VII. LA FERITA

In quel periodo scoprii una caratteristica di Albert. Se prima ero certa che conoscesse tutto, che non ci fosse un solo campo della conoscenza di cui lui non era informato, presto compresi che non era così. Albert voleva far credere al mondo di sapere tutto, ma in realtà aveva una conoscenza sì generale, ma solo superficiale. La scoperta mi turbò leggermente, anche se non saprei dirne il motivo. Ancora oggi, a distanza di molto tempo, non capisco perché la sua conoscenza solo apparente di ogni cosa mi abbia confusa. Non c'era nulla di male in essa, era semplicemente una sua caratteristica, come i suoi occhi verdi. Eppure il fatto che a livello superficiale conoscesse tutto e che poi, quando si andata a indagare più a fondo, mostrasse di sapere poco mi turbò. Era però solo un piccolo dettaglio, per il resto Albert era il marito migliore del mondo, voglio sottolineare questo.

Quando Albert doveva assentarsi per molto tempo mi lasciava alle cure di Dory. Non voleva mai che stessi sola. Ricordo in particolare una volta.

-Quando tornerai?- gli chiesi, lasciando che capisse che non ero felice. Avevo una folle urgenza di lui. Avevo bisogno di stare con Albert più tempo possibile.

-Domani sera-

-Starai via così tanto?- chiesi, con voce bassa, infantile.

-Solo per un giorno... mi aspettano fuori Parigi- rispose, triste.

Chi lo aspettava? La gelosia, con i suoi occhi verdi, simili a quelli di Lotte, sgomitò per farsi strada in me. La ricacciai indietro con uno spintone.

-Mi farò perdonare... voglio che tu stia in compagnia, andrai da Dory, che ne pensi?- mi spiegò con un sorriso.

-Ma io posso aspettarti... non starai via molto... potrei anche accompagnarti- mi strinsi di più a lui, buttando indietro la testa e socchiudendo gli occhi. Sapevo che Albert era molto sensibile a quei movimenti.

-Piccola tentatrice- mormorò lui, la voce roca, lo sguardo brillante di desiderio.

Ridacchiai, passandogli le mani dietro la nuca e accarezzandolo. Era divertente pensare che io, che non avevo mai attratto l'attenzione del genere maschile, riuscissi a intrigare un uomo come Albert in quel modo.

-Su, tornerò presto- mi afferrò la vita, stringendola con le sue mani forti e avvolgenti.

-Fallo- sussurrai.

-Lo farò- mi baciò con trasporto, un bacio che scaldava ogni parte di me, che mi faceva sentire leggera come l'aria e fremente come il mare.

Le ore scivolarono lente. Giocai svogliatamente con Julien, parlai con Dory, cercai di scrivere una lettera a mia madre, ma tutte le parole suonavano banali, artificiose, semplicemente false. Non sapevo come descrivere la mia vita. Era come se fosse una recita a teatro. Era tutto irreale. Presto sarebbe calato il sipario e io sarei tornata alla mia vecchia vita.

L'incidente mi colse di sorpresa. Nessuno si aspetta che le cose brutte succedano proprio a noi. Io, cresciuta in un palazzo lontana dal mondo, io che credevo di aver vissuto già la mia dose di dolore, non mi aspettavo quello che stava succedendo.

Non seppi mai come andarono davvero le cose. Albert non me lo spiegò mai. Probabilmente fu perché non voleva che mi spaventassi. Lui sapeva bene che ero cresciuta in un mondo da fiaba, un regno in cui la morte aveva fatto il suo ingresso poche volte. Albert veniva da un mondo in cui il sangue era la norma. Un mondo di ferite, dolore, sangue e infezioni. Un mondo che non faceva per me, così lui pensava.

Fu il suo amico François ad avvisarmi. Erano circa le sei di sera. Si presentò alla porta di zia Dory, dove attendevo il ritorno di Albert giocando con Julien. La domestica che era andata ad aprirgli corse subito da me.

-Un signore vuole vedervi- mi avvertì.

-Fatelo venire- ordinai, l'ansia che mi stringeva la gola.

Julien fissava la scena con il suo sguardo attento. Intuiva che stava per succedere qualcosa.

François arrivò con il fiato corto, i capelli in disordine e l'espressione stravolta. La stretta alla gola si fece ancora più forte.

-Cosa succede?- chiesi, non riuscendo ad alzarmi, temevo che le gambe mi avrebbero tradita facendomi cadere rovinosamente a terra.

-Albert... un incidente... sta bene... credo- balbettò, con il risultato di spaventarmi ancora di più.

Credeva? Subito la storia della maledizione riecheggiò nella mia mente. Le donne della mia famiglia erano davvero destinate a essere infelici in amore? La ignorai, costringendomi ad alzarmi. Dovevo essere lucida, Albert aveva bisogno di me. Lasciai Julien a zia Dory, che insisté per venire con me, ma io le dissi che dovevo andare da sola, che come moglie era mio compito. Mi sentivo quasi orgogliosa per come stavo gestendo quella situazione fuori dall'ordinario.

Avevano fatto portare Albert nella nostra casa quando arrivai. Mi sentivo il cuore in gola e la testa mi girava furiosamente. Stavo male come mai in tutta la mia vita. Albert... temevo di vederlo pallidissimo e agonizzante nel letto. Non fu così. Quando entrai, il passo tremante e la testa leggera, lui era appoggiato a un gran numero di cuscini, una benda intorno al braccio e il suo solito beffardo sorriso, come a dire: ci sei cascata, no?

-Oh, Albert!- mi gettai su di lui, nonostante mi fossi detta di essere forte, di mostrare che ero una donna, non una bambina. Lui mi accolse e mi strinse a sé con il braccio sano. Le lacrime mi corsero lungo le guance. Il sollievo fu quasi doloroso.

-Vivi, tesoro, è tutto a posto, il proiettile mi ha preso di striscio- mi rassicurò, la sua voce che mi accarezzava l'orecchio –sto bene, sto bene- era una bugia, lo sapevamo entrambi. Non stava bene, ma non era nemmeno così grave come avevo creduto all'inizio.

Restammo solo così, abbracciati, per un tempo che mi parve eterno. Sentii il mio cuore calmarsi.

-Com'è successo?- chiesi quando la curiosità prese il sopravvento.

-Un incidente con la pistola, un amico ubriaco-

Compresi subito che c'era dell'altro. All'epoca pensai che si trattasse di una lite. Magari una questione di soldi o di affari. La cosa mi turbò, ma non potevo sapere quanto angosciante fosse la realtà. Restai lì con lui fino a quando non si addormentò. A quel punto mi alzai e, presa dall'ansia, feci l'unica cosa che riuscii a pensare: scrissi a Lotte. Avevo bisogno di un suo consiglio, di un conforto, di una parola amica. Ripensandoci, forse, non avrei dovuto farlo.

Lotte arrivò all'alba di qualche giorno dopo, i capelli biondi spettinati, il pancione in bella mostra, la sua espressione selvaggia e determinata a decorarle il volto. La prima cosa che fece fu litigare con la cameriera per una sciocchezza. Cosa pensai che la vidi? Vorrei poter dire che ne fui felice, ma con Lotte c'era sempre un miscuglio di gioia e paura. Avevo prima di tutto l'antico e persistente terrore che mi portasse via Albert. Era qualcosa di strisciante e inconscio. Non potevo lottare contro questa paura, che era un pezzo di me. E poi ormai mi ero abituata a essere la più bella e ammirata della città. Lotte rivoltava tutto. Ero insomma tornata la bambina di un tempo. Pallida, fragile e vuota. Lotte invece era sempre la stessa, una donna formosa e sicura di sé, capace di sedurre chiunque. Senza attendere neppure un istante corse verso di me e mi buttò le braccia al collo.

-Sono venuta il prima possibile, non potevo lasciarti sola-

Non sapevo esattamente cosa intendesse con quella frase. Era stato il suo buon cuore a spingerla a raggiungermi? Oppure c'era dell'altro? La voglia della ribalta, per esempio? Lotte amava Parigi. Sembrava nata per quella città. E ripensai al suo desiderio di diventare famosa. Era lì per quello?

Albert non accolse bene il suo arrivo. Era ancora a letto, più per ordine del medico e mio, che per reale bisogno. –Sto molto meglio, non vedo perché debba stare qua-

Cosa potevo controbattere? Ero io la prima che non voleva Lotte, ma non me la sentivo di scacciarla. –Non resterà per molto- mormorai.

-Oh, invece scommetto che non lascerà questa casa fino a quando non verrà costretta-

Lo temevo anch'io. Rimasi in silenzio, sotto lo sguardo severo di Albert. Sentivo il cuore stringersi in una stretta dolorosa. Poi lui sorrise e il suo viso si addolcì.

-Vivi... vieni qua- allargò le braccia e io, senza neppure un indugio, mi ci rifugiai dentro. Era bellissimo stare là dentro. Una gabbia di morbidi cuscini. –Non importa... vorrà dire che dovrò sopportarla-

La consapevolezza che lo amavo era quasi dolorosa. Restammo stretti. Non c'era cosa che volessi di più. Solo stare stretta a lui.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa pensate che sia realmente successo ad Albert?

A presto

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