Capitolo 1
Era un giorno normale a La Promessa, i domestici affaccendati come sempre e i nobili presi dai loro affari. Jana e Abel si erano ormai fidanzati; la giovane aveva deciso, per una volta, di approfittare dell'occasione che la vita le stava offrendo e, pur sapendo che mai avrebbe potuto dimenticare o smettere di amare Manuel, aveva deciso di dare un'opportunità ad Abel, con il quale aveva un'intesa meravigliosa. Era certo che quello che provava per lui fosse un altro tipo di amore, però la cosa non la fermò. Quando Abel la baciò all'improvviso nel corridoio del piano di servizio, Jana non poté far altro che rispondere e, da quel momento, fu chiaro che non si tornava più indietro.
"Sarò felice con Abel al mio fianco, sì. Devo crederci e cercare di lasciarmi il passato, e tutto ciò che lo concerne, alle spalle." Pensava la fanciulla mentre tentava di non dare fuoco a una delle preziose camice del marchese!
Per fortuna, in quell'unico momento era riuscita a ritagliarsi un po' di santo silenzio, merce rara alla tenuta. Difatti, non troppo dopo quella trottola di Maria l'aveva raggiunta alla velocità della luce per avvertirla che era richiesta in salone.
«Fammi indovinare, la signora Jimena richiede i miei servigi, giusto?» Domandò la cameriera, riposando con forza il ferro da stiro.
«Sì amica, però, ti prego, risparmia quel povero ferro, anche perché ne abbiamo solo uno.» Replicò Maria, nel tentativo di strapparle una risata, ma entrambe sapevano che era un tentativo quasi inutile. Jana non tollerava neppure il nome di quella marchesa o duchessa da strapazzo che era, ma purtroppo non aveva molte alternative.
«Finisci tu qua, per favore?»
«Certo. Ah già, su c'è anche Abel. Oggi lo vedo un po' strano.»
«Strano in che senso?»
«Ah, non so come spiegartelo, mi sembra un po' agitato, ecco tutto.» Concluse Maria, rimettendosi a lavoro con la montagna di camicie e lenzuola da stirare.
«Ho capito, vedrò di indagare più tardi. Prima devo correre a vedere quale altra "tragedia" ha potuto guastare l'umore della signora marchesa. Come se fosse l'unica donna incinta al mondo.» Disse Jana, prima di dirigersi verso il salone.
Tutto si sarebbe aspettata una volta su tranne che di trovare una canna di fucile da fuori la finestra, pronta a fare fuoco in direzione della signora Jimena. Né la Marchesa né la Duchessa avevano notato nulla, essendo entrambe sedute sul divanetto, con il suddetto fucile alle spalle. Tutto ciò che successe in seguito fu solo puro istinto. Mandando al diavolo le buone maniere, Jana urlò con tutta la forza che aveva in corpo alle tre presenti di buttarsi a terra (Jimena era l'unica momentaneamente in piedi). Fu questione di pochissimi secondi, difatti non esitò nemmeno un attimo a spostare Jimena, la sua acerrima rivale in amore, ma madre del primogenito dell'oggetto del loro contendere. Purtroppo, però, nel farlo, la pallottola la colpì in pieno petto.
Pochi istanti dopo, la ragazza si accasciò a terra. La ferita cominciò a sanguinare copiosamente, creando presto una piccola pozzanghera di sangue attorno al petto di lei. Ormai era quasi svenuta e l'unica cosa che le due arpie senior erano capaci di fare, fu urlare e preoccuparsi di Jimena. Grazie al Cielo, pochissimo dopo Mauro, il signor Baeza e Abel accorsero in suo aiuto, allarmati dagli starnazzi delle tre oche.
Abel era atterrito e terrorizzato da ciò a cui stava assistendo. Gli ci volle qualche secondo per cercare di riprendere un briciolo di autocontrollo. Con le mani tremolanti, sollevò, il più delicatamente possibile, il corpo inerme della giovane. I suoi pantaloni si impregnarono di sangue appena le si inginocchiò a fianco, nel tentativo di avere un quadro più chiaro della situazione.
«Jana, vita mia, riesci a sentirmi? Amore?» Domandava lui, mentre faceva pressione sulla ferita per cercare di limitare l'emorragia. Era talmente disperato da non rendersi conto di star piangendo copiosamente.
«Ab...l, c'è stato un colpo...» Provò a dire lei, ma le parole le morirono in gola. Se non l'avesse operata il prima possibile, sarebbe morta dissanguata.
«Shh, tranquilla amore, andrà tutto bene. Ci sono io con te. Adesso non ti devi sforzare, d'accordo?» Disse lui, con voce tremolante.
«Devo portarla immediatamente in stanza. La pallottola è ancora dentro e l'emorragia va arrestata.» Spiegò ai membri del servizio, anche perché le tre oche impiumate sembravano più preoccupate che uno dei tappeti si stesse macchiando piuttosto che la donna che le aveva salvate stesse morendo davanti ai loro occhi.
«Ma come può dire una cosa del genere! Mia nuora è incinta e qualcuno ha appena cercato di ucciderci. Prima di pensare a quella stracciona, ritengo sia il caso che la visiti. Per quanto riguarda lei, vedete di non sporcare ulteriormente mentre la spostate.» Esordì Cruz.
Abel dovette frenare l'impulso di picchiarla. Sì, era un medico e aveva giurato di non far mai del male a nessuno, ma quella fu una delle poche volte in cui fremeva dal desiderio di farlo.
«Non vi degno nemmeno di una risposta, perché non la meritate. Adesso, l'unica cosa a cui devo pensare è evitare che la donna della mia vita muoia dissanguata sul vostro "prezioso" tappeto.» Ribadì lui a denti stretti, passando la cintura sotto la schiena di Jana e legandogliela stretta al busto per tenere ferma la sua giacca che stava usando come tampone. Per portarla in braccio fino alla sua stanza, non poteva fare in altro modo.
«Jana, tesoro, ti porto di là, va bene? Non sforzarti, ci penso io.» Ormai le sue risposte erano ridotte a mugolii incomprensibili e faceva sempre più fatica a restare cosciente. La sollevò con tutta la delicatezza di cui fu capace e, con Mauro al seguito, si diresse verso la sua camera. Era più grande di quella di Jana e Maria, lì avrebbe avuto decisamente più spazio per operarla e la ragazza sarebbe stata più comoda.
«Mauro, presto, prendimi la borsa. L'ho lasciata in corridoio.» Ordinò al fedele valletto, nonché amico della fidanzata. Appena fuori dalla porta, però, incrociarono anche Curro, Manuel e Catalina, tutti e tre esterrefatti alla vista di tutto quel sangue, in particolar modo, però, Manuel e Curro, seppur per motivi differenti.
«Per l'amor del Cielo, che cosa è successo?» Domandò terrorizzato Manuel, quasi cercando di togliere Jana dalle braccia del rivale. Anche Curro non staccava gli occhi dal corpo quasi esanime della sorella.
«Le hanno sparato, ma questa cosa non è di grande importanza per tua madre o tua suocera, a quanto sembra. Ora scusate, ma devo davvero portarla in camera e operarla d'urgenza.» Proferì Abel, facendosi spazio tra la piccola folla che si era creata attorno a loro.
«Q-qui? Sei forse impazzito?! Dobbiamo portarla immediatamente in ospedale.»
«Con una ferita di questo genere, non c'arriverebbe. Dobbiamo farlo qui e ora. Improvviserò.»
Catalina e Curro erano sconvolti, il pensiero che Jana potesse morire li aveva lanciati nello sconforto più profondo. Manuel, invece, non mollava l'osso.
«Permettimi almeno di darti una mano. Non so, ci sono dei farmaci o qualsiasi cosa di cui tu abbia bisogno? Potrei andare a prendere tutto con l'aeroplano. Ci metterei pochissimo.» All'"allegro" gruppetto si era aggiunta anche Jimena che, sfortunatamente, sembrava aver ripreso la capacità di eloquio.
«Manuel, non se ne parla nemmeno. Lascia che se ne occupi il medico. Insomma, non ti preoccupi nemmeno un po' per me e per il nostro futuro erede? Non hai idea di quanto io mi sia spaventata...»
«Ma ti ascolti quando parli? Jana è tra la vita e la morte per aver salvato te e nostro figlio, mentre tu, l'unica cosa che sai dire, è che dovremmo fregarcene. Meglio che me ne vada, non c'è tempo da perdere.» Abel, nel frattempo, si era già diretto nella sua stanza, con tutto il gruppetto al seguito. Dopo aver lasciato la moglie a parlare da sola, anche Manuel li aveva seguiti, ma il giovane medico aveva chiesto a tutti quanti di attendere fuori. Adesso rimaneva solo la preghiera e la fiducia in Abel.
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