Capitolo 39 (Jaroh)
Re Jaroh di Hassara
Hassara (capitale dell'omonimo regno), 15 agosto del 350esimo anno dalla fondazione di Ashenfall...
Jaroh era rientrato al sicuro all'interno delle mura della città, accompagnato dai suoi più fidati cavalieri, ser Haryo e ser Meher. Come riuscisse a rimanere in sella al suo cavallo con un'asta conficcata nel fianco, rimaneva un mistero anche per lui: Jaroh sudava come non aveva mai fatto, ma non sentiva alcun dolore. Assurdo. In effetti, tutto quanto era assurdo: la flotta di Ashenfall era sbarcata sulla costa orientale di Hassara e in poco più di una settimana l'esercito nemico era risalito fino alla capitale, dove Jaroh stava schierando le sue armate per andare a respingere quegli invasori.
Erano stati sorpresi nel bel mezzo dei preparativi e si erano gettati immediatamente contro il nemico. Jaroh in quei momenti era nella sua tenda a discutere di possibili strategie insieme ai suoi migliori generali e di certo non si aspettava un attacco così improvviso.
Quando era uscito, si era ritrovato nella confusione più totale. Non riusciva a pensare con tutta quella gente che correva all'impazzata da una parte all'altra e con quel caos. Fu portato alla realtà solo dal suo scudiero, che gli aveva preparato il cavallo per lo scontro imminente. Jaroh era montato in sella e aveva richiamato l'ordine tra le sue truppe.
«Non è il momento di impazzire» esordì a pieni polmoni, cosicché tutti lo sentissero. «Siamo o no uomini di Hassara?».
A quell'affermazione, ognuno si batté il pugno al petto e gridò in segno di approvazione.
«Siete o no soldati di Hassara?».
Altre grida si levarono nell'accampamento e, per un momento, a Jaroh sembrò che perfino l'aria stesse vibrando.
«Siamo stati traditi. Ciascuno di noi è stato tradito nel profondo. E adesso i traditori sono a poche centinaia di metri e non vedono l'ora di spargere il nostro sangue dorato. Facciamo vedere loro cosa succede a mettersi contro Hassara».
I soldati, che nel frattempo si erano radunati intorno al loro re, batterono gli scudi all'unisono e iniziarono a intonare il motto di Hassara: «Servi di nessuno».
Jaroh sorrise compiaciuto e urlò anche lui a squarciagola: «Servi di nessuno». Quello era stato il segnale per la battaglia.
Ore dopo, la situazione era critica e il morale dei soldati non era di certo migliorato dopo che ebbero visto il loro re ritirarsi verso la città, ferito e sanguinante. Jaroh avrebbe voluto rimanere in mezzo al campo a combattere, ma era stato portato via a forza da Haryo e Meher, due suoi cavalieri e compagni di una vita.
Una volta al sicuro, fu prontamente mandato un medico ad ispezionare la ferita che sanguinava copiosamente. Jaroh non sentì niente finché non gli fu estratta la lancia: il dolore fu lancinante e si resse a malapena in piedi. All'improvviso, le porte delle mura si aprirono e i soldati sopravvissuti si fiondarono al loro interno, per poi sbarrarle. Jaroh, che era ancora in mezzo alle strade deserte della capitale, chiese spiegazioni. Uno dei suoi uomini si fermò a vedere come stava il suo sovrano e gli spiegò che i suoi si erano ritirati.
A quelle parole, Haryo e Meher presero il re per le braccia e lo aiutarono a rimettersi a cavallo. «Dobbiamo portarvi al sicuro a palazzo» dissero, per giustificare le loro azioni.
«No» esclamò Jaroh, ma dovette accettare riluttante di essere accompagnato là.
Rischiò di cadere da cavallo quando un boato sconquassò tutta la città: Jaroh fu subito soccorso da Haryo, che lo aiutò a reggersi. Poi si girò verso la fonte del rumore: proveniva dalle mura. Con sconcerto, Jaroh vide una delle sue torri di guardia, o almeno ciò che rimaneva di essa, andare a fuoco.
«Non è possibile» balbettò sconvolto. «Non possiamo perdere».
«Maestà, dobbiamo andarcene via da qui» lo avvertì Meher e i tre ripresero la loro frenetica corsa verso il palazzo.
Una volta entrati, alcuni servitori si apprestarono a soccorrere il sovrano, che però rifiutò il loro aiuto.
«Non me ne starò qui come un codardo a non fare nulla» protestò.
«Invece starete qui e vi farete curare la ferita» replicò Haryo.
«Io sono il tuo re: non puoi darmi ordini» si ribellò Jaroh, cercando di scendere da cavallo senza farsi troppo male. Purtroppo per lui, non ci riuscì e rischiò di cadere malamente.
«È il vostro stesso corpo, stanco e ferito, che non ve lo permette» gli fece notare invece Meher.
Una porta si aprì e poi si richiuse di colpo: una donna stava correndo incontro a Jaroh, che era sceso a fatica dallo stallone.
«Oh dèi, che ti hanno fatto?» esclamò preoccupata vedendolo sanguinare.
«Niente» rispose l'altro, cercando di allontanarla perché non vedesse la sua ferita.
«Come mai è ancora in piedi? Qualcuno gli porti una lettiga su cui sdraiarsi, subito» ordinò lei furibonda.
«Mia regina» iniziò Meher. «La città forse cadrà entro stasera: sarebbe meglio iniziare i preparativi per la fuga» le suggerì lui.
«Ser Meher, tu resterai con noi, mentre tu, ser Haryo, andrai dai nostri figli e li preparerai ad un'eventuale fuga».
«Agli ordini» disse Haryo e se ne andò.
«Non ci sarà nessuna fuga, Laggaroh» la rassicurò Jaroh e poi la guardò negli occhi: sua moglie Laggaroh era una donna estremamente bella, dallo sguardo intenso e provocante, dalla folta chioma corvina, con la pelle leggermente olivastra e i seni prosperosi.
Finalmente, i servi arrivarono con la lettiga e vi adagiarono il re, che con una smorfia di dolore accettò il fatto di essere visitato e curato dai medici.
E poi avvenne l'impensabile: le campane del porto cominciarono a suonare. C'erano dunque navi in avvicinamento. Jaroh divenne improvvisamente pallido, temendo l'arrivo di nuovi nemici, e si fece rimettere in piedi. «Ho bisogno di vedere» spiegò.
Si fece portare all'esterno, dove si godeva di una meravigliosa vista sul mare. La moglie gli si affiancò e scrutò l'orizzonte: effettivamente c'erano davvero delle navi in lontananza.
Jaroh, forse per la luce accecante o per il dolore, non riusciva a mettere a fuoco. «Riesci a vedere lo stemma sulle vele?» domandò alla moglie Laggaroh, che non gli rispose.
Jaroh si voltò verso di lei e notò che le sue labbra stavano abbozzando un sorriso pieno di gioia e speranza.
«Vedo un fiocco di neve bianco su sfondo nero» sussurrò infine.
Gli occhi di Jaroh si illuminarono e anche lui iniziò a sorridere.
«Esperia... è Kalis: per gli dèi, siamo salvi!» disse mentre le navi si facevano sempre più vicine al porto di Hassara.
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