Capitolo 8

Dopo una ventina di minuti, trovò un piccolo rudere. Jana ormai si era profondamente addormentata, ma sembrava, comunque, molto sofferente.

«Amore mio, non potrei vivere se ti succedesse qualcosa. Ti prego, resisti ancora un po', d'accordo?» Diceva più a sé stesso che a lei, posandole un bacio sulla fronte. Stava tremando e Manuel temeva di guardare in che condizione fossero le garze.

"Cosa posso fare? Io non ne so un granché di ferite o simili, ma non posso certo stare fermo a guardarla morire. Anzitutto, devo farla sdraiare su un letto degno di questo nome e poi dovrò trovare qualcuno da mandare alla Promessa per chiamare Abel. Non importa cosa succederà dopo, adesso quello che conta è la vita di Jana."

Arrivato il più vicino possibile alla piccola abitazione, si preparò a scendere.

«Jana, tesoro, ci siamo. Adesso, potrai distenderti e riposarti. Vedrai che andrà tutto bene.» Le sussurrava quasi sull'orlo delle lacrime, nel mentre cercava di non sballottarla troppo, tirandosela giù. La ragazza tentava di non lamentarsi, ma la cosa stava diventando sempre più difficile.

«Eccoci qua. Ora proviamo a bussare.» Le diceva, tenendola tra le braccia.

«Per favore, c'è qualcuno? Vi prego, ho con me una persona gravemente ferita, aprite.» Gridava Manuel, senza ottenere risposta.

«Manuel...» Provò a dire Jana, prima che le si mozzasse il respiro. La posizione non la stava aiutando molto.

«Potresti mettermi un attimo giù?» Gli chiese con un filo di voce.

«C-certo, amore. Ecco qua.» La depositò delicatamente sul prato con il suo soprabito a mo' di coperta. Nel frattempo, Manuel provò un ultimo tentativo, prima di aprire la porta.

«Bene, almeno la porta è aperta. Jana, perdonami, ma devo ritirarti su. Coraggio, un ultimo sforzo e potrai riposare.»

«Va bene.» Acconsentì lei, mostrando, senza volere, una mano macchiata da un velo di sangue.

"Dannazione, la ferita dev'essersi riaperta. Che posso fare? Santo Cielo, non ho idee." Pensava Manuel, a dir poco terrorizzato.

«Vedrai che su un letto starai senz'altro meglio.» Le disse, dopo averla posata su un piccolo giaciglio. L'abitazione era modesta, però pulita.

«Grazie.»

«Sei comoda? Ti sistemo il cuscino?» Chiedeva Manuel, impaziente di fare una qualsiasi cosa potesse farla stare meglio. Doveva assolutamente trovare il modo di avvertire a palazzo e far chiamare Abel, però, non poteva muoversi da lì, lasciando sola e in pericolo l'unica donna che avesse mai amato.

Ormai, l'altra rispondeva solo con un cenno della testa, mentre il tremore aveva ripreso più forte di prima.

«Ti levo gli stivali, va bene? Così starai più comoda. Poi, cerco di accendere un fuoco. Vediamo di far riscaldare un po' l'ambiente.» Le diceva, mentre le levava le scarpe. Poi, le posò una copertina addosso per cercare di scaldarla, ma neppure il suo soprabito sembrava sortire grande effetto.

Seppur nel dolore, la ragazza gli posò una mano sulla sua, con un accennato sorriso in viso. Fatto tutto quanto, Manuel si sedette di fianco a lei.

«Tesoro, proviamo a vedere un attimo com'è la situazione, va bene?»

La ragazza annuì appena, prima di perdere quasi completamente i sensi.

«No, no, amore mio, devi cercare di restare sveglia, per favore. Coraggio, dobbiamo capire come tamponare questa ferita. Ho bisogno che mi spieghi come fare, ti supplico.» La implorava lui, tenendole il viso tra le mani.

«D- devi...spogliarmi, se vo-vogliamo capire quanto è...» Provò a dire lei con un filo di voce.

«Va bene, lo faccio subito. Lascia che ti tiri un attimo su. Tieniti a me, mi occupo di tutto io.» Diceva lui, cercando di non far trasparire il terrore di cui era preda. Un paio di minuti dopo, Jana era rimasta con solo la sottoveste indosso. Sul davanti, si stava espandendo una larga e umida macchia di sangue. Manuel l'aveva aperta il minimo indispensabile per controllare la situazione.

«Io non ci capisco molto, però, direi che non è aperta completamente. Credo sia saltato qualche punto. Comunque, il sangue continua a uscire, anche se più lentamente.» Spiegò il giovane marchese.

Jana lo mandò a cercare achillea e ortica in gran quantità per farci un impacco e una tisana, per cercare di rallentare l'emorragia, fino a che non avessero potuto usare ago e filo. All'incirca una quarantina di minuti dopo, Manuel tornò con tutto.

«Jana, ho portato tutto. Adesso preparo un impacco e ce lo mettiamo sopra.» Pochi minuti dopo, il giovane marchese posò il composto sulla ferita della ragazza.

«Ecco qua. Adesso dovrò farti un po' male, ma è necessario. Si levò la cintura e, dopo aver posato un pezzo di stoffa pulito sul composto, gliela strinse attorno al busto.

«Ah.» Fu l'unico flebile lamento di lei. Ormai era davvero stremata, ma l'emorragia sembrava, per il momento sotto controllo.

"Adesso devo trovare il modo di contattare Abel." Continuava a pensare tra sé, mentre bagnava la fronte ardente di lei col suo fazzoletto bagnato.

«Manuel.» Chiamò il nome di lui, stringendogli il polso con le poche energie rimastele.

«Dimmi amore, sono qui.»

«Se non... se non ce la faccio...» provava a dire lei, non mollando la flebile presa, ma lui la interruppe seduta stante.

«Jana, non dire sciocchezze. Non voglio sentirti dire niente di tutto ciò, capito? Ti giuro che saremo felici. Avremo il nostro lieto fine. Troverò la maniera di far quadrare tutto, ma basta brutti pensieri.»

«Baciami...»

Il giovane marchese non se lo fece ripetere due volte. Posò le labbra su quelle di lei in un casto bacio. Dopodiché, si distese di lato a fianco a lei e la tenne stretta al suo petto, cullata dal ritmo del suo cuore.

«Prova a dormire un po'. Devi essere molto stanca. Io non mi muovo da qui.» Le garantì lui, mentre ispirava il profumo dei suoi capelli. Quanto gli erano mancati gesti così.


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