XXXV. PADRE E FIGLI
Quando tornammo indietro trovai Albert intento a parlare con Herman in salotto. Lo aveva mandato a chiamare lui? Sembravano intenti in una conversazione importante, la voce bassa, i muscoli tesi.
Fu Herman il primo a sollevare la testa e a guardarmi. L'abbassai, il cuore in gola. Non volevo che si capisse quello che provavo.
-Ehi, Julien- Albert si voltò verso di lui con un sorriso finto. Dal modo in cui stringeva i pugni sospettavo che fosse nervoso, forse addirittura arrabbiato, perché non sapeva come gestire una situazione che poteva finire molto male. -Credo che noi due dovremmo fare una chiacchierata, eh?
-Voglio parlare con Herman- dichiarò Julien, guardando Albert, come a sfidarlo a dire qualcosa contro questa sua decisione.
Mio marito aggrottò la fronte, increspò le labbra, poi annuì lentamente. -Certo, se preferisci parlare con lui, ma...
Julien non attese, ma corse da Herman, lo prese per mano e lo trascinò fuori.
Restammo io e Albert, in una sala che di colpo sembrava enorme e gelida, nonostante le calde temperature.
-In fondo lui è molto più simile a Herman che a me- sussurrò Albert e c'era sconforto nella sua voce -io ci provo, ma con lui è tutto inutile-
-Non dire così- gli posai una mano sulla spalla.
-Io lo so... a volte penso che Julien non sia mio figlio- parole dette quasi per caso, ma che mi penetrarono come una lama.
-Lui ti vuole molto bene- intervenni. Non potevo insistere sulla sua paternità. Forse non era veramente figlio suo. Forse Lotte aveva ingannato tutti. Il pensiero non mi dava conforto. Julien doveva essere figlio di Albert. Altrimenti le implicazioni sarebbero state troppe e le basi dei nostri rapporti si sarebbero capovolge. Sarebbero crollate. Forse Albert non avrebbe nemmeno più voluto quel figlio.
Fu così che quel dubbio, già presente da anni, esplose con tanto vigore che decisi di affrontare Lotte.
Non potevo immaginare cos'avrei trovato nella sua stanza.
I vestiti buttati ovunque, le valigie sul letto, mia cugina in camicia da notte che andava avanti e indietro, canticchiando.
-Te ne vai?- chiesi, attenta a non inciampare in una scarpa.
Lotte s'immobilizzò, i capelli sugli occhi. -Mi hanno chiamata da Londra... per un film- si lasciò cadere sul letto. -È una cosa seria
-Anche la tua famiglia è una cosa seria
-Mmm, già, lo dimentico ogni tanto- fece spallucce.
Decisi che dovevo tentare. -Julien è figlio di Albert?
-Ma cosa dici?- sussultò.
-Rispondi- mi misi le mani sui fianchi per sembrare più minacciosa.
-Certo che è figlio di Albert
Cercai d'indovinare cosa ci fosse dietro la sua espressione tesa. Una verità o una bugia? Oppure non sapeva nemmeno lei.
-Ma che ti viene in mente?- Lotte si portò le mani al cuore, come se l'avessi ferita.
-È solo che... non gli somiglia per niente
-È un problema mio? Non assomiglia nemmeno a me... è un mostriciattolo
-Lotte!
-L'unica nota positiva è che ti è affezionato, almeno quello- si alzò, afferrò un abito che si trovava per terra e lo buttò dentro la valigia.
-Fuggi sempre
-E tu ti rifugio nei sogni... non è una cosa sciocca? I sogni non esistono... e ora devo finire di sistemare
-Quando partirai?
-Domani e quando tornerò sarò tanto famosa che mi conosceranno in tutto il mondo
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