XXXVII. ESSERE FAMOSI

Avrei dovuto ormai imparare che Lotte, quando si metteva in testa qualcosa non si arrendeva. Se c'è una legge vera ovunque è che se credi in qualcosa, beh, bisogna combattere per ottenerla. Lei lo aveva già imparato.

Mia cugina partì di notte, senza salutare nessuno.

-Tu lo sapevi?- chiese Albert a Herman la mattina successiva.

-Secondo te? Lotte non dice mai nulla- si strinse nelle spalle.

-Devi amarla molto per sopportare tutto questo

-Di un amore che non si può quantificare- e mi guardò.

Abbassai lo sguardo, mormorai una scusa e uscii dalla stanza. Non potevo sopportare quella recita.

❤️

In pochi mesi Lotte divenne una celebrità. La si poteva vedere ovunque. Sulle riviste, sugli schermi del cinema, sui poster fuori da essi. Formosa, sorridente, con quegli occhi verdi da gatta che brillavano sulla carnagione olivastra e i capelli tinti di nero. Sembrava che il suo destino fosse quello di splendere tra le stelle del firmamento. Si definiva la nuova Mata Hari. E io ero fiera di lei. Si trattava di un sentimento viscerale, fisico. Un benessere che mai avevo provato per le sue vittorie. Lotte realizzava ciò che sognava da sempre. Peccato che i miei sogni non erano realizzabili. Volevo cose opposte. Volevo la famiglia e Albert. Volevo l'amore ed Herman. Ero insomma incontentabile, come un tempo era stata Lotte.

Herman fingeva alla perfezione il ruolo del fidanzato. Unica pecca però era il fatto che non insisteva mai per raggiungerla. Se Albert fosse stato meno cieco lo avrebbe capito. Avrebbe visto la crepa in quella farsa recitata alla perfezione. Lui però non voleva vedere.

-Povero Herman- mi confidava quando eravamo soli -si è innamorato della donna sbagliata, Lotte non è la donna fatta per lui-

Possibile che non capisse? Che l'uomo che amavo fosse così stupido? Perché non interveniva? Perché non dichiarava di non voler più vedere Herman? Non capivo, non capivo, ancora non capivo.

-Per lui ci vorrebbe una donna come te-

Trasalii e lo fissai. Albert era intento a guardarsi allo specchio. Aveva capito? -Come me?- scivolavo sul ghiaccio. Dovevo essere prudente. Mi spostai per non rischiare che lui vedesse il mio riflesso, che lui capisse cosa mai avrebbe dovuto capire.

-Certo, tu non sei come Lotte, tu non faresti mai del male a chi ti ama-

Quanto sbagliava. Io non ero meglio di Lotte, ero perfino peggio. Non gli risposi. Non potevo rispondergli. Lo avrei ferito. Perché io ero peggio di Lotte. Io mi nascondevo dietro un ruolo che non mi apparteneva più. Forse non ero sua moglie. Forse per me era stato tutto un gioco. Una competizione con mia cugina. L'illusione del vero amore.

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