Storie di giganti

L'ufficio di Silente era esattamente come Edmund ricordava. Gli scaffali stipati di libri e strani congegni argentei, la grande scrivania di quercia e i ritratti dei Presidi che lo avevano preceduto nei secoli erano sempre al loro posto, come se fosse passato poco più di un attimo dalla sua prima e ultima visita.

−Accomodati – disse il vecchio mago non appena Edmund bussò alla porta dell'ufficio alle sette in punto come stabilito.

Nonostante fosse ormai convinto che Silente stesse inequivocabilmente dalla parte dei buoni, il ragazzo non riusciva a controllare in alcun modo le farfalle nello stomaco che lo tormentavano nel momento in cui si trovava al suo cospetto, suscitando in lui un misto di soggezione e diffidenza.

Devo smetterla con questi vecchi incubi, pensò con rabbia ricordando tutte le storie che Alhena Black gli aveva raccontato sul suo conto.

−Albus Silente è un mago vile e crudele, pronto a manovrare il prossimo come una pedina pur di fare i suoi interessi – diceva spesso. – Conosco storie su di lui che farebbero accapponare la pelle perfino al Signore Oscuro.

Una volta gli aveva raccontato che in realtà Silente odiava i Babbani esattamente come i Mangiamorte, solo che, nel momento in cui Voldemort era salito al potere, si era sentito surclassato e per rimediare si era atteggiato a paladino della giustizia solo per diventare altrettanto celebre. Un'altra, invece, gli aveva confessato che da giovane aveva ucciso sua sorella perché debole e malata.

Di certo quella descrizione raccapricciante non coincideva affatto con il vecchio mago sorridente che Edmund si trovava di fronte, colui che aveva fatto in modo di trovargli una famiglia disposta ad accoglierlo a braccia aperte e di aiutarlo a superare l'orrendo buco nero del suo passato.

−Accomodati pure – disse Silente.

Edmund obbedì senza fiatare.

−Allora, ho saputo dai tuoi insegnanti che ti stai inserendo bene all'interno della scuola – proseguì il Preside tranquillamente. – La professoressa McGranitt mi riferisce spesso gli ottimi voti che riesci a prendere alle verifiche, nonostante qualche insicurezza negli incantesimi, e gli altri membri del corpo docente non sono da meno, il professor Piton compreso. Ma ora veniamo a noi. Suppongo che tu abbia qualche domanda da pormi.

Edmund esitò, incerto. Aveva un trilione di cose da chiedere al Preside, ma in quel momento avvertiva una sorta di vuoto nella sua testa che gli impediva di ragionare, come se in fondo le cose non andassero poi così male.

−Dobby mi ha detto che preferisci dormire sul divano della sala comune, piuttosto che nel tuo letto – gli venne incontro Silente.

−Non è colpa mia! – si difese Edmund, trovando finalmente qualcosa da dire. – Non voglio dormire nella stessa stanza di Draco Malfoy e i suoi compagni, che passano l'intera giornata a dire cose disgustose su di me e i miei amici. Io non ho niente a che vedere con loro e non capisco come mai sono finito proprio a Serpeverde. Perché non ho avuto la possibilità di scegliere, come è accaduto a Harry? Quello stupido cappello non mi ha dato nemmeno il tempo di rispondere. Ha sparato subito la sua sentenza senza neanche dare il tempo alla McGranitt di mettermelo in testa!

−Tutto questo è assai curioso. Anch'io, con tutta sincerità, mi aspettavo che scegliessi di andare in un'altra Casa – rispose Silente in tono pensoso, scrutando il soffitto con i profondi occhi celesti. – Tuttavia, vorrei ricordarti che, nonostante la pessima fama, Serpeverde è e rimane una delle quattro Case di Hogwarts. In fondo, il nobile Salazar non nutriva solo ideali distruttivi contro la sua stessa razza, ma ne condivideva altri assai nobili ed elevati in maniera addirittura superiore agli altri Fondatori. Pensa solo a quanto vengono valorizzati l'orgoglio e l'astuzia tra di voi. Sono valori importanti, Edmund, che il Cappello Parlante avrà sicuramente visto in te più di ogni altra cosa.

−Ma io non sono né orgoglioso né astuto! – protestò il ragazzo.

−Forse non ora, ma sicuramente nutri il seme di queste qualità nelle pieghe più profonde della tua indole e solo una Casa come Serpeverde può aiutarti a coltivarle nel migliore dei modi.

−Sinceramente, preferivo il coraggio dei Grifondoro.

−Mio caro ragazzo, ti vorrei far notare che per adesso hai visto solo il lato negativo dei Serpeverde e questo ti porterà a maggior ragione ad avvicinarti al loro fanatismo. Apri gli occhi, piuttosto: credi forse che i Fondatori avrebbero mantenuto comunque la Casa di Salazar Serpeverde se fosse stata solo un covo di maghi oscuri e niente più?

−No – rispose Edmund, ma in realtà non era convinto per niente.

−Serpeverde sforna ogni anno maghi e streghe eccezionali, che riescono comunque a trovare un posto rispettabile nel mondo senza essere dei Mangiamorte – proseguì Silente.

−Ma io ancora non capisco perché il Cappello Parlante mi ha assegnato proprio a Serpeverde, quando io non avrei voluto finirci in ogni caso.

−Secondo me, il Cappello ha voluto metterti alla prova, così come ha fatto con Harry. Nel suo caso, voleva semplicemente instillargli il dubbio se scegliere la via della grandezza o quella del coraggio. Per quando riguarda te, evidentemente il Cappello ha avvertito qualcosa di più profondo, più grande e imprevedibile, qualcosa che non si può risolvere con un semplice dilemma. Mandarti a Serpeverde equivale a darti la possibilità di farti le ossa e sopravvivere a delle sfide che, se la sorte fosse andata diversamente, ti apparirebbero insormontabili.

−Quindi lei pensa che il Cappello mi stia mettendo alla prova, costringendomi a vivere con le persone che odio?

−Non sono forse proprio l'odio e la rabbia i sentimenti che più ti hanno logorato in questi anni?

Quella risposta lo spiazzò completamente. Certo, di odio e rabbia ne aveva provati fin troppo mentre si trovava rinchiuso nel sotterraneo, senza alcun contatto con il mondo esterno, sepolto vivo per dei crimini che non aveva mai commesso; ma non erano nulla in confronto alla paura. Sì, lui odiava ciò che gli faceva paura. E provava raccapriccio, tanto raccapriccio, a tal punto da sfociare nel panico ogni qual volta che qualcuno nel suo dormitorio millantava la superiorità dei Purosangue.

−Io non sono come loro – disse in tono deciso. – Non so a che gioco stia giocando il Cappello Parlante, ma credo che abbia preso uno sbaglio. I miei genitori erano dei perseguitati, non dei Mangiamorte! Il mio posto non è tra i figli di coloro che hanno ucciso tanti innocenti per divertimento. Per favore, tutto quello che voglio adesso è poter cambiare Casa.

−Mio caro ragazzo, temo che ciò non sia possibile – disse Silente diventando serio. – La decisione del Cappello Parlante è inappellabile. Ma ciò non ti preclude la possibilità di scegliere. Al contrario, lui ti ha dato una grandissima opportunità: quella di essere un Serpeverde diverso da tutti gli altri. Tu hai delle qualità straordinarie, Edmund, qualità che lo stesso Godrick Grifondoro apprezzava in Salazar Serpeverde prima che il fanatismo lo accecasse: un'intelligenza e una forza d'animo straordinarie, arricchite dal giusto senso del dovere. Non è cosa da tutti possedere queste doti, che di certo ti rendono molto diverso dal giovane Draco Malfoy.

−Ecco perché mi sento una mosca bianca lì dentro. Sono solo.

−Tu non sei da solo. Sempre Dobby mi ha raccontato della tua amicizia con Adam Johnson, un mago davvero eccezionale. E non credere che lui sia l'unico Mezzosangue all'interno di Serpeverde. In realtà, ve ne sono molti più di quanto tu possa immaginare, solo che si guardano bene dal dirlo in giro – a quelle parole, Silente gli rivolse un'eloquente occhiata d'intesa.

Edmund non rispose, prendendo a fissarsi la punta delle scarpe. Si ricordava di come Adam si fosse congedato da lui all'ora di cena, entrambi sicuri che quella notte Edmund avrebbe finalmente cambiato Casa. Si ricordava il groppo alla gola che aveva nel momento in cui si erano salutati. In fondo, si erano affezionati l'uno all'altro. Se Edmund avesse davvero cambiato Casa, a chi avrebbe chiesto aiuto Adam?

Il ragazzo sospirò, sentendosi definitivamente in trappola. Ancora una volta, aveva la sgradevole sensazione di creare solo dolore inutile ogni volta che provava a muovere un passo. Silente continuava a fissarlo con aria pensosa, un'espressione indecifrabile dipinta sul suo volto antico.

−Si sa qualcosa di... Lord Voldemort? – si azzardò a chiedere Edmund dopo una lunghissima pausa di silenzio.

−Mi aspettavo che me lo chiedessi – rispose il Preside di Hogwarts, prendendo a fissare un punto imprecisato oltre le sue spalle. – No, purtroppo non si sa ancora nulla. L'unica cosa certa è che sta cercando un'arma, qualcosa che non aveva con sé la notte in cui perse i suoi poteri.

A quelle parole, Edmund si sentì invadere dal gelo.

–Signore... − balbettò. – Lei pensa che... in qualche modo... possa... ? – non aveva neanche il coraggio di finire la frase, tanto terribile era la verità che si aspettava di ricevere in risposta.

−No, Edmund, non sei tu. Di questo ne sono più che sicuro – lo rassicurò Silente con un sorriso. – Credo di avere una mezza idea di che cosa si tratti, ma non voglio confonderti le idee con qualcosa di terribilmente oscuro, troppo grande per non sconvolgere una mente così giovane. Spero che tu comprenderai la precauzione di un vecchio.

−Sì, signore – annuì Edmund, mentre il cuore gli batteva all'impazzata per il sollievo. – Mi chiedevo solo se posso parlarne con Harry Potter. Sa, io e lui siamo ormai amici e si è più volte lamentato con me del fatto che non vuole riceverlo. Vede, anche lui è molto in ansia per questa faccenda.

−Comprendo ciò che sta passando, ma non posso permetterti di rivelargli quanto avvenuto qui dentro stasera, Edmund – rispose Silente tornando serio ancora una volta. – Vedi, la notte in tentò di uccidere Harry, Voldemort creò un collegamento involontario tra lui e il ragazzo. Ecco perché Harry riesce a percepire i suoi pensieri, a entrare nella sua testa. È un dono che può tornare utile, ma che allo stesso tempo può rivelarsi estremamente pericoloso. Se solo Voldemort scoprisse che Harry può entrare nella sua testa, potrebbe cercare di manipolare i suoi pensieri o addirittura di usare i suoi ricordi per estorcere informazioni estremamente importanti per lui. Ecco perché mi sto rifiutando di vedere il ragazzo in questo periodo: non voglio che Voldemort veda o senta cose che potrebbero tornargli utili, a partire dal fatto che Harry venga a conoscenza di questo dono nascosto.

−Ma così siamo tutti in pericolo, io per primo! – esclamò Edmund terrorizzato. – Voldemort mi sta dando la caccia e potrebbe usare Harry per sapere dove sono! Ecco perché gli fa sempre male la cicatrice quando mi guarda negli occhi – a quel pensiero, il ragazzo ebbe un moto di vertigine per la paura.

−Voldemort saprà sicuramente della tua fuga, ma non può toccarti in alcun modo. Qui sei al sicuro, Edmund, e anche fuori sei protetto da incantesimi che gli impediranno comunque di far del male a te e alla tua famiglia adottiva – lo rassicurò Silente. – Tuttavia, devi promettermi che non rivelerai a Harry ciò che ti ho confidato questa sera. Capisci che, nelle mani di Voldemort, una simile informazione avrebbe dei risvolti catastrofici.

−Certamente, signore. Ha la mia parola – assicurò Edmund. – Però non è giusto! Insomma, è orribile restare isolati dal mondo senza sapere che cosa succede là fuori. Se io fossi Harry, impazzirei. Possibile che non si possa fare proprio niente?

A quella domanda, il Preside sorrise sornione. – Stagli vicino, Edmund. Confortalo più che puoi. Harry ti vuole bene, anche se sei di Serpeverde, e ora più che mai ha bisogno di un amico su cui contare veramente. Non è poco, credimi.

Il ragazzo annuì. – Cercherò di fare del mio meglio, signore.

−Bene, mi ha fatto piacere parlare di nuovo con te dopo tutti questi mesi. Ora però è meglio se torni nel tuo dormitorio: si è fatto tardi e non credo che la professoressa Umbridge conceda deroghe a noi poveri docenti.

−Anche per me è stato un piacere. Buonanotte, signore.

Edmund si alzò in piedi e fece per andarsene, quando la voce del Preside lo costrinse a voltarsi un'ultima volta.

−Edmund, − disse questi in tono pacato – c'è qualcosa che vorresti dirmi?

Inizialmente il ragazzo pensò di dire di no, era troppo stanco e confuso per restare a discutere; poi, però, fu colto da un'improvvisa illuminazione.

−Sì – rispose sfoderando un sorriso luminoso.

Si sedette di nuovo alla scrivania e gli raccontò dell'ES.

***

Il venerdì mattina, Susan aveva ben due ore di buco a disposizione. Solitamente, le impiegava per anticiparsi i compiti, ma quel giorno aveva ben altro da fare. Stando attenta a non attirare troppo l'attenzione, la ragazza superò a passo felpato la Sala d'Ingresso e s'inoltrò nel parco, gettandosi un'ultima occhiata nervosa alle spalle per accertarsi di non essere stata seguita. Certo, quella non sembrava la giornata ideale per fare due passi all'esterno, tuttavia Susan non aveva altra scelta.

Camminò speditamente per i prati avvolti dalla nebbia, stringendosi alla meglio negli abiti, le dita ormai gelate che stringevano febbrilmente la tracolla della borsa. Non tirava un alito di vento e il silenzio era assoluto. La ragazza proseguì ancora, fino a raggiungere i primi alberi della Foresta Proibita. Imboccò il sentiero, stando attenta a evitare un drappello di Tassorosso che si dirigeva a Cura delle Creature Magiche, e puntò verso il lago, fino alla radura in cui pochi mesi prima era stata aggredita insieme alla persona da cui non riceveva notizie ormai da un mese.

Si fermò sul terreno cosparso di foglie secche, osservando immobile l'alta sagoma incappucciata che l'attendeva seduta su un tronco caduto. Le dita le si strinsero prontamente attorno alla bacchetta.

−Caspian? – domandò con la voce spezzata.

La figura si sollevò con un lieve fruscio, togliendosi prontamente il cappuccio. Inutile descrivere le sensazioni che travolsero Susan nel momento in cui rivide di nuovo il ragazzo che amava dopo così tanto tempo. Da una parte fu travolta da una gioia irresistibile, dall'altra ebbe come la sensazione di essere stata colpita a morte. Si soffermò sul suo sorriso luminoso e i brillanti occhi neri, dolci e sensuali. Era più bello che mai, ma la sua era una bellezza che faceva male.

−Susan! – esclamò lui venendole incontro.

In un attimo, le loro labbra furono una cosa sola.

−Mi sei mancato – gemette Susan affondando una mano nel suo mare di capelli scuri e baciandolo con foga, come se volesse trasmettergli tutta l'angoscia che provava con quel semplice gesto.

−Mi dispiace, sono riuscito a venire da te solo oggi – si scusò lui scostandole una ciocca di capelli che le era scivolata sul viso.

−Potevi scrivermi – rispose l'altra, di colpo gelida.

−La posta è controllata e i camini sono sotto osservazione.

−Potevi usare uno pseudonimo e cambiare gufo ogni volta, come fa Harry con Sirius.

−Non è così semplice. Io sto facendo il doppio gioco: ho un ruolo all'interno del Ministero e tutti mi conoscono per quello. Non posso mettermi in mostra, non ora che sto cercando di aiutare Silente.

−Certo, e Silente sarebbe più importante di me?

−Susan, siamo in guerra...

La ragazza fece un passo indietro con stizza, scostandosi da lui.

−Appunto perché siamo in guerra non posso stare lontana da te – disse a voce bassissima, fissando il suolo. – Non puoi capire quello che sto passando. Ogni giorno ho il terrore che ti scoprano, che ti catturino. Non oso pensare a quello che potrebbero farti quei mostri. Mi basta e avanza ciò che la Umbridge compie all'interno di Hogwarts senza che nessuno possa alzare un dito per fermarla. Questo tuo silenzio, questa tua assenza, è per me la più lenta e atroce delle agonie.

Caspian provò a riavvicinarsi, ma Susan si scostò ancora di più. Si sentiva tradita e offesa, come se di colpo al suo ragazzo non gli importasse più nulla di lei. Certo, erano in guerra, ma anche in quelle situazioni coloro che si amano riescono a tenersi in contatto. O no?

−Mi dispiace, Susan – fu tutto quello che riuscì a dire Caspian. – Non era mia intenzione ferirti, ma prova a metterti nei miei panni. In questo ultimo mese non ho più avuto un attimo di tregua. Sto svolgendo una missione per conto di Silente, una missione difficile e piena di pericoli.

−Quale missione? – domandò Susan tagliente.

–Non posso parlartene. Scusami.

−Ah.

Susan si strinse nei vestiti, infreddolita e allo stesso tempo a disagio. Stava lottando contro le lacrime che minacciavano di sfuggirle da un momento all'altro. Era finita, questo lo sapeva. Quella con Caspian era stata solo una storia passeggera, di quelle che finiscono velocemente come cominciano. Del resto, il giovane Von Telmar aveva qualche anno più di lei, che andava ancora a scuola. Erano due mentalità completamente diverse. Lentamente, tra loro era tornato a stendersi il velo che divideva il professore dalla studentessa solo un anno prima. Solo che Caspian non aveva il coraggio di troncare. Neanche Susan, del resto.

−Non pensare che ti voglia abbandonare. Non pensarlo neanche per un momento – disse lui sfidando la sua ostilità, circondandole la vita con le braccia e affondandole il volto nei capelli.

Susan cercò di rimanere impassibile ai suoi baci e alle sue carezze, ma qualcosa dentro di lei urlava di dolore a quella resistenza. Avvertiva il profumo esotico di lui, il tocco delle sue mani e delle sue labbra, la sorprendente dolcezza con cui le sue braccia forti la stringevano a sé. Senza pensarci oltre, la ragazza si voltò a sua volta, baciandolo con passione e tirandolo a sé. Per poco le sue dita non gli graffiarono la schiena e il collo, ma poi la sua presa divenne più morbida e dolce, cullata da quella di lui.

Ecco perché mi piaci, pensò Susan mentre una lacrima le solcava il viso e si posava sul mento di Caspian. Mentre io sono sempre così dura con me stessa e con gli altri, tu sai tirare fuori tutta la dolcezza che ho paura di dimostrare.

−Susan! – esclamò il giovane posandosi un dito sul mento bagnato. – Ma... stai piangendo?

−Scusami – gemette lei, nascondendosi il volto dietro il palmo della mano.

Lui la abbracciò forte, cercando di farle coraggio.

−Sono stato un bastardo – mormorò. – Non volevo che pensassi che ti stavo abbandonando. Ti prego, credimi: l'ho fatto per proteggerti. Non hai idea di quello che sta succedendo là fuori.

Susan levò lo sguardo su di lui, gli occhi di ghiaccio che fremevano dalla rabbia.

−Non farlo mai più – scandì con decisione.

−No, Sue – la rassicurò lui. – Mai più.

***

La vita a Hogwarts era diventata un vero inferno, specie dopo il Decreto Didattico numero 25, in cui la Umbridge si era annoverata il diritto di distribuire punizioni a suo piacimento. Era stato così che Harry, dopo che Angelina aveva così faticosamente ottenuto il permesso di ricostituire il Grifondoro, si era beccato un'espulsione a vita insieme ai gemelli Weasley per aver risposto per le rime a Goyle dopo che questi lo aveva buttato giù dalla scopa a suon di Bolidi.

Dopo la disastrosa partita, Jane aveva cercato il fratello più o meno per tutto il castello, aiutata da Ron e Hermione. Il fatto che il ragazzo fosse stato espulso le faceva male quasi quanto a lui: sin dal primo anno, la giovane strega si era abituata a vederlo sfrecciare in sella a una scopa, acclamato dall'intera scuola. Era bravo a volare, Harry. Era una sorta di talento naturale, ereditato da suo padre. Il volo era il suo elemento, dove riusciva a essere finalmente se stesso, libero da qualsiasi preoccupazione, a partire dalla cicatrice che continuava a bruciare in maniera allarmante. Ora che la Umbridge lo aveva privato anche di quello, che senso aveva restare a Hogwarts?

Jane maledisse quel mostro fino alla ventesima generazione. Stava distruggendo la vita di suo fratello giorno per giorno, assillandolo e torturandolo con sadica lentezza, in modo tale da condurlo gradualmente alla disperazione. Quell'essere le risultava ancora più spregevole di Alhena Black, così falso e perfido. Avrebbe tanto voluto trasformarla in uno scarafaggio e calpestarla.

Verso sera, iniziò a nevicare. Jane, Ron e Hermione trovarono Harry nella sala comune del loro dormitorio, sprofondato su una poltrona davanti al caminetto. Aveva lo sguardo perso nel vuoto come quello dei drogati.

−Harry! – esclamò Jane rannicchiandosi al suo fianco e stringendosi a lui.

−Voglio stare da solo – mugugnò il ragazzo senza tanti complimenti.

−Harry, devi venire con noi – intervenne Hermione in tono sbrigativo. – È successa una cosa. Guarda tu stesso.

Il ragazzo si levò in piedi di malavoglia, caracollando verso la finestra e osservando il punto che l'amica gli indicava con il dito.

Con un tuffo al cuore, si rese conto che le finestre della capanna di Hagrid erano illuminate.

***

Negli ultimi tempi i ragazzi erano decisamente cresciuti. Jane se ne rese conto nel momento in cui dovettero stringersi parecchio sotto il Mantello dell'Invisibilità, che ormai non bastava più a coprirli tutti e quattro. Con suo sommo piacere, si ritrovò letteralmente incollata al fianco di Ron. Se solo avesse potuto, avrebbe iniziato a fare le fusa, anche se poi si sarebbe vergognata a vita di una cosa del genere.

Il quartetto riuscì a eludere tutti i sistemi di sorveglianza piazzati per il castello e riuscì a raggiungere la capanna di Hagrid prima che facesse buio. In effetti, il gigante buono era tornato davvero: Ron lo vide chiaramente dalla finestra mentre metteva sul fuoco il bollitore del tè.

−Hagrid, siamo noi! – gridò Harry prendendo a bussare come una furia.

Nel momento in cui l'amico venne ad aprire loro, i ragazzi si lasciarono sfuggire un'esclamazione di orrore. L'intero volto del gigante era gonfio e tumefatto, come se fosse reduce da una violenta rissa.

−Venite dentro – intimò loro con fare sbrigativo. – Non potevate aspettare fino a domattina per venire qui, eh?

−Eravamo preoccupati per te – domandò Harry sprofondando in una vecchia poltrona grande come un letto a due piazze.

Thor, il gigantesco cane di Hagrid, gli fu letteralmente addosso, leccandogli tutta la faccia.

−Anch'io sono preoccupato per voi – rispose il gigante tirando fuori cinque tazze grandi come secchi da muratore. – Dissennatori in mezzo ai Babbani. Roba da matti!

−Dove sei stato? – incalzò Harry.

−Missione segreta. Top secret.

−A noi puoi dirlo.

−Sai che non posso.

−Se ce lo dici, io ti racconto dei Dissennatori.

Hagrid lo fissò con aria truce; poi borbottò: − E va bene. Io e Olympe siamo stati dai giganti.

Giganti? – squittì Hermione incredula.

−Ma sì, non sono difficili da trovare, anche se vivono confinati in una riserva in Siberia, dove sono liberi di ammazzarsi tra di loro. Io e Olympe eravamo quasi riusciti a convincerli a passare dalla nostra parte, ma sul più bello sono arrivati i Mangiamorte e li hanno portati dalla loro. Per poco non ci ammazzano. La missione è fallita nel peggiore dei modi.

−Quindi adesso i giganti stanno dalla parte di Tu-Sai-Chi? – domandò Ron con un brivido.

−Certo che sì! E non c'è da scherzare, con dei tipi grossi come loro.

−Almeno sei tornato vivo – cercò di confortarlo Jane, anche se in cuor suo tremava alla sola idea di trovarsi di fronte a un vero gigante.

−Non è stato tutto inutile. Ho scoperto delle cose, mentre ero lì – aggiunse Hagrid. – Si raccontano strane storie tra i giganti. Negli ultimi cinquant'anni, pare che Lilith, una gigantessa particolarmente sanguinaria, abbia avuto una relazione con un mago di quelle parti.

−Che cosa? Com'è possibile? – esclamò Harry disgustato.

−Sono cose che succedono – spiegò Hagrid pazientemente. − Anche tra mio padre e mia madre fu così, sapete? Fatto sta che questa gigantessa è rimasta incinta e ha avuto una bambina, una strega. Per questo sono state cacciate dalla comunità e di loro non si è saputo più niente.

−Aspetta, Hagrid – chiese in quel momento Jane, la mente che galoppava. – Stai forse dicendo che questa bambina è Jadis?

In quel momento, una violenta scarica di colpi si abbatté contro la porta.

La tazza che Hermione reggeva tra le mani cadde a terra e si ruppe in mille pezzi.



**** Angolo Autrice ****

Eccomi qua, pronta per un nuovo capitolo! :) Come state? Okay, l'immagine all'inizio è decisamente indicativa per l'ultimo colpo di scena, che sicuramente vi aiuterà a ricostruire parecchi pezzi dei personaggi secondari. In fondo, anche nell'opera originale la Strega Bianca era discendente dai giganti, quindi non poteva mancare. 

Per quanto riguarda Edmund, come vedete i suggerimenti di Silente? E magari qualcuno di voi ha notato qualche punto in comune con qualche altro personaggio? Okay, qui mi fermo altrimenti rischiamo una valanga di spoiler. Ma se qualcuno di voi ha qualche supposizione, sappiate che sono molto curiosa di sentirla ;)

Una cosa ci tengo a precisare: essendo una fanfiction, è ovvio che alcuni momenti saranno tralasciati a favore di altri, per concentrarci maggiormente sui protagonisti ed evitare un freddo copia e incolla della storia originale, che ormai conosciamo quasi tutti. Spero che condividiate questa mia scelta e non la scambiate per superficialità. Dopotutto, è anche per questo se scriviamo fanfiction, per dare qualcosa di più all'opera originale ;)

Credo di avervi detto tutto. Come sempre, un grazie di cuore va a tutti voi che state sostenendo questa piccola storia. Davvero, per me ha un valore molto importante e non c'è gioia più grande di quella di sapere che vi sta piacendo così tanto! Se avete voglia, lasciatemi pure una stellina o un piccolo commento: mi farebbe davvero piacere <3


Un abbraccio e buon inizio settimana,


F.

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