Capitolo 7

Erano passati ormai tre giorni e Jana stava cercando di riprendersi, anche se con qualche difficoltà nel contenere il suo spirito scalcitante. Mentre era un attimo da sola, appena dopo la visita di Curro, bussò qualcuno di inaspettato.

«Sì?»

«Sono Jimena, posso passare?»

"E adesso che vorrà? Non le basta tutto quello che sto passando?" Non potendo fare molto altro, acconsentì, sperando non venisse con intenzioni bellicose.

Calò un imbarazzante silenzio che Jimena cercò prontamente di rompere.

«Come stai? Va un po' meglio?»

"Ora fa anche finta di preoccuparsi."

«Mi dovete scusare se non mi alzo, ma sono ancora molto provata e non posso fare sforzi.»

«Tranquilla, anzi sono venuta qui proprio per dirti di prenderti tutto il tempo di cui hai bisogno per riprenderti, senza nessuna fretta.»

«Cosa?»

«Esattamente quello che hai sentito e farò in modo che anche mia suocera non turbi il tuo recupero. Ti devo la vita Jana e sarei dovuta venire subito a dirti grazie invece delle scenate che ho fatto. Mi dispiace.»

«Vi ringrazio per queste parole signora, voglio credere alla buona fede che state dimostrando, ma non voglio nessun favore da voi. Ho fatto quello che ho fatto perché mi sembrava la cosa più adatta in quel momento, non c'è nessun altro motivo nascosto dietro.»

«Certo, lo so. Bene, adesso torno giù. Ti posso far portare qualcosa?»

«No, grazie.» Disse la ragazza, prima di essere colta da un'altra fitta per un movimento improvviso.

«Vuoi che faccia chiamare Abel? Posso aiutarti in qualche modo?»

«I cuscini, per favore, non riesco a girarmi.» Disse la ragazza con un filo di voce.

Le sollevò un po' i cuscini per farla stare più comoda.

«Così è meglio?» Chiese la "rivale".

«Sì, vi ringrazio. Posso chiedervi cosa sia questo trambusto?»

«Ah, i membri della servitù sono tutti alla ricerca di una certa Ramona. A quanto pare è una levatrice che ha lavorato a Lujan per molti anni.» La aggiornò Jimena. Jana non poteva credere alle sue orecchie. Doveva assolutamente unirsi alle ricerche. Non poteva certo permettere che le accadesse qualcosa. Inoltre, poi si sarebbero anche dovuti occupare di capire per colpa di chi si trovava un buco in corpo.

Dopodiché attese che la "visitatrice" fosse uscita per prepararsi. Doveva vestirsi e fare in modo di non essere vista da nessuno, altrimenti l'avrebbero legata al letto pur di fermarla.

Con grande fatica, la ragazza riuscì nell'impresa, nonostante sapesse che stavolta poteva davvero rischiare la vita. La ferita era ancora troppo fresca, ma non poteva stare ferma quando la persona che le era stata più vicina dopo sua madre era dispersa chissà dove. Non aveva potuto mettere il corsetto perché il dolore era troppo forte, ma non aveva il tempo di preoccuparsi del buon costume al momento.

Approfittando della momentanea assenza di Abel, Jana uscì, assicurandosi di non essere avvistata da nessuno.

Erano già passate più di due ore da quando era andata via.

"Saranno tutti preoccupatissimi, ma io non posso arrendermi. Troverò il modo di farmi perdonare. Ora devo ho bisogno di riposarmi un attimo. Non ho davvero più forze." Pensava stremata tra sé e sé. Per cercare di recuperare un po' le forze, decise di appoggiarsi ad un albero là vicino. Era una giornata nuvolosa e ventosa. Non faceva freddissimo, però, lei lo sentiva molto di più; infatti, si strinse nel cappottino.

Una volta seduta, si accorse però che la sua camicia si stava bagnando. La ferita aveva ripreso a sanguinare e lei era a più di due ore da casa. Nessuno del posto sembrava stesse battendo quella zona per cercare la levatrice.

Per tamponarla, provò ad usare una buona parte del rotolo di garze che si era portata in caso di emergenza. Non aveva nient'altro dietro e non c'erano neppure piante utili nelle vicinanze a occhio. La stanchezza stava prendendo il sopravvento. Aveva bisogno di riposare qualche minuto.

Una mezz'ora dopo, arrivò qualcuno a salvare la situazione. Si trattava di Manuel che aveva deciso di fare ritorno a casa a cavallo, dopo essersi unito anche lui alle ricerche della levatrice. Al vedere la donna che amava accasciata contro un albero, si gettò giù dal suo destriero per andare da lei.

«Jana, per l'amor di Dio, che succede? Cosa ci fai qui?» Domandò terrorizzato lui, cercando di farla rinvenire. Era troppo pallida.

«Manuel, tu...» La ragazza aprì per un momento gli occhi, accennando un sorriso. Se doveva morire così, era contenta di poter vedere un'ultima volta il giovane marchese.

«Amore mio, cosa succede? Perché sei venuta qui?» Continuava a chiederle, prima di realizzare che stava perdendo sangue. Non sapeva davvero come fare a non andare nel panico, però adesso la vita della donna che amava era nelle sue mani.

«Ramona... La devo trovare...» Ormai stava delirando.

«Devo riportarti a casa, immediatamente. Abel deve visitarti al più presto.»

«No, ti pre-re-go. De-devo trovarla...» Diceva lei, mentre Manuel la avvolgeva nel suo cappotto, dato che aveva iniziato a tremare.

«Jana, ti giuro che la troveremo. Ti do la mia parola. Adesso, però, dobbiamo pensare a te. Non ti devi preoccupare di nulla. Ci sono io con te. Ti salverò ad ogni costo.» La sollevò con delicatezza, cercando di non smuoverla troppo, per depositarla sul cavallo.

«Forza amore, adesso ti devo caricare sul cavallo. Un ultimo sforzo.»

La ragazza, nonostante il dolore, usò le ultime energie per aggrapparsi alla sella del cavallo, mentre Manuel la metteva su.

La fece appoggiare al suo petto. Era praticamente mezza stesa. Con un braccio, Manuel reggeva le redini, mentre con l'altro, la sosteneva. Stava cercando di andare il più lento possibile per evitarle troppi sobbalzi, ma non poteva metterci troppo o Jana sarebbe stata in pericolo.

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