XXXV. ASPETTANDO

Il tempo durante la mia gravidanza trascorse in modo diverso. Le giornate erano belle, spesso con il sole, i blackout, che iniziarono a esserci, non m'infastidirono, io mi appesantii ma paradossalmente mi sentii meglio. Albert non partì più. I ruoli di moglie e di futura madre iniziarono a starmi meglio addosso, mi aderirono come una seconda pelle. Al contrario Lotte, come se fosse una mia immagine speculare e contraria, ricominciò con la vecchia vita. Nessuno sapeva dove andasse, cosa facesse. A me importava poco. Ero completamente presa in me stessa, in Albert, nel mio amato Julien e anche in Roby. In quel periodo vidi Herman poche volte. Venne a trovare Albert per lavoro, o almeno così disse. Compresi presto che non era realmente il lavoro a spingerlo fin da noi. Era come se non riuscisse a starmi lontano, come se mi pensasse sempre, come se mi cercasse. Io, dal canto mio, trasalivo al pensiero delle sue visite e un po' mi vergognavo di farmi vedere così, non tanto per il corpo modificato dalla gravidanza –Lotte avrebbe usato il termine deturpato- ma perché quella modifica mi era stata fatta da un altro uomo. Herman comunque restava poco, come se anche lui si sentisse a disagio per quella situazione.

-Non si sposerà mai- diceva Albert, fingendosi sconsolato –Herman non è proprio fatto per le donne-

Sbagliava, ma io non lo correggevo mai. Temevo troppo che scoprisse la verità. Già m'immaginavo gli scenari peggiori. Albert che scopriva il mio legame con Herman, che chiedeva soddisfazione, che lo sfidava a duello, come si faceva ai vecchi tempi. Chi avrebbe vinto? Probabilmente Herman, era più esperto con le armi, più freddo, più calcolatore, forse mi desiderava perfino di più. Sarei rimasta vedova, perdendo quel ruolo di moglie che tanto mi aveva fatta soffrire, ma che avevo molto desiderato. E una vedova in un paese straniero cosa può fare? Nulla, assolutamente nulla. Umiliata, maltrattata, ferita. Sarei probabilmente dovuta tornare al castello. Il pensiero mi turbava e quasi non mi faceva dormire. Albert credeva che fosse la gravidanza. Non era così.

Una volta Herman, durante una di quelle visite, mi chiese se avevo ancora scritto. Soppesai la risposta. Dirgli la verità oppure mentire? Alla fine fui onesta.

-Un po'-

-Scrivi, Violett, quella è la tua strada... scrivi la storia sugli Unni-

Quella sera stessa cominciai a scrivere la storia. Niente Unni, ma semplici barbari. Era liberatorio lasciar correre la penna senza nessun pensiero. Albert assistette sorpreso e felice all'impegno che mettevo in quel compito.

-Quando lo finirai lo voglio leggere- disse, sedendosi sul letto al mio fianco.

-Assolutamente no, tu critichi tutti gli scrittori- borbottai, la penna che correva sulla carta. Albert aveva riadattato un tavolino portatile per la colazione a letto.

-Prometto che con te non lo farò... e poi sono proprio curioso-

Finii quel racconto lungo, perché di romanzo non si può parlare, in dieci giorni. Era la storia d'amore tra una giovane principessa barbara e un soldato romano. Una storia straziante e amara. Quando la lesse una delle cameriere quasi scoppiò a piangere. Albert fraintese.

-Ti sei ispirata a noi due, vero?- chiese con voce commossa.

Io glielo feci credere. Non gli venne mai il dubbio che il tenebroso soldato dagli occhi grigi fosse proprio il suo amico Herman.

Julien volle che glielo leggessi. Mi applaudì, mi abbracciò e mi baciò. Mi disse che ero una bravissima scrittrice.

Lotte fu l'ultima a saperlo. Ormai era sempre fuori casa e temevo che sapere che avevo scritto qualcosa facesse tornare la sua voglia di competere. Lei in fondo adorava la competizione. E le sue storie, lo sapevo fin troppo bene, erano meglio delle mie. Pretese di leggere il racconto da sola. Lo fece, ma stranamente non cercò di replicarlo. Non ne parlò neppure. Fu solo dopo cinque giorni che, rosa dalla curiosità, le chiesi cosa ne pensassi.

-Mi è piaciuto- disse solamente, lo sguardo stranamente vacuo.

-Davvero?- indagai.

-Sì, è una bella storia-

Quel modo generico di parlare attirò la mia attenzione. Lotte che non criticava qualcosa di mio? Che non si proponeva di copiarmi? Non era da lei. E poi mi tolse ogni dubbio.

-Il soldato romano... è lui, vero?-

Un brivido gelido mi percorse la schiena. Ecco perché non si era comportata come al solito, probabilmente aveva capito cosa mi stava succedendo.

-Dovresti bruciare questa storia- aggiunse, senza attendere la risposta.

La fissai attonita. –Non posso-

-Almeno non farla pubblicare, non così-

Rimasi in silenzio. Ero turbata, confusa, forse terrorizzata.

-Cambiala... se lui sapesse... sospettasse... ti vorrebbe, Viola, si convincerebbe di poterti avere e farebbe di tutto... è un uomo... determinato- sospettavo che il termine che aveva in mente non fosse determinato.

-Albert non ha capito che... -

-Non ha voluto capire- mi freddò.

-Lui... -

-Senti, ragiona un po'... il protagonista della tua storia è un soldato, esattamente come l'altro, ha gli occhi grigi, come l'altro, è gelido come l'Antartide, come l'altro... devo continuare?-

-La protagonista non assomiglia a me- mi affrettai a dire. Di questo ero certa, ero stata attenta a limare tutte le similitudini.

-No, ma non credi che basti che lo sia il protagonista maschile?- aveva il tono saccente di quando era piccola e voleva sempre avere ragione.

Non replicai. Aveva ragione, ma non volevo ammetterlo.

-Modifica il personaggio... ispirati ad Albert... così potrai pubblicarlo-

Non dormii quella notte. Riflettei sulle sue parole. Tenevo molto a quel racconto, volevo che Herman lo leggesse, che mi dicesse cosa ne pensava. Avevamo lavorato insieme in fondo, lui mi aveva sostenuta, aiutata.

Il giorno seguente modificai il personaggio maschile. Non m'ispirai ad Albert però. Gli occhi del soldato divennero neri, il suo atteggiamento divenne più aperto. D'un tratto mi sentii meglio. Avevo cancellato le tracce. Quando qualche tempo dopo Herman passò a trovarmi gli dissi che avevo scritto un racconto. Lui lo lesse, lo elogiò, lo corresse leggermente.

-Il personaggio del soldato... sembra che sia stato modificato- disse all'improvviso.

Un brivido gelido mi percosse la schiena. Aveva compreso? –Dici?-

-Non è naturale, è strano-

Presi atto della cosa, ma non gli dissi altro al riguardo.

Herman si congedò con un bacio sulla mia guancia. Le sue labbra lasciarono una bruciatura invisibile sulla mia pelle. Notai che evitava di guardarmi la pancia ormai enorme. Mi sentii a disagio.

-A presto- mi sussurrò -cerca di riposare, non manca molto-

Annuii. -Stai attento anche tu-

-Lo sono sempre- e mi rivolse un sorriso infelice che mi strinse furiosamente il cuore.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate di questo capitolo?

A presto!

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