I - LA SPOSA

L'anno in cui nacque Buttercup, la donna più bella del  mondo era una sguattera francese di nome Annette. Annette lavorava a Parigi per il Duca e la Duchessa de Guiche e non sfuggì all'attenzione del Duca che qualcuno di straordinario lucidava i peltri. L'attenzione del Duca non sfuggì, a sua volta, all'attenzione della Duchessa, che non era molto bella e nemmeno molto ricca, ma senz'altro era molto sveglia. La Duchessa tenne d'occhio Annette e non passò molto tempo prima che scoprisse il tragico debole della sua avversaria.
Il cioccolato.
Provvista ormai di un'arma, la Duchessa si mise all'opera e il Palazzo de Guiche si trasformò in un castello di dolcezza. C'erano pile di cioccolatini alla menta nei salotti e cesti di torroncini rivestiti di cioccolato nelle camere.
Per Annette non ci fu scampo. Nel breve giro di una stagione si trasformò da snella in cicciotta e il Duca non poté nascondere, ogni volta che la guardava, un'ombra di stupefatta tristezza. (Va detto che Annette diventando grassa divenne anche più allegra. Finì per sposare il capo pasticcere ed entrambi mangiarono felici finché morte non li separò. Va inoltre detto che le cose non andarono altrettanto allegramente alla Duchessa. Per ragioni che sfuggono alla comprensione, il Duca si innamorò della suocera, il che fece venire l'ulcera alla Duchessa, solo che ancora l'ulcera non esisteva. Più precisamente, l'ulcera esisteva, la gente ne soffriva, ma non la chiamava così. La scienza medica del tempo la chiamava "mal di stomaco" e riteneva che potesse essere curata mediante caffè corretto al brandy due volte al dì fino a remissione del dolore. La Duchessa assunse con costanza ammirevole la mistura, guardando anno dopo anno il consorte e la propria madre scambiarsi effusioni alle sue spalle. Non sorprenda dunque che la musoneria della Duchessa fosse diventata leggendaria, come Voltaire ebbe così abilmente a raccontare. Salvo che ciò accadde prima di Voltaire.)
Quando Buttercup compì dieci anni, la donna più bella viveva in Bengala, figlia di un ricco mercante di tè. Il nome della fanciulla era Aluthra, e la sua pelle era un'ambrata perfezione, come in India non ne apparivano da ottant'anni. (Ci sono state solo undici carnagioni perfette in India da quando è stato iniziato un conteggio accurato.) Aluthra aveva diciannove anni quando nel Bengala scoppiò un'epidemia di vaiolo. La ragazza sopravvisse, ma la sua pelle no.
I quindici anni di Buttercup coincisero con il primato di Adela Terrel di Sussex on the Thames. Adela aveva vent'anni e brillava talmente sulle sue avversarie da far pensare che sarebbe stata la più bella per molti anni. Ma un giorno uno dei suoi corteggiatori (e ne aveva centoquattro) sostenne che era fuor di dubbio che la fanciulla fosse quanto più di perfetto prodotto fino a quel momento. Lusingata, Adela cominciò a meditare sulla verità dell'affermazione. Quella notte, sola nella sua stanza, si esaminò poro per poro allo specchio. (Ciò accadde dopo l'avvento degli specchi.) Era quasi l'alba quando terminò l'ispezione, ma aveva potuto rendersi conto che il giovanotto non aveva sbagliato nel suo giudizio e lei era, non avendo nessun difetto, perfetta.
Mentre passeggiava nel roseto di famiglia osservando il sorgere del sole, si sentì più felice che mai. "Non solo sono perfetta " si disse "ma sono probabilmente la prima persona perfetta in tutta la lunga storia del'universo. Non c'è una sola parte di me che possa essere migliorata, e come sono fortunata a essere perfetta, ricca, ricercata, sensibile, giovane e..."
Giovane?
Adela cominciò a riflettere mentre intorno a lei si alzava la nebbiolina. Ovviamente sarò sempre ricca, ma non so proprio come farò a restare giovane per sempre. E se non sarò giovane, come farò a essere perfetta? E se non sarò perfetta, che cosa mi rimarrà? Che cosa, insomma? Adela corrugò la fronte pensando disperata. Era la prima volta in vita sua che aveva motivo di corrugare la fronte e quando si rese conto di quello che aveva fatto, rimase senza fiato all'idea che avrebbe potuto danneggiarla, magari irreparabilmente. Tornò di corsa davanti allo specchio e ci passò la mattinata e per quanto riuscisse a convincersi di essere ancora perfetta come prima, di certo non era più così felice.
Aveva cominciato a crucciarsi.
Entro una quindicina di giorni apparvero le prime tracce della preoccupazione e dopo un mese le prime rughe; prima che fosse passato un anno abbondavano. Si sposò dopo non molto tempo con lo stesso uomo che l'aveva accusata di essere sublime, e per molti anni gli rese la vita un inferno.
Ovviamente Buttercup, a quindici anni, non sapeva niente di queste storie. E se le avesse sapute, le avrebbe trovate assolutamente incomprensibili. Com'era possibile che a qualcuno importasse di essere o non essere la più bella del mondo? Che differenza avrebbe fatto essere la terza nella classifica delle belle? O la sesta? Buttercup a quell'epoca non ci si avvicinava neanche, essendo appena tra le prime venti, e anche così più che altro potenzialmente, e certamente non per merito delle cure che riservava alla sua persona. Detestava lavarsi la faccia, soprattutto dietro le orecchie, e lo faceva il meno possibile. Quello che le piaceva fare veramente era cavalcare il suo cavallo e tormentare il garzone.
Il nome del cavallo era Cavallo (Buttercup non aveva mai avuto molta immaginazione), veniva quando lo chiamava, andava dove lo dirigeva e faceva quello che lei gli diceva. Anche il garzone faceva quello che lei diceva. In effetti, ormai era un ragazzo, ma era ancora un bambino quando, rimasto orfano, era andato da loro a lavorare e Buttercup lo trattava ancora così. "Garzone, vammi a prendere questo". "Prendimi quello, garzone, svelto, pigrone, sbrigati o lo dico a papà".
"Ai tuoi ordini".
Questo era quello che lui rispondeva sempre. "Ai tuoi ordini". Prendi quello, garzone. "Ai tuoi ordini". Asciuga questo, garzone. "ai tuoi ordini". Viveva in un tugurio vicino alle stalle e, secondo la madre di Buttercup, lo teneva in ordine. Leggeva perfino, quando aveva le candele.
"Lascerò al ragazzo un acro di terra, nel testamento" amava dire il padre di Buttercup. (C'erano gli acri a quei tempi.)
"Lo vuoi viziare" rispondeva regolarmente la madre di Buttercup.
"Ha sgobbato per tanti anni e il duro lavoro deve essere ricompensato". Poi, piuttosto che continuare a litigare (c'erano i litigi anche allora), si rivolgevano alla figlia.
"Non hai fatto il bagno" diceva suo padre.
"L'ho fatto, l'ho fatto" replicava lei.
"Non con l'acqua" continuava suo padre. "Puzzi come uno stallone".
"Ho cavalcato tutto il giorno" spiegava Buttercup.
"Devi fare il bagno" si intrometteva sua madre. "ai ragazzi non piacciono le ragazze che puzzano di stalla".
"Oh, i ragazzi!" esplodeva Buttercup. "Non me ne importa niente dei 'ragazzi'. Cavallo mi vuole bene, e questo mi basta, grazie".
Non faceva che ripeterlo.
Ma, che le piacesse o no, le cose cominciavano a succedere.
Poco prima del suo sedicesimo compleanno, Buttercup si rese conto che da oltre un mese le ragazze del villaggio non le rivolgevano più la parola. Non era mai stata molto amica delle ragazze, quindi il cambiamento passò quasi inosservato, solo che prima almeno un cenno con la testa glielo facevano quando lei cavalcava fino al villaggio o sui sentieri. Adesso, un'occhiata quando si avvicinava e via. Una mattina, dal maniscalco, Buttercup mise alle strette Cornelia e le domandò spiegazioni. "Dopo quello che hai fatto, almeno dovresti avere la cortesia di non domandare" si sentì rispondere. "E che cosa avrei fatto?" "Cosa? Cosa? ... Li hai rubati". Dopodiché, Cornelia scappò, ma Buttercup aveva capito; sapeva a chi si riferiva.
Ai ragazzi.
Ai ragazzi del villaggio.
Ai ragazzi scimuniti stolidi testa di rapa ottusi poveri di spirito cervelli di gallina senza sugo.
Come potevano accusarla di averli rubati? E perché mai qualcuno li doveva voler rubare? Che vantaggio ne avrebbe ricavato? Tutto quello che sapevano fare era seccare tormentare importunare. "Posso strigliarti il cavallo, Buttercup?" "Grazie, no, lo fa già il mio garzone". "Posso venire a cavalcare con te, Buttercup?" "Grazie, ma mi diverto di più da sola". "Credi di essere troppo in alto per chiunque, vero, Buttercup?" "No, solo che mi piace cavalcare da sola, ecco tutto".
Ma durante il suo sedicesimo anno anche questo tipo di discorsi provocava farfugliamenti e rossori e, nel migliore dei casi, domande sul tempo. "Credi che pioverà, Buttercup?" "Non credo, il cielo è sereno". "Be', potrebbe piovere". "Si, immagino che potrebbe". "Credi di essere troppo in alto per chiunque, vero, Buttercup?" "No, solo che non credo che pioverà, ecco tutto".
La notte, più spesso che no, si radunavano nell'oscurità sotto la sua finestra e la deridevano. lei li ignorava. Di solito le risate aprivano la strada agli insulti. Lei non ci faceva caso. Se diventavano troppo fastidiosi, ci pensava il garzone che emergeva silenzioso dal suo tugurio, ne prendeva a pugni un paio e li faceva scappare. Lei non mancava mia di ringraziarlo quando succedeva. "Ai tuoi ordini" era tutto quello che lui rispondeva.
Era prossima ai diciassette quando un uomo venne in città con la sua carrozza e la vide mentre andava a far provviste. Quando lei tornò, l'uomo era ancora là, con la testa fuori dal finestrino. Lei non gli prestò la minima attenzione, e l'uomo in sé per sé non era importante. Però rappresentava una svolta. Altri uomini avevano allungato i loro percorsi per poterla vedere, altri uomini avevano cavalcato anche per venti leghe per averne il privilegio, come aveva fatto costui. Il fatto notevole era che quello fu il primo uomo ricco che si fosse dato la pena di fare una cosa simile, il primo nobile. E fu quell'uomo, il cui nome si è perduto nella notte dei tempi, che parlò di Buttercup al Conte.

Florin occupava in parte un territorio più tardi occupato da Svezia e Germania. (Ciò accadeva prima dell'Europa.) In teoria, era governata da Re Lotharon e dalla sua seconda moglie, la Regina. In realtà, il Re era ormai ridotto alla sopravvivenza, riuscendo a stento a distinguere il giorno dalla notte e passando il tempo soprattutto a borbottare. Era molto vecchio, ogni organo del suo corpo l'aveva ormai tradito, e la maggior parte delle importanti decisioni che prendeva per Florin possedeva una nota di arbitrarietà che preoccupava molti dei cittadini preminenti.
Era il Principe Humperdinck che in effetti gestiva le cose. Se ci fosse stata l'Europa, ne sarebbe stato l'uomo più potente. E anche così nessuno, per un miglio di miglia al'intorno, aveva voglia di inimicarselo.
Il Conte era il solo confidente del Principe Humperdinck. L'altro suo nome era Rugen, ma non c'era bisogno di usarlo poiché era l'unico conte del Paese, e il titolo gli era stato concesso dal Principe come regalo di compleanno qualche anno prima. L'evento avrebbe avuto luogo, naturalmente, in occasione del ricevimento della Contessa.
La Contessa era molto più giovane del marito. Si faceva confezionare tutti gli abiti a Parigi (ciò accadeva dopo Parigi) e possedeva un gusto superbo. (Ciò accadeva anche dopo il gusto, ma appena dopo. E dato che era una cosa tanto nuova e dato anche che la Contessa era l'unica donna di Florin a possederlo, c'è forse da meravigliarsi che il suo fosse il primo salotto della nazione?) In seguito, la sua passione per le stoffe e i belletti fece sì che si stabilisse a Parigi in pianta stabile, dove il suo salotto fu l'unico ad assumere rinomanza internazionale.
Per il momento era solo indaffarata a dormire in letti di seta, mangiare in piatti d'oro ed essere la donna più ammirata e temuta in tutta la storia florinese. Se aveva difetti fisici, i vestiti glieli nascondevano; se il suo viso era men che meno divino, sarebbe stato ben difficile dirlo, una volta applicati creme, ciprie e belletti. (Ciò accadde prima del glamour, ma senza dame come la Contessa, che bisogno ci sarebbe stato di inventarlo?)
Insomma, i Rugen erano la Coppia della settimana a Flori, e lo furono per molti anni...



Questo sono io. Tutte le interpretazioni e gli altri commenti saranno in questo carattere corsivo, così ve ne accorgerete.
Quando all'inizio ho detto che non avevo mai letto il libro, era vero. Me lo leggeva mio padre, e io ho soltanto dato una scorsa, eliminando nella riduzione intere sezioni e lasciando il resto com'era nel Morgenstern originale.
Questo capitolo è intatto e la mia intrusione è dovuta al modo in cui Morgenstern usa le parentesi. L'editor della Harcourt ha riempito di domande i margini delle bozze: "Com'è possibile, prima dell'Europa ma dopo Parigi?" "Com'è possibile che accada prima del glamour quando glamour è un concetto antichissimo? Vedere 'glamour' nell'Oxford English Dictionary". e anche: "Divento matta. Cosa devo fare di queste parentesi? Quando si svolge la vicenda? Non capisco niente. Aiutooo!!!" Denise, la redattrice che ha curato tutti i miei libri a partire da Boys and Girls Together,  non aveva mai manifestato tanta emotività nelle note a margine.
Non potevo aiutarla.
Morgensterno poteva parlare sul serio, oppure no. O forse qualche volta parlava sul serio e altre no. Ma non ha mai specificato quali fossero quelle da intendere seriamente. O forse era solo un vezzo stilistico dell'autore per comunicare al lettore "questo non è reale, non è mai successo". Io la penso così, sebbene, se vi mettete ad indagare nella storia di Florin, scoprite che è successo davvero. Ma atteniamoci ai fatti, nessuno può fare affermazioni sulle vere motivazioni. Tutto quello che io posso suggerire è che se le parentesi vi disturbano, fate a meno di leggerle.







E questa, invece, sono io!
Il capitolo non è finito, né nel Morgenstern originale, né nella versione di Goldman.
Io però lo taglio qua e continuo nel prossimo, sennò vengono parti troppo lunghe per il tipo di lettura che si ha su questo sito/app.
Quindi, niente, spero che fin qua vi sia piaciuto e... continuate a leggere!!!

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