V - L'Annuncio
Poi gli squali impazzirono. Buttercup li poteva udire squittire, urlare, sferzare con le pinne possenti tutt'intorno a lei. Niente mi può salvare, si disse, sono bell'e fritta.
Fortunatamente per tutti gli interessati, squali esclusi, più o meno in quel momento comparve la luna.
"Eccola," urlò il siciliano. Veloce come il fulmine, lo spagnolo voltò la barca e mentre si avvicinavano il turco allungò un braccio gigantesco e Buttercup fu in salvo tra i suoi assassini, mentre tutt'intorno gli squali si assalivano a vicenda in preda alla più selvaggia frustrazione.
"Tienila al caldo," consigliò lo spagnolo dal suo posto al timone, gettando un mantello al turco.
"Non prendere freddo," fece il turco, avvolgendo Buttercup nelle pieghe del mantello.
"Non sembra che la cosa sia rilevante," osservò la Principessa, "visto che all'alba mi ucciderete."
"È lui che farà il lavoro materiale," replicò il turco, indicando il siciliano che stava fasciandosi i tagli. "Noi ti teniamo soltanto."
"Trattieni la tua stupida lingua," ordinò il siciliano.
Il turco zittì immediatamente.
"Non credo che sia così stupido," disse Buttercup. "E nemmeno credo che tu sia tanto intelligente, con tutto il tuo buttar sangue nell'acqua. Non è proprio quello che chiamerei un ragionamento da dieci e lode."
"Ma ha funzionato, no? Sei tornata, no?" ritorse il siciliano. "Basta spaventarle abbastanza che tutte le donne strillano."
"Io non ho strillato. Mi avete presa per via della luna," replicò Buttercup con una nota di trionfo nella voce. Il siciliano la colpì. "Basta," disse allora il turco.
Il minuscolo sciancato lanciò un'occhiata mortale al gigante. "Vuoi litigare con me? Non credo che ti convenga."
"No, signore," borbottò il turco. "No, ma non usare la forza. Ti prego. La forza è mia. Colpisci me se ne senti la necessità. Non me ne importa."
Il siciliano andò sull'altro lato della barca. "Avrebbe gridato," insistette. "Era sul punto di farlo. Il mio piano era ideale e tutti i miei piani sono ideali. L'intempestività della luna mi ha derubato della perfezione." Rivolse un ghigno astioso al giallo cuneo che li sovrastava. Poi fissò lo sguardo davanti a sé. "Là!" indicò. "Il Dirupo della Follia."
Ed eccoli arrivati. Sorgeva dritto a piombo sull'acqua, a un centinaio di piedi nella notte. Sarebbe stata la via più diretta tra Florin e Guilder, ma nessuno la usava mai, facendo invece vela sul mare e allungando il percorso di diverse miglia. Non che il Dirupo fosse impossibile da scalare; si sapeva di due uomini che vi erano riusciti, solo nell'ultimo secolo.
"Punta dritto verso la parte più scoscesa," ordinò il siciliano.
"È quello che stavo facendo," replicò lo spagnolo.
Buttercup non capiva. L'ascesa del Dirupo era difficilissima e d'altra parte non aveva mai sentito parlare di passaggi segreti che lo attraversavano. Eppure, eccoli a bordeggiare sempre più vicini le rocce possenti, non più lontane ora di un quarto di miglio.
Per la prima volta il siciliano si permise un sorriso. "Tutto bene. Temevo che la tua passeggiata in acqua venisse a costarmi troppo tempo. Mi ero dato un'ora come margine di sicurezza e sono rimasti cinquanta minuti. Abbiamo miglia di vantaggio su chiunque, e siamo al sicuro, al sicuro, al sicuro."
"Non potrebbe esserci già qualcuno all'inseguimento?" domandò lo spagnolo.
"Nessuno," lo rassicurò il siciliano. "Sarebbe inconcepibile."
"Assolutamente inconcepibile?"
"Assolutamente, totalmente, inconcepibile in ogni modo," lo rassicurò il siciliano. "Perché me lo chiedi?"
"Per nessuna ragione," replicò lo spagnolo. "Solo che per caso ho appena guardato indietro e c'è qualcosa."
Tutti si girarono.
E qualcosa c'era davvero. A meno di un miglio dietro di loro, stagliata nel chiarore lunare, c'era un'altra barca a vela, piccola, dipinta in quel che sembrava nero, con una vela gigantesca che si gonfiava nera nella notte, e un uomo solo al timone. Un uomo in nero.
Lo spagnolo guardò il siciliano. "Deve trattarsi di un pescatore locale fuori per una gita di piacere, solo nella notte, In acque infestate dagli squali."
"Probabilmente esiste una spiegazione più logica," disse il siciliano. "Ma poiché nessuno a Guilder potrebbe essere già al corrente di quello che abbiamo fatto, e nessuno di Florin potrebbe essere arrivato qui così in fretta, è definitivamente accertato, per quanto possa sembrare il contrario, che quella barca non sta inseguendo noi. È una coincidenza e nient'altro."
"Sta guadagnando su di noi," disse il turco.
"Anche questo è inconcepibile," ribadì il siciliano. "Prima che rubassi la barca su cui navighiamo, ho accuratamente indagato su quale fosse l'imbarcazione più veloce del Canale di Guilder e a parere di tutti è risultata questa."
"Hai ragione," annuì il turco, guardando indietro. "Non guadagna su di noi, sta solo avvicinandosi, ecco tutto."
"Non è altro che il nostro angolo di visuale," disse il siciliano.
Buttercup non riusciva a staccare gli occhi dalla grand vela nera. I tre uomini che la tenevano prigioniera la terrorizzavano, ma per qualche ragione che non avrebbe saputo spiegare, l'uomo in nero la terrorizzava ancora di più.
"Va bene, state attenti," disse allora il siciliano, con appena una punta di irritazione nella voce.
Il Dirupo della Follia ora era vicinissimo.
Lo spagnolo manovrò con perizia l'imbarcazione, il che non era facile, perché le onde la trascinavano verso le rocce gli spruzzi erano accecanti. Buttercup alzò il viso e si protesse gli occhi, fissando in su nell'oscurità verso la cima che sembrava nascosta e irraggiungibile.
Poi l'ometto deforme si chinò in avanti, e mentre la barca raggiungeva la parte rocciosa fece un balzo e tra le mani, al l'improvviso, gli apparve una fune.
La Principessa spalancò gli occhi stupefatta. La fune spessa e robusta, sembrò viaggiare per tutta l'altezza della rupe. Mentre guardava, il siciliano diede un paio di strattoni poi la tenne ferma. Doveva essersi avvolta intorno a qualcosa sulla cima... una roccia gigantesca, un albero torreggiante, insomma a qualcosa.
"Svelti," ordinò il siciliano. "Se ci sta seguendo, il che, ov viamente, è fuori dal reame dell'umana esperienza, ma se ci seguisse, dobbiamo raggiungere la cima e tagliare la fune prima che si possa inerpicare dietro di noi."
"Inerpicare?" disse Buttercup. "Non sarò mai capace di..."
'Taci!" le ordinò il siciliano. "Preparati!" ordinò allo spagnolo. "Affondala," ordinò al turco.
Tutti si diedero da fare. Lo spagnolo prese una fune e legò Buttercup mani e piedi. Il turco abbatté il piede gigantesco sul fondo della barca che cedette e cominciò immediatamente ad affondare. Quindi il turco afferrò la fune tra le mani.
"Caricatemi," disse.
Lo spagnolo sollevò la principessa e ne drappeggiò il corpo intorno alle spalle del turco, poi gli si legò a sua volta alla vita. Il siciliano gli balzò al collo e vi si aggrappò.
"Tutti a bordo," disse il siciliano. (Ciò accadde prima dei treni, ma l'espressione proviene dai carpentieri che caricavano il legname. Ciò fu, naturalmente, un bel po' dopo i carpentieri.)
Il turco cominciò ad arrampicarsi. Aveva sopra di sé almeno cinquanta metri, ma non era preoccupato. Parlando di forza, niente lo preoccupava. Se si trattava di leggere, gli si annodavano le budella, e se si parlava di addizioni o addirittura di divisioni coi numeri lunghi, cambiava discorso immediatamente.
Ma la forza non gli si era mai rifiutata. Poteva prendere il calcio di un cavallo in mezzo al petto e non vacillare. Poteva stringere tra le gambe un sacco di farina da cinquanta chili e spaccarlo in due senza nemmeno pensarci. Una volta aveva tenuto sollevato un elefante usando solo i muscoli della schiena.
La sua vera forza si trovava però nelle braccia. Mai, in mille anni, s'erano viste braccia paragonabili a quelle di Fezzik. (Da qui, appunto, deriva il suo nome.) Le braccia non erano solo gargantuesche, totalmente obbedienti e sorprendentemente veloci, ma erano anche, e per questo non si preoccupava, instancabili. Se gli davate un'ascia chiedendogli di abbattere una foresta, forse le gambe gli avrebbero ce duto per aver dovuto sopportare tanto a lungo tanto peso, o l'ascia sarebbe schiattata, come punizione per aver ucciso tanti alberi, ma le braccia di Fezzik sarebbero state fresche all'indomani come il giorno prima.
Così, perfino col siciliano attaccato al collo, la Principessa intorno alle spalle, lo spagnolo legato alla vita, Fezzik non si sentiva sovraccarico nemmeno un po'. Era anzi felice, perché solo quando gli si chiedeva di usare la sua forza aveva l'impressione di non essere un fastidio per qualcuno.
E su, sempre più in alto, bracciata dopo bracciata, duecento metri sopra l'acqua, ancora trecento da percorrere.
Più degli altri, il siciliano aveva orrore delle altezze. Tutti i suoi incubi, che non stavano mai lontano da lui quando dormiva, avevano a che fare con il precipitare. La terrificante ascensione era una vera prova per lui, aggrappato com'era al collo del gigante. Almeno, così avrebbe dovuto essere.
Ma lui non lo avrebbe ammesso.
Fin dall'inizio, quando da bambino si era reso conto che il suo corpo contorto non gli avrebbe mai fatto ottenere quello che avrebbe voluto, aveva puntato sulla mente. L'addestrò, la combatté, la piegò ai suoi voleri. E ora, a duecento metri nella notte e sempre più in alto, avrebbe dovuto essere scosso da tremiti violenti ma non lo era.
Pensava invece all'uomo in nero.
Era impossibile che qualcuno fosse stato così svelto da riuscire a inseguirli. Eppure, da qualche diabolico universo; la gonfia vela nera doveva pure essere uscita. Ma come,, come? Il siciliano si ruppe il cervello per trovare una risposta, ma inutilmente. Follemente frustrato, fece un respiro profondo, e nonostante il terrore, guardò in giù verso le acque oscure.
L'uomo in nero era ancora là, veleggiava come un fulmine verso il Dirupo della Follia e non distava da loro più di trecento metri.
"Più in fretta," comandò il siciliano.
"Mi dispiace," rispose il turco mite, "credevo di star andando più in fretta."
"Pigrone, pigrone," lo spronò il siciliano.
"Non migliorerò mai," rispose il turco, ma le braccia gli si mossero più svelte di prima. "Non riesco a vedere molto bene perché ho i tuoi piedi sulla faccia," continuò. "Puoi dirmi, per piacere, se siamo arrivati a metà?"
"Appena passata, direi," comunicò lo spagnolo dalla sua posizione intorno alla vita del gigante. "Vai magnificamente, Fezzik."
"Grazie," rispose il gigante.
"E lui si avvicina al Dirupo," aggiunse lo spagnolo.
Nessuno domandò chi fosse "lui".
Avevano percorso trecento metri. Le braccia continuavano a tirare, avanti e avanti. Trecentoventi metri. Trecentocinquanta. E sempre più veloce. Quattrocento.
"Ha abbandonato la barca," disse lo spagnolo. "Adesso è balzato sulla nostra fune e ha incominciato a salire rapidamente dietro di noi."
"Lo sento," disse Fezzik. "Sento sulla fune il peso del suo
corpo."
"Non ci raggiungerà mai!" urlò il siciliano. "È inconcepibile!" "Smettila di usare quella parola!" scattò lo spagnolo. "Non credo nemmeno che voglia dire quello che pensi tu."
"Sale molto in fretta?" domandò Fezzik.
"Fa paura," fu la risposta dello spagnolo.
L'uomo in nero sembrava addirittura volare e aveva già ridotto il loro vantaggio di una cinquantina di metri e forse più.
"Credevo che tu fossi fortissimo!" urlò il siciliano. "Credevo che tu fossi possentemente possente e lui invece sta guadagnando terreno su di noi."
"Io ho un carico di tre persone," spiegò Fezzik. "Lui porta solo se stesso e..."
"Le scuse sono il rifugio dei codardi," lo interruppe il siciliano. Guardò ancora di sotto. L'uomo in nero si era avvantaggiato di altri cinquanta metri e ora guardava in su. Si incominciava a intravedere la cima della scogliera. Un altro centinaio di metri e sarebbero stati in salvo.
Legata mani e piedi, con la nausea per il terrore, Buttercup non sapeva che vantaggio le sarebbe venuto dallo sfuggire all'uomo in nero, ma non avrebbe voluto ripetere l'esperienza.
"Vola, Fezzik!" strillò il siciliano. "Mancano sì e no cinquanta metri."
E Fezzik volò. Escluse dalla mente qualunque cosa che non fosse la fune e braccia e dita, e le braccia tirarono, le dita si aggrapparono, la fune rimase tesa e...
"È oltre mezza via," disse lo spagnolo.
"È a mezza via dall'inevitabile sua rovina, ecco dov'è," disse il siciliano. "Noi siamo a un passo dalla salvezza, e una volta arrivati slacceremo la corda..." E rise.
Quaranta metri.
Fezzik tirò.
Venti.
Dieci.
Arrivati. Fezzik ce l'aveva fatta. Avevano raggiunto la cima del Dirupo, e prima balzò a terra il siciliano, poi il turco si tolse la Principessa di dosso, e lo spagnolo, mentre si scioglieva i lacci, guardò al di sotto, oltre il Dirupo.
L'uomo in nero non distava più di centocinquanta metri.
"È un peccato," commentò il turco guardando anche lui.' "Un arrampicatore come quello si merita di meglio che..." E zittì all'istante.
Il siciliano aveva sciolto i nodi che tenevano la corda a una quercia. La fune sembrava una cosa viva, il più grosso dei serpenti di mare diretto a casa finalmente, sferzò oltre la cima rocciosa e cadde vorticando nel Canale illuminato dalla luna.
Il siciliano scoppiava dalle risate e non smise finché lo spagnolo non disse: "Ce l'ha fatta."
"A far cosa?" il gobbo si accostò al precipizio.
"Ha mollato la fune in tempo," disse lo spagnolo. "Vedi?" aggiunse indicando in basso.
L'uomo in nero pendeva nel vuoto, aggrappato alla liscia roccia nuda, quattrocento metri dal pelo dell'acqua.
Il siciliano guardava affascinato. "Sapete," disse, "ho fatto lunghi studi sulla morte e sul morire e sono un grande esperto. Forse vi interesserà sapere che quando toccherà l'acqua sarà già morto da un pezzo. Sarà il precipitare a ucciderlo, non l'urto."
L'uomo in nero penzolava nello spazio, aggrappato al Dirupo con entrambe le mani.
"Oh, ma che villani siamo stati," disse allora il siciliano, indirizzandosi a Buttercup. "Sono sicuro che ti piacerebbe vedere." Le si avvicinò e la trascinò, ancora legata, perché anche lei potesse assistere all'ultima patetica lotta dell'uomo in nero, cento metri più sotto.
Buttercup chiuse gli occhi e girò il viso.
"Non sarebbe meglio che ci avviassimo?" domandò lo spagnolo. "Non avevi detto che il tempo è così importante?"
"Lo è, lo è," annuì il siciliano. "Ma non mi posso perdere una morte come questa. Se potessi organizzarne una alla settimana e vendere i biglietti, sono sicuro che chiuderei i battenti dell'anonima assassini e vivrei da nababbo. Guardatelo... Credete davvero che davanti agli occhi gli stia passando tutta la vita, come i libri sostengono che succeda?"
"Le sue braccia devono essere molto forti," commentò Fezzik, "per reggere in quel modo."
"Non credo che ce la farà per molto," commentò il siciliano. "Presto sarà costretto a cadere."
Fu in quel preciso istante che l'uomo in nero cominciò a salire. Ovviamente, non in fretta e non senza grande sforzo, E tuttavia non c'era dubbio che, nonostante la verticalità del Dirupo, stesse puntando verso l'alto.
"È inconcepibile!" urlò il siciliano.
Lo spagnolo gli si piazzò di fronte. "Smettila di usare quella parola. Era inconcepibile che qualcuno ci inseguisse, ma quando ci siamo guardati alle spalle c'era l'uomo in nero. Era inconcepibile che qualcuno potesse navigare più veloce di noi, e lui ha guadagnato terreno. Ora anche questo è inconcepibile, ma guarda... guarda..." e lo spagnolo indicò un punto nella notte. "Guarda come sale."
L'uomo in nero stava veramente salendo. In qualche modo, in qualche modo miracoloso, le sue dita trovavano appiglio nelle fessure ed egli era, in quel momento, forse dieci metri più vicino alla cima e più lontano dalla morte.
Il siciliano si avvicinò allo spagnolo, gli occhi che scintillavano di furia selvaggia. "Posseggo la mente più acuta che si sia mai dedicata a scopi illegali," cominciò, "quindi, se ti dico qualcosa è perché si tratta di un fatto. Non cerco di indovinare! Ed è un fatto che l'uomo in nero non ci sta seguendo. Che sia un semplice e comune marinaio che si diletta d'alpinismo e che per caso abbia la nostra medesima destinazione finale, è la spiegazione più logica. E comunque mi soddisfa, come spero soddisfi voi. In ogni caso, non possiamo correre il rischio che ci veda con la Principessa, quindi uno di voi deve ucciderlo."
'Toccherà a me?" si chiese il turco.
Il siciliano scosse il capo. "No, Fezzik. Mi occorre la tua forza per il trasporto della ragazza. Afferrala, ora, e filiamocela." Si rivolse allo spagnolo. "Punteremo direttamente alla frontiera di Guilder. Dopo che l'avrai ucciso, raggiungici al più presto."
Lo spagnolo annuì.
Il siciliano zoppicò via.
Il Turco sollevò la Principessa e si avviò dietro al gobbo. Prima di perdere di vista lo spagnolo si volse e gli urlò: "Raggiungici alla svelta."
"Non lo faccio sempre?" Lo spagnolo agitò una mano. "Buon viaggio, Fezzik."
"Arrivederci, Inigo," rispose il turco, e scomparve. Lo spagnolo era rimasto solo.
Inigo si avvicinò all'orlo del baratro e si inginocchiò con la sua solita svelta grazia. Ottanta metri sotto di lui, l'uomo in nero saliva e saliva faticosamente. Si appiattì al suolo per guardare, scrutando nel chiarore lunare, cercando di scoprire il suo segreto. Inigo rimase immobile per qualche tempo. Apprendeva bene, ma non necessariamente in fretta, quindi doveva applicarsi. Finalmente si accorse che in qualche modo, per qualche mistero, l'uomo in nero piantava pugni nella roccia, usandoli come appoggio. Poi allungava una mano e a tentoni cercava un'altra apertura, allora stringeva un altro pugno e ve lo infilava. Ogni volta che poteva trovare appoggio per i piedi, lo usava, ma erano soprattutto i pugni Infitti nella roccia che rendevano possibile l'arrampicata.
Inigo se ne meravigliò. Che avventuriero straordinario doveva essere l'uomo in nero. Ora era abbastanza vicino perché
si vedesse che aveva il viso coperto da una maschera. Un altro fuorilegge? Può darsi. Allora perché dovevano affrontarsi, e per chi? Inigo scosse il capo. Era un vero peccato che
un individuo simile dovesse morire, ma lui aveva i suoi ordini. A volte i comandi del siciliano non gli piacevano, ma
cosa avrebbe potuto fare? Senza il cervello del siciliano, lui,
Inigo, non sarebbe stato in grado di organizzare azioni di un
certo calibro. Il siciliano era un eccezionale orditore di trame
e lui, Inigo, una creatura del momento. Se il siciliano aveva
detto: "uccidilo", perché sciupare simpatia per l'uomo in
nero? Un giorno qualcuno avrebbe ucciso Inigo e il mondo
non si sarebbe fermato per piangere.
Con un balzo rapido si rimise in piedi, il corpo sottile come una lama, e pronto. Per l'azione. Solo che l'uomo in nero era ancora lontano molti metri. Non poteva fare altro che attendere e Inigo detestava l'attesa. Così, per far passare la noia, trasse dal fodero il suo grandetti* suo unico amore.
La spada per sei dita.
Oh, come danzava sotto la luna. Oh, la sua gloria e la sua verità. Inigo se la portò alle labbra e ne baciò il metallo con tutto il fervore del suo grande cuore spagnolo.
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