvertì le ginocchia vacillare. La nuca le formicolava senza sosta, quasi a suggerirle che ogni suo singolo movimento era spiato da occhi invisibili nascosti tra la calca del foyer. Strinse il biglietto fra le dita, quasi si trattasse di un lasciapassare tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Il terrore la paralizzava, ma sapeva che non poteva tirarsi indietro. Non una volta arrivata fino a quel punto.

Sarebbe ora che ti prendessi le tue responsabilità, Nanà. Non c'è più tempo per i sogni.

Un rigurgito amaro le gorgogliò in fondo alla gola, segno che i suoi demoni erano ancora lì, famelici. Non si sarebbero lasciati sfuggire un'occasione simile tanto facilmente.

Anais strinse i denti e fece appello a tutte le proprie forze per riprendere il controllo. Le sagome delle persone che sciamavano intorno a lei parvero galleggiare, quasi come se fosse rimasta l'unico essere vivente in mezzo a un mare di spettri. Il gorgoglio del traffico notturno divenne un urlo senza fine, la porta d'ingresso parve allungarsi in una vertigine irraggiungibile. La ragazza annaspò, sicura di stare per soffocare. Stava precipitando, ma nessuno l'avrebbe vista cadere.

Si artigliò la camicetta con le dita sottili e si costrinse a prendere una profonda boccata d'aria, poi un'altra ancora, poi ancora un'altra... fino a quando non si accorse di riuscire a respirare senza doverci pensare troppo. L'ingresso dell'Opèra tornò a essere nitido, i suoi piedi appoggiati a un terreno solido, duro e freddo come una lapide.

"Sfiderei chiunque a vivere anche un solo giorno nella mia testa e avere ancora il coraggio di uscire di casa" si ritrovò a pensare con un velo di ironia.

Prese un altro respiro e si avviò verso l'ingresso, prima che i suoi demoni si risvegliassero dal torpore in cui li aveva momentaneamente confinati. I suoi passi risuonarono sui lucidi pavimenti di marmo, lo sguardo proiettato verso l'alto, perso nei mille ori e decorazioni che si arrampicavano lungo le pareti e il soffitto. Superò la biglietteria e si accodò alla folla di spettatori che si accomodavano con un solenne brusio verso l'interno del teatro.

Non era mai stata all'Opéra prima di allora. Da quando si era trasferita a Parigi, Nancy gliel'aveva proposto diverse volte, ma non avevano mai avuto l'occasione di andarci davvero. Di certo, in circostanze diverse sarebbe stata la prima a rimanere a bocca aperta di fronte a un luogo così fastoso e ricco di bellezza. Ma l'unica cosa che riusciva a provare in quel momento era paura. E un freddo innaturale, ben più profondo e paralizzante di quello che accompagnava l'apparizione dei suoi amici spettri.

Ripensò a loro ancora una volta – in particolar modo a Tristan – e la cosa sembrò darle una forza inaspettata. Il cuore accelerò i battiti mentre saliva le scale, la tensione che aumentava a ogni respiro.

L'attesa che aveva accompagnato le ore precedenti era stata a dir poco estenuante. Tristan voleva venire con lei a tutti i costi, poco importavano le conseguenze. Per tutto il giorno non aveva fatto altro che ripeterle quanto il duca di Rochefort fosse pericoloso, che era in grado di piegare al suo volere anche la più aperta e brillante delle menti. C'era voluto l'intervento deciso di nonna Yolande, insieme a Camille e Nancy, per convincere il giovane conte che la sola idea era una follia totale. Per quanto fosse tornato visibile, sarebbe stato impossibile non notare sotto l'impietosa luce dei riflettori di quanto il suo riflesso fosse del tutto innaturale, l'incarnato a tratti evanescente, lo sguardo lontano. Per non parlare del freddo che si sarebbe tirato dietro, con il rischio di rivelare in meno di un istante la sua reale natura.

No, Tristan e qualunque altro membro della sua famiglia dovevano restare in attesa ancora per un po'. Era una lotta tra vivi, era giusto che se la vedessero tra di loro.

Anais aveva finito per fare una ricerca sul professor Bertrand. Non era un uomo che amava molto apparire in pubblico, anche se a quanto pareva era davvero un nume nel mondo della medicina. Era un celebre psichiatra, aveva ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, e tenuto conferenze in tutto il mondo. Le poche foto che lo ritraevano mostravano un uomo di bell'aspetto sulla cinquantina, dagli occhi grigi e malinconici. Nulla che facesse presagire a un pericoloso stregone che arruolava ragazze armate di falci, o chissà quali altri orrori.

Anais si fece forza, mentre raggiungeva il corridoio al primo piano. Magari non era poi così spaventoso come credeva. Forse era finita all'interno di una bizzarra messinscena, e quella sera ne avrebbe rappresentato l'epilogo.

Raggiunse la porta che conduceva a uno dei palchetti laterali, dove avrebbe dovuto trovarsi il suo posto. Un luogo intimo e ritirato nel buio, dove l'oscurità e la musica avrebbero nascosto qualsiasi prova sgradita qualora le cose fossero andate nel modo sbagliato. Al solo pensiero, Anais avvertì le budella arrotolarsi nella pancia, proprio mentre spingeva la porta e i suoi piedi scivolavano nell'oscurità. Ormai era troppo tardi per fuggire.

Per un attimo pensò di essere sola, avvolta da un silenzio ovattato che sapeva di velluto. La luce delle lampade illuminava a giorno la sfarzosa platea e il palco celato da un sontuoso drappo rosso, al disotto del visionario dipinto di Marc Chagall che abbracciava la sommità del soffitto. Poi lo notò, appoggiato con una mano al davanzale del balcone mentre scrutava con aria assorta lo sciamare degli spettatori sotto di lui.

Un brivido le percorse la spina dorsale, mentre un terrore atavico si impadroniva di ogni singola cellula del suo corpo. Lo stregone era lì, immobile come una roccia sopravvissuta all'incalzare dei secoli. C'era qualcosa che accomunava l'espressione distaccata sul suo volto a quella che aleggiava su quello di Tristan e della sua famiglia. Un'ombra di interrabile malinconia che andava oltre i cancelli del tempo. Il prezzo di essere sopravvissuti alla vecchiaia e alla morte. Il veder scivolare via ogni cosa, senza potervi mai appartenere davvero.

«Mi ha fatta chiamare?»

Le parole le uscirono roche dalla gola, poco più di un sussurro.

Il duca si voltò verso di lei, un sopracciglio castano appena sollevato. Le labbra sottili accennarono appena un sorriso. «Sono molto lieto di fare la tua conoscenza, Anais.»

«Non sono qui per lo spettacolo. Voglio solo che i miei amici abbiano salva la vita.»

«Oh, i tuoi amici.» In quel momento, le luci della platea si abbassarono. Per un attimo, mentre l'oscurità inghiottiva l'intero teatro, la ragazza ebbe come l'impressione di notare un guizzo argenteo negli occhi dello stregone. Un'espressione che non poté fare a meno di rievocare quella di un predatore affamato, e che le fece una paura tremenda.

Poi la musica iniziò, potente e spietata. Anais sobbalzò, i piedi che scivolarono nel buio. Voleva voltarsi e fuggire via, ma in quel momento non riusciva a muovere alcun muscolo.

Lo stregone si levò in piedi, solenne. La giacca scura che gli ricopriva le spalle le ricordava un mantello, la figura slanciata rievocava le rappresentazioni di antichi demoni che si contorcevano nelle controfacciate delle cattedrali. Era lui, il dottor Faust delle leggende. Lo scienziato e l'alchimista che aveva venduto l'anima al diavolo pur di ottenere tutto ciò che un essere umano non avrebbe mai potuto minimamente desiderare.

«La prego, Tristan non voleva fare nulla di male! È stata tutta colpa mia, ero convinta che dopo tutti questi anni non ci sarebbero stati problemi, che lui...»

«... sarebbe riuscito a camminare nel cuore di Parigi senza destare sospetti? Che quell'ingrato avrebbe potuto riavere la sua forma umana e azzerare il suo debito come se nulla fosse? Mai avrei creduto che quel giovane fosse così sciocco!» Lo stregone avanzò ancora, lo sguardo da lupo puntato su di lei. La freddezza con cui pronunciò quelle ultime parole sembrò far scattare qualcosa in Anais. Una puntura dolorosa verso qualcosa di tremendamente marcio e ingiusto. «Lei lo ha ingannato!» si ritrovò quasi a urlare, il fragore della musica che ricopriva la sua voce spezzata. «Gli aveva promesso che sarebbe stato al sicuro, e lei invece gli ha portato via tutto!»

«Conosceva i rischi fin dall'inizio, ma evidentemente era così ansioso di salvare la sua pelle e quella della sua famiglia da non essersi reso conto di che cosa stava offrendo in cambio.»

«Ma ora i tempi sono cambiati. La Rivoluzione è finita, non corrono più alcun pericolo. La prego, se non può farli tornare normali, perlomeno li lasci in pace. Prometto che non attireranno mai più l'attenzione, il vostro segreto sarà al sicuro...»

«E che cosa mi garantisce che voi tutti teniate la bocca chiusa?» Il duca di Rochefort ormai era a pochi centimetri da lei. Le sembrava quasi di poter percepire il denso aroma d'acqua di colonia che le schiaffeggiava le narici. «Il mondo dell'occulto ha le sue regole, proprio come la religione e la scienza. E non è possibile infrangerle, a meno che non si voglia vedere il mondo crollare sulle sue stesse fondamenta. È stato così che creature come me sono riuscite a sopravvivere così a lungo all'incalzare dei secoli, nonostante guerre, pestilenze e rivoluzioni. Per questo non posso permettere che tutto questo finisca proprio a causa di due ragazzini innamorati. Ed ecco perché il tuo amato Tristan dovrà svanire.»

«NO!»

Anais avvertì gli occhi bruciare, il cuore divampare in una miriade di schegge di vetro. Quelle parole affilate erano la lama che quel demonio avrebbe affondato nel cuore freddo del giovane, gli artigli che le avrebbero strappato via l'unica persona che fosse davvero riuscita a tirarla fuori dall'abisso e a mettere a tacere i suoi demoni, almeno per un po'. Qualcuno che come lei camminava in pericoloso equilibrio sul filo del baratro sospeso tra la vita e la morte, dove il sogno si confondeva con la veglia. Perlomeno sperava di caderci dentro insieme, qualora non avessero più avuto la forza di danzare.

«La prego, lo risparmi! Sono stata io a portarlo fino a Parigi, lui e la sua famiglia non volevano abbandonare la Maison d'Albignac. Sono pronta a pagare le conseguenze, se necessario. Ma la prego, non faccia loro del male!»

A quelle parole, lo sguardo dello stregone sembrò farsi più attento. Soppesò ogni singola vibrazione del suo corpo, spostando il peso da un piede all'altro con una movenza sinuosa, quasi quella di un serpente che danza di fronte alla preda un attimo prima di colpirla.

«Quanto saresti disposta a sacrificare per lui?»

Anais avvertì il proprio cuore mancare un battito. Ripensò a Tristan, al suo sorriso gentile. A quel momento fugace in cui era stato davvero umano. E a quanto poco avesse da perdere lei, che per il resto del mondo non era altro che un'ombra invisibile. Proprio come lui. Erano davvero molto più simili di quanto avesse voluto credere, per quanto separati da secoli di Storia. Quasi si fossero aspettati a vicenda, senza saperlo, mentre tenevano di nascosto i capi opposti del filo rosso che si srotolava a poco a poco, centimetro dopo centimetro, fino a tendersi del tutto.

«Qualunque cosa.»

Vomitò quelle parole a bassa voce, un desiderio folle che le pungolava il petto fino a farlo sanguinare. Era stato questo, a spingere Tristan a sacrificare ogni cosa? Quella sensazione inebriante che gli smorzava ogni singola sensazione in un cocktail venefico di disperazione mescolata a speranza irrazionale?

«Interessante.» Il duca di Rochefort tornò a sedersi. Sembrava molto attento. «L'amore ha delle leggi implacabili, ed è proprio grazie ad esso se si può arrivare a ingannare persino la morte.»

«L'amore?» Stilettate di follia sbocciarono al centro del suo torace, laddove albergavano quei sentimenti inespressi che fino a quel momento aveva fatto di tutto per nascondere.

Anais boccheggiò, il terrore che si tramutava a poco a poco in puro delirio. Non avrebbe mai voluto liberare un simile pensiero, eppure in quel momento ogni singola parte di lei bramava per ascoltare proprio quelle dolci parole che l'avrebbero saziata al pari di gocce di miele avvelenato. La trappola era tesa, l'incanto l'aveva avvolta nella sua rete dorata. Ma lei ormai non voleva più fuggire. Non ne aveva più bisogno.

«Già, l'amore.» Lo stregone sorrise, le dita sottili che gli solleticavano il mento aguzzo. «Tu e quel giovane ormai siete legati da un filo invisibile. Vi ho osservati a lungo, grazie ai miei fedeli occhi e orecchie nascosti in tutta la Francia. Persino in quel buco di Anjou, dove permangono solo le anime dei morti. Peccato che voi due non abbiate ancora compreso a fondo la reale portata della posta in gioco. Io posso porre fine a tutto questo in un attimo. Mi basta un solo ordine, e il tuo dolce amico verrà cancellato dalla faccia della terra insieme a quel poco che rimane della sua famiglia. Ma tu, mia piccola Anais, puoi cambiare le cose. Sei ancora in grado di farlo, e di averlo al tuo fianco per sempre. Prova a immaginarlo. Vivrete una vita lunghissima, priva di turbamenti, senza dover temere la morte. Non è questo forse, quello che entrambi avete sempre sognato? La pace contro un universo in guerra perenne?»

Le parole dello stregone l'avvolsero simili a una coperta calda, che in qualche modo l'avrebbe protetta da tutti gli orrori del mondo. Ad Anais le parve quasi di vederlo, quel futuro. Al sicuro tra le pareti della Maison d'Albignac, dove nessuno avrebbe potuto più separarli. Tutto ciò che temevano sarebbe rimasto al di fuori. Le delusioni. La paura. Lo spettro della solitudine. La vita con le sue storture. Dopotutto, quello che le si prospettava davanti non appariva poi così spaventoso rispetto all'abisso che aveva albergato nel suo cuore in tutti quegli anni, consumandola come un tarlo insaziabile fino a relegarla in un angolo freddo e grigio dal quale era impossibile scappare. Anais era già uno spettro. Solo che fino a quel momento non se ne era ancora resa del tutto conto.

«Vuole che diventi come loro?» sussurrò.

«Pensaci, Anais. Solo così potresti cancellare il suo debito. Sarete insieme per sempre, al sicuro. Vi chiedo solo una cosa in cambio. Un piccolo ordine che non dovrete mai trasgredire.»

Ti basterà sparire.

La ragazza fece per dischiudere le labbra, quando tutto divenne buio. Un'oscurità fitta che non aveva nulla a che vedere con l'improvviso blackout che aveva colto di sorpresa l'intero teatro. Un'oscurità densa e fitta, volute di fumo che inabissavano le urla di sorpresa del pubblico e rendevano impossibile vedere.

Due braccia gelide l'avvolsero stretta, insieme a una presenza evanescente che in quel momento correva insieme a lei. Si stavano muovendo, invisibili e uniti in una fuga disperata, lontano dalla vita quanto dalla morte.

Anais avvertì il suo cuore accelerare, l'incanto lacerarsi fino a rendersi conto di essere ancora viva in quel mare di colla che la trascinava giù, dritta verso il fondo.

«Tristan, sei tu?»

«Mi dispiace, Nanì. Non potevo permettere che accadesse anche a te.»

Poi tutto scomparve. 



**** Non credevo di farcela, e invece eccoci con un nuovo capitolo di questa piccola, folle storia!  Finalmente, il nostro duca di Rochefort si rivela. Come lo vedete, come villain principale di questa storia? E ce la faranno Tristan e Anais ad affrontarlo? 

Vi preannuncio che il prossimo capitolo è il mio preferito in assoluto, nonché il cuore dell'intera storia, dove i protagonisti giocheranno finalmente a carte scoperte.

Se siete arrivati fin qui, non posso che ringraziarvi per il vostro supporto e sostegno <3 Cerco di fare sempre del mio meglio per voi lettori, non importa quanto siate lontani.

A presto!

Vostra,

F.

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