XII. CENA E DOPOCENA

La sera, a cena, mi ritrovai seduta vicino a Herman. La sua gamba sfiorava la mia nonostante tutto lo spazio che avevamo. Mangiai poco. Albert si rese conto della cosa alla fine del pasto.

-Non hai fame?- allungò una mano e strinse la mia. Mi resi conto con orrore che entrambi mi toccavano.

-Sono stanca- mormorai.

-Vuoi che assuma una cuoca? Magari una cameriera?-

-Ehm no, va bene così- se gli occhi grigi di Herman non mi avessero osservata avrei stretto la mano di Albert. Non potei farlo.

-L'aiuto già io- intervenne Lotte e mi diede un calcio al polpaccio.

-Se tu sapessi cucinare- la freddò Albert e non tolse lo sguardo da me. Iridi verdi che scavavano nel fondo della mia anima. Avrei dovuto dire tutto. Avrei voluto alzarmi e correre via. Avrei...

-Se sapessi quanto ti aiuto- borbottò Lotte.

-E quando mai?- mio marito si sporse verso di lei.

-Tu neppure lo sai-

Il caso mi salvò. Rose si mise a piangere. La causa fu la caduta di un piatto. Mi affrettai ad andare da lei, stringerla, baciarla. Persi di proposito tempo. Non volevo tornare a tavola. Non voleva sentire i tremiti che il solo contatto di Herman mi provocavano.

-Che ne pensi di fumare un sigaro?- sentii chiedere da mio marito.

-Sai che non fumo- replicò Herman. La sua voce mi sembrò gelida. I suoi occhi però bruciavano contro la mia schiena. Li sentivo, senza vederli, come se mi toccassero.

-Vorrà dire che mi farai compagnia- Albert rise -Su, non farti pregare, non vorrai lasciarmi solo-

-Se insisti-

Si allontanarono e io mi rilassai.

-Mamma, stai bene?- la flebile vocina di Rose. Le accarezzai i capelli. Non doveva preoccuparsi dei nostri problemi, lei era troppo piccola.

-Certo, sto bene- alzai la testa e trasalii.

Julien mi fissava. Nei suoi occhi splendeva tutto ciò che io non potevo dire. Mi sentii mancare. Lui mi sorrise. Uno dei suoi rari sorrisi. Si avvicinò. -Penso io a Rose-

Mia figlia lanciò un urletto di gioia. -Sì, voglio stare con Julien-

Il loro legame mi rassicurava. Forse qualcosa di buono avevo fatto. -Va bene, ma non combinate guai- una frase sciocca da dire, ma non mi venne altro in mente.

Mia figlia ridacchiò. La guardai prendere per mano Julien.

Lotte giocava con Adam qualche metro più in là. Avrei potuto raggiungere Albert, ma non lo feci. Non volevo stare di nuovo con lui ed Herman. Troppo perturbante, doloroso, insopportabile. Mi rifugiai in camera da letto. Non stetti meglio, ma perlomeno ero al riparo. Scivolai sulle lenzuola. Temevo o speravo che Herman entrasse. Me ne stetti in attesa. 

Albert arrivò al rintocco della mezzanotte.

-Ancora sveglia?- mi chiese.

Io strinsi i lembi del lenzuolo. -Non avevo sonno- la seta frusciò tra le mie dita.

-Se avessi saputo sarei venuto prima- si lasciò cadere al mio fianco -lo sai che mi dispiace lasciarti sola-

-Ogni tanto la solitudine mi fa piacere- gli sorrisi.

Albert mi accarezzò la guancia. Le dita erano gelide. Strinsi di più il lenzuolo. Bugie, vivevo in un mondo di bugie. Inspirai e l'aria mi parve rovente. Il cuore mi batteva tanto forte da rimbombarmi nelle orecchie. Ogni cosa mi sembrava falsa, una bugia gridata. Mi sentivo mancare. Lasciai che Albert mi baciasse. Non potevo tirarmi indietro. Non volevo farlo. Non doveva capire quanto il mio mondo andasse in pezzi.

La porta si spalancò. Trasalii e mi allontanai dalle labbra di Albert, lui che ancora mi stringeva forte.

Herman si stagliava contro l'ingresso. Una figura che si confondeva con l'ombra. Il cuore perse un battito. M'irrigidii. Lui mi guardò. I suoi occhi grigi si puntarono su di me. Rabbrividii. Gelidi e roventi. Come potevano essere entrambe le cose? Come poteva trasmettermi emozioni opposte? Mi sentii in colpa.

-Herman, cosa c'è?- Albert sembrò spazientito.

M'immaginai il peggio. Herman avrebbe detto tutto. Avrebbe rivelato ciò che non doveva essere rivelato.  Una follia. Era la resa dei conti. La gola si serrò. Attesi una fine che non giunse. Herman sorrise. Un sorriso crudele. Il sorriso del guerriero.

-Scusate, ho sbagliato stanza- una bugia. Lui non sbagliava mai. O forse ero solo paranoica.

-Non importa- la voce di Albert però era strana. Aveva capito? Puntini neri mi esplosero davanti. Sbattei le palpebre. Non potevo permettermi di svenire.

-Vi lascio soli- disse Herman, ma non si mosse. Se ne stava lì, come una statua. I suoi occhi bruciavano la mia pelle come il sole. Non lo guardai. Temevo che guardarlo sarebbe stato troppo.

-Sì, sarebbe meglio- dichiarò mio marito. Sapeva? Intuiva? Sospettava? Lo stomaco mi si strinse. La bile mi risalì in gola.

Herman annuì. C'era qualcosa d'inquietante nel modo in cui faceva il movimento. -Certo, a domani- chiuse la porta.

Albert aggrottò la fronte. -Non lo trovi strano?-

Aveva scoperto tutto! -Chi?-

-Herman, bah, forse sono io che vedo quello che non c'è- mi sorrise -dove eravamo rimasti?- si avvicinò e il suo viso riempì il mio campo visivo. Solo noi, come da ragazzi. Peccato che non fosse più così. Non lo sarebbe mai più stato.

Rumori di passi. Ci bloccammo.

-Non è il passo di Herman- mormorò Albert, la tensione che gli sfigurava il viso.

Ripensai a ciò che quella casa mi trasmetteva. Al fatto che paresse viva. Un brivido mi scosse. E se ci fosse stato altro?

-Tu resta qua- Albert si alzò.

Non potevo stare seduta lì. Non potevo attendere. Il tempo dell'attesa era finito. Mi tirai su, il cuore in gola. Mio marito afferrò qualcosa dal comò. La pistola. La teneva lì? Così facile da raggiungere? Se i bambini... ignorai il pensiero. Era più semplice. Albert scivolò fuori. Decisi di non seguirlo. Temevo troppo di essere d'impiccio.

Un urlo. Sobbalzai. Era una voce che conoscevo. Mi lanciai fuori. Rose piangeva.

-Papà- gemette.

Albert aveva nascosto la pistola dietro la schiena. -Pensavo fosse un intruso-

Rose non si tranquillizzò. Piangeva, le lacrime che scivolavano sulle guance rosse. Corsi da lei e la presi tra le braccia. La strinsi con forza.

-Ho sentito dei rumori, non voglio dormire da sola- si lamentò.

Fu così che quella notte Rose dormì con noi. Mi chiesi, fissando il soffitto, avvolta nel buio, un braccio intorno a mia figlia, se Herman in qualche modo c'entrasse qualcosa con quella storia. Non ero certa di volerlo sapere. Il dubbio però mi rimbombò nella mente. Cos'era disposto a fare? E perché non riuscivo a staccarmi da lui? Forse lo desideravo solo perché non potevo averlo. Non era stato così anche con Albert? Lo avevo desiderato contro qualsiasi logica fino a quando lui non aveva scelto me. Il pensiero non mi confortò, se possibile mi rese ancora più infelice.

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