31. Come Cenerentola (seconda parte)

Il primo ballo era quasi terminato e Blaise si stava annoiando a morte. Era bella, oggettivamente, la sua dama, ma era così stupida che aveva rinunciato a una conversazione dopo i primi due giri di sala. Rimaneva un mistero come fosse stata smistata nella casa di corvi. Forse il cappello era stato pesantemente confuso. La immaginava bloccata fuori dalla porta della sala comune, senza riuscire a entrare. Annoiato, si guardò intorno e vide il suo amico, Gregory Goyle, ridere. Si rese conto che non vedeva Gregory ridere da così tanto tempo che aveva dimenticato la sua espressione. E Ginny Weasley, la piccola rossa, sogghignava, soddisfatta della risata ottenuta dicendo chissà cosa. Doveva ammettere che quella ragazza aveva più risorse di quante avesse immaginato.

Sarebbe stato poi così grave "fraternizzare con il nemico"? Tra lʼaltro, il suo nemico mostrava un bel paio di gambe. Manovrò la danza per finire più vicino possibile alla coppia e, appena calò la musica, si voltò.

«Gregory, scusa, posso chiederti di ballare tu con la mia dama? Ho urgente bisogno del Prefetto Weasley. Doveri di Hogwarts, sai.»

Goyle lo guardò stupito, ma poi squadrò bene la ragazza fasciata in un abitino rosa molto scollato e cedette di buon grado la mano della rossa a Blaise.

«Zabini, lo sai vero che non sono un pacco postale? Se poi ti schianto non puoi lamentarti, okay?»

«No, non sei un pacco, sei la mia salvezza, però. Un altro secondo con quella corvonero e sarei crollato addormentato al centro della pista da ballo. Non vorrai mica lasciare il tuo Caposcuola in una simile difficoltà?»

«Oh! Lo diceva Luna che è una sciocchina! Ma non pensavo fosse vero. Anche se Luna non è mai cattiva, solo sincera. Cosa vuoi, una scusa per starle lontano?» disse Ginny, adocchiando il fratello maggiore ballare con la nuova professoressa di Babbanologia, River qualche cosa. Aveva anche lui la faccia di chi va al patibolo.

«Una specie, direi più una tregua, e di più per la fraternità tra le case non si può fare, no? O ti dà così fastidio ballare e parlare con me?»

«Questo devi dirmelo tu!»

«Non mi sembri il tipo che pesta i piedi al suo cavaliere, balli bene! Non sei affatto noiosa, se hai fatto il miracolo di far ridere Greg. E stai molto bene stasera. Andiamo, non ti avrei chiesto di ballare, se non avessi desiderato la tua compagnia. Eddai, Weasley! Tregua? Che ne dici?»

Ginny lo guardava un poʼ stralunata. Che avesse capito male o Zabini le aveva fatto un complimento, oh no, diversi complimenti?

«Non posso garantire nulla, Zabini, ma ci proverò, tregua.» Con la coda dellʼocchio vide la sua migliore amica volteggiare fra le braccia di Draco Malfoy, sembrava così felice che si chiese se tutto quel dolore, alla fine, fosse pur servito a qualcosa.

«Sono felici, vero? Hermione mi era sembrata davvero preoccupata.»

«Inspiegabilmente sì. Ma non so cosa passi per la mente di Hermione, sai, dopo che si è lasciata con Ron è stato complicato...»

Zabini storse il naso.

«Non andavo molto dʼaccordo con tuo fratello, non voglio offenderti, ma non mi piaceva. Poi, non saprei, non ce lo vedevo proprio con la tua amica. Sono diversi in tutto e per tutto.»

«Oh, perché Malfoy è uguale, uguale a lei, due gocce dʼacqua.»

Zabini rise, divertito. E no, di certo Ginny Weasley non era una persona che ti fa annoiare. Pungente come gli aculei di un Knarl, la rossa!

«Hai ragione, sono due gocce dʼacqua, vero! Almeno quanto noi due, non credi? Draco è meno infelice da quando Hermione non lo ignora, non so, è brutto vederlo costantemente giù di morale. Hermione è molto importante per lui.»

Ginny seguì la sua amica con lo sguardo, intenerita. Aveva lʼespressione radiosa, tra i boccoli scintillava il fermacapelli che i due serpeverde le avevano regalato al compleanno. Sembrava molto presa. «Ma andiamo, Zabini! Vuoi farmi credere che Draco Malfoy, il purosangue snob, razzista per eccellenza, abbia un debole per lei?»

«Guardali. Ti sembra che non voglia stare con lei? Non dico che abbia un debole, però la ammira. Molto. E sa quanto male le ha fatto, credo ci tenga tanto a tentare di rimediare, in qualche modo.»

«Ron mi ha raccontato del Manor, delle urla di Hermione...»

Ginny parlava e il ragazzo la sentiva tremare tra le sue braccia. Era forte, Ginny Weasley, ma non così tanto come voleva dare a credere.

«E ti ha detto che è stata Wencky a chiamare il povero Dobby? Indovina chi ha mandato la piccola elfa? Non è tutto come appare, Ginny, non esiste solo il bianco o il nero, sai? Draco è sicuramente uno snob purosangue, ma non ha avuto molta scelta.»

Ginny non rispose, le ferite che si portava dentro erano ancora troppo vivide per lei, e distolse lo sguardo dal serpeverde.

«Scusami, Ginny. Non avrei dovuto insistere, balliamo.»

La strinse, sentendola tesa come una corda. Lʼavrebbe fatta ballare fino a dimenticare i pensieri almeno per qualche ora, pensò. Senza più parlare, la guardava negli occhi e danzava. Dopo un poʼ, la vide sorridere appena e la strinse più forte, soddisfatto: doveva ammettere che la più piccola dei Weasley danzava bene.

«Mi piace questa tregua» Le mormorò allʼorecchio «E mi piace ancor di più aver rubato la dama a Gregory Goyle.»

«Sei uno sfacciato, Blaise Zabini.»

«Lo so.»

Il ballo si stava svolgendo nel migliore dei modi, tutti i ragazzi sembravano divertirsi e socializzare. Anche i professori stavano ballando, soprattutto grazie a Charlie e Rolf che avevano fatto danzare un poʼ tutte le professoresse di Hogwarts. Il giovane Weasley non era precisamente entusiasta, ma stava cercando di rimanere allegro, Fred non lo avrebbe mai voluto triste a un ballo come quello. Ogni tanto buttava un occhio per controllare la sorellina, ma stava ballando sempre con qualcuno. Era entrata a braccetto a quel colosso di Goyle, cui arrivava appena allo sterno. Adesso volteggiava stretta al Caposcuola serpeverde, Blaise Zabini, che la stava guardando come se fosse stata una torta particolarmente appetitosa. Avrebbe dovuto dare uno sguardo più da vicino alla casa verdeargento? Si voltò a guardare il gruppetto di serpeverde, intenti a chiacchierare accanto al buffet e lo sguardo gli cadde - e vi restò a lungo - su un vero spettacolo. Vestita di rosso rubino, come solo un grifondoro avrebbe apprezzato fino in fondo, Daphne Greengrass era mozzafiato. Spostò bruscamente gli occhi sulla sua dama, la nuova professoressa di babbanologia: pareva unʼimmagine in bianco e nero, ora. Sarebbe stato proprio fuori luogo ballare con una studentessa, accidenti. Scambiò uno sguardo sconsolato con Rolf Scamander, intento a guidare, nella danza più sgraziata mai vista a Hogwarts, Sibilla Cooman.

Luna Lovegood si era rivelata una piacevole compagnia, pensava Theo Nott. Aggraziata nella danza, non era affatto vestita in maniera eccentrica, anzi, pareva fatta dʼargento. Era anche gentile e i suoi commenti sulla festa, sinceri fino a essere imbarazzanti, dopo un poʼ lʼavevano divertito. Però era chiaro che avesse la testa altrove.

«A che pensi, Lovegood? Sembri distratta.»

«Oh, scusa, guardavo i professori che danzano. Alcuni sembrano contenti.»

«Altri molto meno, direi.» Le rispose il ragazzo, adocchiando i due giovani insegnanti di Cura delle Creature Magiche.

«Questo vale anche per gli studenti, direi. Guarda per esempio la tua amica Parkinson. A ogni giro di ballo che facciamo mi sembra più triste.»

Theo si voltò e si accorse che era vero: Pansy Parkinson aveva lo sguardo più infelice che lui le avesse mai visto. Si chiese cosa le fosse accaduto, adorava le feste! Era sola, seduta in un angolo, lontano da tutti.

«Sei preoccupato per lei?»

«Un poʼ, in effetti. Non so cosa possa esserle accaduto.»

«Perché non vai da lei? Io ho male ai piedi, penso che me ne andrò a sedere fuori, così posso sfilare le scarpe senza che la professoressa McGranitt mi tolga un centinaio di punti.»

Nott rise. Buffa la corvonero.

«Grazie, allora andrò davvero da lei. Ci vediamo quando avrai i piedi riposati!»

«Oh, non so davvero se proverò a rimettere le scarpe, dopo! Potrebbe non essere facile. Facciamo così, tu resta con la Parkinson, se ho bisogno ti cerco.»

Theo la salutò con un inchino leggermente rigido e si voltò, per dirigersi verso Pansy Parkinson, la cui espressione si fece sempre più confusa e sollevata man mano che le si avvicinava. Luna le fece un cenno di saluto con la mano e uscì allʼaperto. Il giardino del castello era stato illuminato da lanterne, che sprigionavano una luce soffusa e calda. La musica arrivava fin lì, lieve. Luna si sedette su un muricciolo e tirò su i piedi, sfilando le scarpe dal tacco a spillo. Belle, scintillanti e scomodissime, si disse con un sospiro. Lʼaria della sera era fredda e rabbrividì: aveva dimenticato lo scialle allʼinterno. Un mantello, caldo e scuro, le si posò dopo un attimo sulle spalle. Si voltò.

«Rolf!»

«Ciao. Ehi, ciao piedini nudi!»

Luna arrossì, un poʼ imbarazzata.

«Mi facevano male le scarpe.»

«Ringrazio di cuore le tue scarpe scomode, allora. Ti hanno finalmente staccato da quel bellʼimbusto di Nott.»

«Ma no, Rolf! Poveretto!»

Rolf si sentì come se gli avesse tirato un ceffone. Le piaceva Nott allora? Perché lo difendeva?

Si sedette e le prese un piedino, incurante delle sue proteste.

«Dove fa male, qui?» La ragazza annuì e lui iniziò a massaggiare piano.

«Quindi Nott è simpatico, giusto?»

«Oh, sì, certo. Anche più gentile di quello che avevo pensato quando lʼho invitato. Era così preoccupato!»

«Preoccupato? Per te?»

«E perché, Rolf? Ho solo mal di piedi! No, intendo preoccupato per Pansy Parkinson, naturalmente. Ancora non ha capito che lei è cotta di lui, forse è un poʼ ingenuo.»

Rolf si paralizzò, il piedino gelato stretto tra le mani e lo sguardo perso.

«Luna.»

«Sì, Rolf?»

«Sono uno sciocco, ma se non chiedo impazzisco. Quindi... a te non piace Nott. Piace alla Parkinson. E ora lui è da lei. È giusto?»

Luna inclinò il capo, pareva stesse studiando una nuova, curiosa specie di Creatura Magica.

«Giusto, Rolf.»

«Ti fanno molto molto male ancora i piedi?»

«No, va meglio, grazie.»

«Ti andrebbe di ballare con me, allora? Qui? Lʼho desiderato tutta la sera.»

Gli rispose con un sorriso radioso e la mano protesa. Si alzò e la prese per la vita, stringendola con decisione; senza scarpe e con il suo mantello sulle spalle, era comunque leggiadra e la luce della luna la rendeva ancora più bella, pensò, dondolandosi piano al suono della musica lontana. Abbassò il capo verso quello della ragazza e la baciò.

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