Capitolo 33

Verania, 14 agosto del 350esimo anno dalla fondazione di Ashenfall...

Quella città non gli era mancata per niente e rivederla lo aveva catapultato in un mare di brutti ricordi: Leonell e Theris erano giunti nei pressi di Verania poco prima di pranzo e già l'aria era irrespirabile. Il sole, in quel particolare giorno, non era stato per niente clemente e la calura del deserto era insopportabile.
«Ora come facciamo ad entrare a Verania?» chiese Leonell a Theris quando furono in prossimità delle mura. L'ultima volta che era stato lì, le porte della città erano sorvegliate dalle guardie, che perquisivano i passanti, ma ora, i controlli erano molto più rigidi e c'era pochissima gente per la strada: si sentiva subito che di lì a poco sarebbe scoppiata una nuova guerra, sempre che non fosse già successo.
«Passeremo attraverso la strada che costeggia il lago» rispose l'altro e poco dopo, al posto di proseguire dritto, girò col cavallo a sinistra, imboccando un sentiero stretto e ricoperto di sabbia. Leonell non esitò a seguirlo e cercò di stargli il più vicino possibile.
A bordo strada, crescevano un sacco di cactus selvatici, che a volte rendevano particolarmente difficoltoso il passaggio: più volte i due dovettero abbassare la testa o uscire momentaneamente dal sentiero per evitare di essere punti da quegli arbusti, ma nonostante ciò, Theris riuscì comunque a ferirsi ad un orecchio.
Dopo più di un'ora di cammino per quel sentiero nel bel mezzo del deserto, Leonell iniziò ad agitarsi.
«Sai quello che stai facendo, vero?» domandò ansioso a Theris.
«Ancora non ti fidi di me?» replicò lui amareggiato.
«Non è questo il punto» si difese prontamente Leonell. «È che è passato un po' da quando abbiamo cambiato direzione e non vedo ancora nessun lago».
Theris rise. «Tranquillo, Leonell» lo rassicurò. «Sono venuto diverse volte a Verania per "affari"... inutile dire che erano leggermente illegali, pertanto usavo questa strada per entrare in città senza essere visto dalle guardie. Tra poco sbucheremo in riva al lago, dove ci sarà un passaggio nelle mura che non viene mai pattugliato».
Sentite queste parole, Leonell si tranquillizzò e, poco dopo, scorse all'orizzonte dei luccichii: erano le acque del lago che riflettevano la luce del sole.
Come aveva detto Theris, non ci volle molto per raggiungere le mura, che terminavano proprio sulla riva del lago e lì, c'era una specie di crepaccio, abbastanza grande da poterci entrare senza problemi anche con i cavalli, così lo attraversarono facilmente e si ritrovarono ufficialmente a Verania: la strada poi proseguiva costeggiando il lago e non c'era nessuno in quella zona.
«Seguimi» disse Theris superando Leonell e spronando il destriero. «Entrare nelle prigioni non sarà così facile...» lo avvertì subito dopo.
«Lo so».
«Per cui, ecco a cosa ho pensato: sarebbe impossibile combattere tutte quante le guardie del palazzo, perciò io agirò da diversivo, mentre tu scenderai giù nelle segrete. Una volta entrato dentro, cerca delle scale tortuose, scendi e ti ritroverai in un corridoio: in fondo, ci sarà la porta che dà l'accesso alle prigioni. Non dovrebbero esserci troppi soldati. In tal caso, tienti stretta la spada e sarai al sicuro».
Leonell annuì.
«Sei già stato anche nelle prigioni di Verania, non è così? È impressionante la tua conoscenza del palazzo» gli chiese scherzando.
«Non ti sfugge niente» rise Theris. «Diciamo che quand'ero giovane ero più... impulsivo e disattento e mi è capitato, durante una mia permanenza per "lavoro" qui a Verania, di essere catturato. Ovviamente, in poche ore ero già fuori» raccontò, perdendosi nei suoi ricordi.
«Sembra quasi una bella esperienza da come la descrivi» ironizzò Leonell.
«Già» mormorò l'altro.
Theris all'improvviso tornò serio: era molto concentrato sulla strada. Erano arrivati a un punto in cui due strade si congiungevano: si poteva svoltare a destra ed entrare in città, oppure proseguire dritti, finendo nel bel mezzo dei giardini reali, da cui sarebbero potuti entrare nel palazzo. Leonell si aspettava di continuare per quella strada, ma Theris svoltò a destra, così lo imitò, senza esitazione: ormai aveva imparato a fidarsi di lui.
La gente iniziava ad affollare quelle vie e Theris sembrava conoscere quel labirinto caotico di strade molto bene e, dopo aver percorso ben tre vie diverse, Leonell intravide sulla sinistra le torri del palazzo e più avanti, il palazzo stesso. Gli venne in mente la fuga da quell'orribile posto insieme a Gil, Lya e Kircer e non poté fare a meno di ricordare la morte di Kircer.
«Nervi saldi» lo ammonì Theris, come se avesse percepito la sua debolezza. Aveva un'abilità incredibile quell'uomo: riusciva quasi a leggergli nel pensiero.
Entrarono in un vicolo lungo e stretto: una ventata di puzza colpì i due e Leonell storse il naso all'idea di doverlo attraversare. Finalmente, dopo un'agonia che sembrò eterna, si ritrovarono proprio davanti al palazzo dell'Imperatore, sede del lusso più sfrenato di tutta Ambra, che si ergeva in tutta la sua magnificenza.
Theris scese improvvisamente dal cavallo e legò le redini alle inferriate di una finestra di quel vicolo.
«Che stai facendo?» domandò Leonell.
«Terremo i cavalli pronti per la fuga» si limitò a dire e, quand'ebbe finito, si fece passare le redini dell'altro cavallo. «Io attirerò le guardie di là» spiegò indicando a sinistra, in direzione della città. «Tu passerai dai giardini» continuò volgendo la sguardo a destra: Leonell lo ricordava molto bene quel cancello.
«Hai capito?».
«Sì».
«Sicuro di farcela?».
«Credo di sì».
«Bene».
«Aspetta, ma quando io avrò salvato Lya e Gil... voglio dire...».
«Non andrò lontano: tempo di portare via i soldati e mi nasconderò qui vicino, in modo da avere la situazione sotto controllo. Quando uscirai da là, ricorda che io ti vedrò» concluse lui, mettendogli una mano sulla spalla e non togliendogli gli occhi di dosso. Leonell annuì e Theris si staccò da lui, poi uscì dal vicolo e andò incontro ad alcune guardie che sostavano nei pressi del palazzo.
Leonell non riuscì a sentire cosa stesse dicendo, ma vide i soldati agitarsi e sfoderare le spade. Theris ne atterrò una e finì l'altra con un attacco micidiale, richiamando l'attenzione delle altre truppe, che si lanciarono su di lui, che cominciò a correre nella direzione che aveva indicato poco prima a Leonell. Il ragazzo capì che era arrivato il suo momento: sfrecciò dunque verso il cancello, che stava venendo aperto per permettere ai rinforzi di uscire all'inseguimento di Theris. In un primo momento, fece finta di passare di lì per caso con molta noncuranza e senza incrociare i loro sguardi, poi, quando si furono allontanati, si fiondò dentro e il cancello si richiuse giusto in tempo alle sue spalle.
Fu visto da un solo uomo, rimasto di guardia all'interno dei giardini, però Leonell fu più svelto di lui: con una capriola lo aggirò e gli affondò la sua spada nella schiena, continuando la sua corsa all'interno del palazzo.
Fece attenzione a passare inosservato e trovò quasi subito le scale che scendevano giù, verso l'oscurità. Si ritrovò in una stanza buia e umida, con solo una porta. Leonell allora la aprì ed entrò in un lungo corridoio, quello descrittogli da Theris: come gli era stato detto, trovò un'altra porta in fondo, fatta di ferro e sigillata da un'asta: gli bastò tirarla dalla parte opposta per aprirla e subito l'odore di escrementi e di sangue divenne insopportabile.
Era arrivato proprio nelle prigioni di Verania, oscure, sporche e incredibilmente silenziose. C'era un braciere ardente lì a fianco alla porta e delle torce. Leonell ne prese una e la accese col fuoco, così da far luce.
Avanzò con cautela, guardando bene ogni cella, sussurrando il nome di Lya e quello di Gil, per poi passare a tonalità sempre più alte, intervallate da momenti di silenzio.
Era ormai arrivato alla fine del corridoio quando la speranza si era trasformata in cruda rassegnazione, ma un improvviso colpo di tosse cambiò le carte in tavola. Leonell illuminò l'ultima cella e intravide una figura inginocchiata e appoggiata all'umida parete di pietra. Aveva sangue che le colava dalle labbre e un occhio nero, i capelli sudici e bagnati le cadevano sulle guance e con le mani piene di lividi cercava di coprire la luce che le veniva puntata addosso: quella non era decisamente Lya, almeno questo era certo.

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