XXVII. DUBBI

E poi arrivò il momento in cui non potei più evitare Herman. Stavo leggendo un libro, seduta su un divano nella biblioteca, le gambe raccolte sotto di me. Julien era con il suo precettore. Lotte invece era persa chissà dove. Herman doveva occuparsi di alcuni documenti. In pratica potevo rilassarmi. Questo almeno credevo. La porta si spalancò all'improvviso, sbattendo contro il muro. Trasalii, presa alla sprovvista... e incontrai lo sguardo grigio di Herman. Cosa ci faceva lì? M'irrigidii e vidi lui fare lo stesso. Era sorpreso.

-Violett- sussurrò.

-Herman- assaporai il suo nome. Dirlo a voce alta mi trasmise una strana sensazione di turbamento.

-Sono felice di vedere che stai meglio-

-Ehm sì, sto meglio- mentii. Il solo vederlo mi gettava nello sconforto.

-Bene... io sono venuto a cercare un libro- si affrettò ad aggiungere, come se volesse giustificarsi.

-Quale?- domandai, la gola stretta in una morsa.

-Grandi Speranze di Dickens-

Balzai in piedi. –Credo di averlo visto- posai il mio libro sul divano, quindi mi avvicinai a uno dei grandi scaffali. Fare qualcosa mi tranquillizzava, mi trasmetteva un finto senso di controllo. Mi spinsi sulle punte per cercare di prendere il volume, lo afferrai e... sentii qualcuno che mi sosteneva, che mi sollevava leggermente, le mani puntate ai fianchi. Tirai giù il libro e mi voltai verso Herman, trovandomi faccia a faccia con lui. Non solo faccia a faccia. Eravamo corpo contro corpo. Il romanzo mi sfuggì di mano e atterò sul pavimento di marmo con un tonfo. Nessuno di noi due però se ne interessò. I nostri sguardi erano incastrati l'uno nell'altra.

-Violett- sussurrò lui, prendendomi dolcemente la mano. Il mio nome sembrava una supplica.

-Non possiamo- sussurrai, ma il mio tono risultò poco convinto, per nulla deciso. Al contrario, sembrava volergli dire di stringermi ancora.

Herman mi baciò dolcemente l'interno del polso. Piccoli e brucianti baci. Le sue labbra erano calde, morbide, dolci.

-Lo sai che non possiamo- dissi piano. Non riuscivo quasi a parlare, un groppo mi artigliava la gola, ferendola. Cercai di controllare il respiro.

Herman riaccompagnò la mia mano giù, ma le sue dita risalirono, accarezzarono il mio braccio, lentamente. Dita leggere come carezze. –Permettimi almeno di starti vicino- sussurrò –non credo che potrei allontanarmi da te-

Soppesai quelle parole, pesanti come macigni. Herman non chiedeva altro che starmi accanto, che tenermi al suo fianco. Non mi sembrava un richiesta così assurda, pensai, le dita che mi sfioravano, quasi fossero baci. Mi confondeva quel tocco, mi faceva battere forte il cuore.

-Ti ho mai raccontato la leggenda del castello?- continuò.

Scossi la testa. Mi sentivo debole, vinta, a pezzi. Il mondo si allontanava, sfumava, diventava meno nitido. Ed era come se fossimo rimasti solo noi due, sopravvissuti a tutto. Herman percepì la mia vulnerabilità. Era abituato a farlo, a capire quando il nemico era più facile da colpire, a determinare i punti deboli. L'amore non è un po' una guerra? Solo che invece di vincitori e vinti ci sono seduttori e sedotti.

-La storia racconta di come un tempo abitasse al castello una bellissima principessa, follemente innamorata di un giovane che abitava poco lontano- iniziò a raccontare, la voce roca, seducente, bassa –sembrava che ci fossero tutti i presupposti per una bella storia d'amore, ma un giorno il giovanotto scomparve... la principessa non si diede pace, piangeva giorno e notte, lo evocava a gran voce... fino a quando lui non rispose alla sua chiamata, solo che non era più lo stesso di prima-

Un brivido gelido mi percorse la schiena, come un pezzo di ghiaccio. Si preparava la parte peggiore. Il viso di Herman era immobile, perfettamente immobile. Non sembrava turbato dalla storia.

-Cosa successe?- lo incalzai. Tremavo, ma non era per la storia. Era per qualcosa di molto più profondo, più terribile.

-Che lui la portò con sé nel suo mondo di tenebre-

Un mondo di tenebre. Riflettei febbrilmente sulla storia. Dov'era la morale? Herman incurvò leggermente le labbra.

-L'amore non vince tutto, Violett, non fa tornare in vita i morti, non modifica la realtà, ma la nostra situazione non è così estrema-

-Non possiamo comunque-

-Però possiamo stare vicini-

No, sarebbe stato troppo rischioso, probabilmente Herman lo sapeva meglio di me. Una continua tentazione. Ghiaccio rovente. Sarebbe finita male, lo sentivo nel sangue, nelle ossa, nella pelle, io...

La porta si aprì con un tonfo. Successero molte cose insieme. Albert entrò, i capelli neri perfettamente spettinati, lo sguardo verde brillante. Io trasalii, terrorizzata, confusa, completamente persa. Herman svelto abbassò la mano, facendosi ricadere il braccio lungo il fianco. L'ansia mi assalì. Ci aveva visti? Aveva sentito il nostro discorso? Aveva capito che stava succedendo qualcosa di così importante che avrebbe potuto cambiare le nostre vite per sempre?

-Vivi- urlò Albert e mi corse incontro. Un attimo dopo volteggiavo per aria, come una bambola, le sue mani premute intorno alla mia vita. –Quanto mi sei mancata-

Stordita, ubriaca di emozioni, quasi in lacrime, appoggiai le mie mani sulle sue spalle. Perché era arrivato senza avvisare? Sospettava qualcosa? Sentii il terrore strisciarmi nel ventre. Lasciai che mi tempestasse il viso di baci. Dietro la sua spalla potevo vedere Herman, lo sguardo furioso.

-Sei tornato- sussurrai, tremula.

-Sì, Lotte mi ha scritto che sei stata poco bene... perché non mi hai detto tutto con chiarezza? Sarei tornato immediatamente-

Era quindi Lotte la causa di quel ritorno. E poi sorse un altro pensiero nella mia mente. Si scrivevano lettere, si sentivano, erano sempre in contatto. Mi sentii ancora più confusa.

-Ti amo, Vivi, ricordatelo-

E vidi il dolore sul viso di Herman. Vero dolore, logorante, lacerante, sanguinante. Chiusi gli occhi, non potevo sopportarlo.

Albert parve ricordarsi di Herman proprio in quel momento. –E tu come stai?- gli chiese –Ho saputo che hai badato bene alla mia Vivi-

-Per me è stato un onore- replicò Herman, gelido –vi lascio soli- e se ne andò, senza aggiungere nulla.

-Non dirmi che si è innamorato di Lotte- scherzò Albert –è più gelido di quanto sia mai stato-

-No, Lotte e lui non si sopportano... starai molto?-

-Resterò solo qualche giorno... sono venuto a vedere come stavi... e a portarti qualche regalo-

E i regali erano molti. Gioielli, abiti, libri. Tantissime cose. Per me e per Julien.

Cominciò un'altra vita. Albert passava tutto il tempo con me. Era dolce, premuroso, romantico. Herman smise di venire a cena, inventò una bugia riguardo al fatto che avrebbe dovuto lavorare a non so cosa.

-Si farà portare la cena in stanza- spiegò Albert –è sempre il solito, lavora troppo-

Io acconsentii, annuendo come una sciocca. Herman. Il suo nome mi rimbombava in testa.

-Mi dispiace doverti lasciare spesso sola- tentò Albert, pensando che la mia malinconia fosse dovuta alla sua lontananza. Prese delicatamente il viso tra le mani a coppa e mi baciò, dolcemente. –Una sposina fresca dovrebbe avere sempre il suo maritino vicino-

Mi sforzai di sorridergli. –Il lavoro per primo-

-Ti ho portato una cosa, così avrai da fare durante la mia assenza- mi lasciò per andare a frugare in una borsa. Ne estrasse un libro di medicina. La vista mi si offuscò. –Per i tuoi studi- me lo porse.

Io lo presi, ascoltando con dolore la gioia con cui parlava di me, delle cose che studiavo, che leggevo, che amavo. Non capiva che la rotta era cambiata? Che io non volevo più diventare un medico? Forse non lo avevo mai voluto per davvero, avevo solo assecondato Dory.

Quella notte mi unii ad Albert più perché non volevo deluderlo che per reale desiderio. Il pensiero di Herman mi sfiorò un paio di volte. Ripensai a quella pluralità degli affetti, o degli amori, di cui parlava mia zia Dory. Una donna poteva davvero amare più uomini con la stessa sincerità e intensità?

-Tutto bene?- mi chiese Albert più tardi, sdraiato al mio fianco.

-Sì, sono solo un po' stanca- mormorai, la testa posata contro il suo petto.

Lui mi strinse con maggiore forza, come se in qualche recondita parte di sé percepisse che stavo scivolando via.

-Sono felice che tu sia tornato- mormorai, per colmare il silenzio.

-Non potevo più starti lontano-

-Resterai molto, vero?-

-Qualche giorno... mi dispiace, ma questi affari si stanno rivelando più complessi di quanto credevo-

-Non posso venire con te?- tentai. Avrebbe capito la disperazione dietro la mia richiesta? Il turbamento, il dolore, le lacrime?

-Purtroppo no... ma ritornerò presto, questa volta per restare- mi assicurò.

Io mi limitai ad annuire. Non avrei potuto fare altro. Ormai scivolavo nell'abisso e Albert non poteva salvarmi.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Un colpo di scena! Che ne pensate del ritorno di Albert?

A presto

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