Capitolo 8

L'uomo affondò la sua spada nel ventre di un soldato che si stava abbattendo su Leonell e ne atterrò un altro vibrando un colpo mortale. Con un calcio ne mise in ginocchio uno che aveva provato a ferirlo e lo finì tagliandogli la gola. Nel frattempo, due arcieri dall'altra parte della strada stavano mirando nella loro direzione.

«Attento là» urlò Leonell indicandogli uno che stava incoccando una freccia. L'uomo allora estrasse dalla sua toga un pugnale e, con una mira impeccabile, glielo tirò addosso, colpendolo all'altezza del cuore. L'altro arciere allora si distrasse e la sua freccia finì per mancarli.

Ma proprio mentre ne stava per estrarre un'altra dalla faretra, l'uomo aveva attraversato la strada e si era parato proprio davanti a lui, infilzandolo.

«Bel colpo, Kircer» disse una voce minacciosa dietro di loro.

Kircer, così si chiamava quello strano sconosciuto, si voltò e vide un soldato alto e robusto ergersi davanti a lui, armato di spadone e ben corazzato, con un elmo argentato e un pennacchio dello stesso colore. Kircer roteò la spada e, con un rapido movimento, si chinò a terra e raccolse il pugnale che aveva tirato ad uno degli arcieri, per poi lanciarsi contro quello spaventoso soldato, che sembrava essere il doppio più grande e più forte di lui.

Leonell non poteva fare niente per aiutarlo e nemmeno rimanere così scoperto, così decise che l'unica sua possibilità era andarsene e lasciare che Kircer, o qualunque fosse il suo nome, affrontasse il suo destino. Il ragazzo lasciò dunque quella strada e ricominciò a cercare la "Via della Seta", nonostante fosse ancora un po' scosso da quell'incontro.

Non ebbe neanche il tempo di allontanarsi che fu raggiunto da uno squadrone di soldati, che lo circondò completamente. Saranno stati cinque o sei e tenevano le spade sguainate su di lui, mentre uno di loro non smetteva di ridacchiare compiaciuto.

«Ti abbiamo in pugno, piccolo bastardo» ghignò.

«Cosa volete da me?» domandò Leonell, più spaventato che mai.

Cosa volevano quegli uomini così minacciosi da un ragazzo come lui? La tensione era palpabile nell'aria e il terrore cominciava a pervaderlo: iniziò infatti a tremare come una foglia e a sudare freddo, ma non arrivò mai alle lacrime.

«Hai ucciso il nostro lord e fatto a pezzi una decina di nostri compagni: non avremo alcuna pietà di te».

«Io non ho fatto nulla» si difese.

«Oh, sentitelo, ora se la fa addosso» lo derise uno. «Preparati a...».

Ma prima che potesse terminare la frase, un pugnale gli si era conficcato nel cranio e il sangue prese a schizzare in ogni direzione. L'uomo cadde, rantolando e agitando le braccia: Kircer si abbatté come una furia sul resto dei suoi compagni, decimandoli tutti in poco tempo.

Allora ce l'aveva fatta! Dentro di sé, Leonell era felice che fosse sopravvissuto al duello con quel gigante e che ora potesse aiutarlo.

Il ragazzo si spostò per evitare i fendenti mortali dei soldati, che tentavano in tutti i modi di difendersi, ma la spada di Kircer non riservò loro alcuna pietà. Una volta fatti a pezzi tutti, rinfoderò la lama insanguinata e guardò il giovane Leonell, rimasto incolume.

«Tutto bene?» gli chiese.

E lui annuì, ancora sconvolto. «Volevano uccidermi» balbettò in seguito.

«Ti hanno scambiato per mio figlio, perdonami» spiegò Kircer, a mo' di scuse. «Andiamocene, ora ti daranno la caccia» aggiunse, avvicinandosi a lui e mettendogli una mano sulla spalla.

«Come faccio a fidarmi di te?» gli domandò però Leonell, togliendogliela. I loro sguardi si incrociarono e lui non riuscì a sostenere quei micidiali occhi neri, che lo fissavano senza riguardo.

«Ti ho salvato e tu hai salvato me» rispose.

«Io... devo tornare dalla mia famiglia» si giustificò lui, ma cambiò idea quando vide in lontanaza altre guardie correre verso di loro.

«Qualcosa mi dice che non sarà un viaggio facile» commentò Kircer. «Ora, corri e fa' come ti dico!».

Leonell annuì e i due scapparono da quella zona, seminando abbastanza velocemente i soldati che li stavano inseguendo. Smisero dunque di correre e si ritrovarono in un'altra strada affollata. A quel punto, Kircer allungò la mano verso di lui.

«Perdona la maleducazione. Sono Kircer Rheman» disse.

Un po' titubante, Leonell gli porse la sua. «Leonell Karal» e gliela strinse.

Poi, Kircer iniziò a guardarsi attorno, inquieto, alla ricerca di qualcosa o di qualcuno. Leonell imitava i suoi movimenti, cercando di capire cosa o chi volesse trovare in mezzo a tutta quella gente.

«Ehi!» esclamò poi all'improvviso, cogliendo Leonell alla sprovvista.

Dall'altra parte della strada, c'era un carro e, appoggiato ad esso, una donna. Leonell non ne aveva mai vista una così bella: aveva lunghi capelli biondi raccolti in una treccia, una carnagione leggermente abbronzata e un paio di affascinanti occhi verde smeraldo. Era magra e sinuosa, molto più alta rispetto a Kircer, che poteva essere considerato un uomo nella media, almeno secondo i canoni di Esperia, e il suo volto iniziava ad essere segnato da qualche ruga.

«Era ora, dove diavolo eri finito?» chiese spazientita la bionda prima di vedere Leonell. A quel punto, strizzò gli occhi e la sua fronte si raggrinzì. Sembrava che la sua vista l'avesse irritata parecchio. «E lui chi è? Kircer, maledizione! Sai che non...».

«Tranquilla, tesoro: lui è Leonell, l'hanno scambiato per Gil e l'avrebbero ucciso se l'avessi lasciato lì indifeso» spiegò lui.

La donna però non smise di guardare trucemente il ragazzo. «Piuttosto...» proseguì Kircer guardandosi intorno. «Dov'è Gil?»

«Starà tornando» rispose la donna con sufficienza.

Leonell era incredibilmente attratto dai suoi occhi smeraldo e non riusciva a smettere di fissarli.

Kircer notò il suo stupore e accennò un sorriso. «Lei è Rilynn Artharis, mia moglie... Rilynn, lui è Leonell».

Lei spalancò gli occhi, inferocita, e si rivolse al marito con tono ostile. «Kircer, maledizione!»

«Devi scusarla» aggiunse subito lui, cercando di tranquillizzare Leonell, che non capiva il motivo di tanto astio nei suoi confronti.

«Adesso basta, ora che l'hai portato qui...» Rilynn fu interrotta da un fruscio alle sue spalle: in mezzo a loro era improvvisamente comparso un ragazzino dai capelli castani. Leonell non lo aveva neanche visto arrivare e rimase a bocca aperta. Kircer invece rise di gusto: «Scaltro come pochi, nostro figlio Gil».

Il ragazzo, che avrà avuto pressappoco l'età di Leonell, prima lo squadrò, poi gli strinse la mano, leggermente confuso. Leonell fece altrettanto. "Gil... anche il macellaio di Lebem si chiamava così" pensò, facendosi prendere dalla malinconia, ma quello era un nome piuttosto diffuso ad Esperia, niente di cui meravigliarsi.

«Gil, hai trovato tutto?» chiese Kircer sottovoce al figlio, che annuì indicandosi la tasca dei pantaloni.

Rilynn però non si calmò: «Ora, mi spieghi cosa intendi fare con lui?» gli domandò, riferendosi a Leonell.

«Volevo assicurarmi che stesse bene: Gil, passami dei vestiti puliti dal carro» ordinò Kircer e il figlio obbedì senza discutere.

Rilynn invece si irritò e si avvicinò al marito. «Non vorrai rovinare il nostro piano, vero?» gli sussurrò all'orecchio e aggiunse qualcos'altro che Leonell non riuscì a sentire: vide solo Kircer scuotere la testa e replicare qualcosa di incomprensibile. «Bene» concluse lei.

Poco dopo, Gil porse a Leonell una borsa con dei nuovi vestiti.

«Così le guardie non ti riconosceranno» spiegò Kircer. «E per "Via della Seta" non devi fare altro che seguire questa strada e svoltare a sinistra» proseguì, indicandogli la direzione.

Rilynn tornò a guardare Leonell, puntandogli contro i suoi minacciosi occhi verdi. «Bene, ora che hai tutto, puoi andartene!»

Ma proprio in quel momento, così come era successo poco prima con Kircer, un'altra freccia li sfiorò, colpendo la borsa che Leonell teneva in mano. La gettò per terra dallo spavento e si abbassò, cercando di schivare i colpi che arrivavano dalle sue spalle.

Un uomo si lanciò su Rilynn, ma la donna estrasse due daghe dalla cintura legata intorno al suo vestito e lo finì in un batter d'occhio. Anche il più piccolo, Gil, si ritrovò a combattere contro un altro uomo e, con un'incredibile rapidità, lo aggirò e lo colpì dritto alla schiena, facendolo cadere a terra, rantolante. Ci pensò sua madre Rilynn però a dargli il colpo di grazia, tagliandogli la gola.

«Ce ne sono altri» esclamò Kircer.

Leonell si sentì afferrato e si ritrovò, senza nemmeno rendersene conto, sul carro. In pochi secondi, Kircer si era messo alle redini e i quattro ora stavano sfrecciando per le strade di Ménalis, inseguiti da arcieri a cavallo.

«Stai sdraiato!» gli disse Rilynn, spingendolo giù, poi tirò fuori un arco da un cesto e iniziò a scoccare frecce contro i cavalieri alle loro spalle. Aveva una mira impeccabile: con un solo colpo aveva centrato il bersaglio e continuò così. Gil invece cercava di aiutare la madre tirando della frutta, così da stordire i cavalli e farli sbandare. Uno si era quasi avvicinato al carro e aveva cercato di colpire con la sua spada Rilynn.

«Gil!» urlò la donna per attirare l'attenzione del figlio, che prese subito una delle daghe della madre e la lanciò contro il cavaliere: il coltello si conficcò nel collo del nemico, che cadde in un mare di sangue, mentre il suo cavallo continuò a correre senza meta.

Qualche minuto dopo, si trovavano già fuori dalle mura di Ménalis e nessuno li stava più inseguendo. Il cuore di Leonell però non smise di battere all'impazzata.

«Li abbiamo seminati» riferì Rilynn al marito, che non diminuì la velocità.

Leonell era ancora sconvolto. Quelle non erano persone normali: come diavolo avevano fatto a massacrare così tanti uomini e, soprattutto, perché erano inseguiti? Il ragazzo si sentì qualcosa sulla fronte: si passò la mano e, quando vide che era sangue, si sporse dal carro e vomitò.

"Con chi diavolo sono finito?" si chiese terrorizzato.

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