XXXXIV

Fu in una soleggiata mattina di primavera, mentre insegnavo a Julien a leggere, che vidi arrivare Lotte di corsa, l'abito che le svolazzava intorno e una lettera aperta in mano. Lolò la seguiva urlando come una pazza.

-Dammi la lettera- gridava.

-No, Viola deve vederla-

Le osservai sorpresa. Cosa stava succedendo?

-Questa è la mia occasione per farmi perdonare tutto il male che ti ho fatto- disse Lotte, lo sguardo lucido, porgendomi la lettera.

La presi, con la mano tremante, chiedendomi che cosa ci fosse scritto... una parte di me sperava che si trattasse di notizie da parte di Albert, ma no, era una cosa che mi sconvolse molto di più. Era una lettera di Dory.

-Viola, ti prego, non leggerla- esclamò Lolò, la voce disperata.

-Qui dice che sono stata accettata all'università di Parigi... ma io non ho mai fatto domanda- alzai la testa confusa.

-Ha fatto Dory la richiesta per te... anni fa, quando siamo state a Parigi, ha iniziato a tessere questa tela... sei stata accettata, è un evento di grande importanza-

Aggrottai la fronte e lessi la lettera, la lessi più volte senza in realtà comprenderla, non riuscivo a comprenderla fino in fondo. Parigi, l'università, Dory che si congratulava con me, che mi scriveva che non vedeva l'ora di rivedermi e si chiedeva perché non avessi risposto alla lettera precedente. Lettera che probabilmente aveva preso Lolò.

-Non sei felice?- mi chiese Lotte, sorpresa.

-Tua zia sarà arrabbiatissima quando saprà cos'hai fatto, Charlotte- esclamò Lolò.

-Vuol dire che anche mia madre non voleva che ricevessi la lettera?- chiesi.

Lolò ammutolì di colpo, non sapendo improvvisamente cosa dire, fatto che le era successo molto raramente nella sua vita. Non voleva infatti dare la colpa a mia madre, ma non sapeva cosa dire per giustificare le sue parole.

-Devi andare, Viola, questa è la tua grande occasione, l'opportunità di studiare che aveva predetto Giselle- disse Lotte, approfittando del silenzio.

Lessi ancora la lettera. Julien mi fissava con i suoi occhioni, tenendo tra le braccia Bella, che, attirata da tutto quel frastuono, era venuta a vederci. Gli passai un braccio intorno alle spalle e lo trassi dolcemente a me.

-Scriverò a Dory personalmente- mormorai.

-Ottimo- esclamò Lotte.

-Per dirle che non posso andare-

-Cosa? Questa è un'occasione che non ti capiterà mai più-

-Non posso lasciare il castello-

-Sì che puoi, tu meriti di andare a studiare a Parigi-

-Non lascerai il castello, vero Viola?- mi chiese Julien, lo sguardo spaventato.

Non risposi, la verità era che una parte di me voleva accettare quell'offerta, ma non potevo farlo, non dovevo, avevo delle responsabilità al castello.

-Ti ricordi la previsione di Giselle?- continuò Lotte –Secondo me si riferiva a questo, andrai a Parigi, ricordi com'era bella la casa di zia Dory?-

Scossi la testa. –Lo sai che non posso-

-Non vuoi, è diverso- si voltò verso Lolò –perché non porti Julien a fare una passeggiata?-

-Io da qui non me ne vado- esclamò Lolò, incrociando le braccia.

-Va bene, allora inizierò a parlare davanti al bambino, a dire cosa che sarebbe meglio se non sentisse-

Lolò restò un attimo immobile, poi sospirò. –Siete il mio tormento, siete la mia punizione, vorrei proprio sapere cos'ho fatto di male per meritarvi voi- e, rapida, andò a prendere per mano Julien per portarlo via con sé.

Lotte aspettò che fosse ben lontana prima di parlare. –Potresti rivedere Albert- disse in un sussurro, come se le costasse fatica.

Restai immobile. –Credi che si trovi a Parigi?-

-Perché non dovrebbe? So che ci va spesso e tu lo sai meglio di me-

Certo che lo sapevo, l'avevo anche incontrato a Parigi. –Se n'è andato, non credo che anche se mi dovesse rivedere tornerebbe da me-

-Sì invece, lui ti ama, ne sono certa-

Chiusi stancamente gli occhi.

-Devi andare, Viola, devi farlo-

E tanto insisté Lotte che alla fine le concessi che ci avrei pensato.

-Non ti garantisco che partirò- chiarii.

Lei si limitò ad annuire, poi sospirò. –Dovresti farlo-

E così giorno dopo giorno Lotte continuò a tormentarmi con l'università, ignorando le proteste di mia madre, che non voleva assolutamente che ci andassi.

-Dovresti farlo- insisté ancora, un giorno, mentre eravamo sedute in riva al lago a osservare Julien che giocava con Bella.

-Andare all'università di Parigi- mormorai. Mi sembrava impossibile, solo un sogno.

-Dovresti andarci- mi disse Lotte –quante occasioni ci sono al mondo per istruirsi? Per far vedere che una donna può fare ciò che fa un uomo e lo può fare anche meglio?- la voce le tremava.

-Non so, è troppo, non so se sono in grado-

-Sì che la sei... ti ricordi quello che ti predisse Giselle? Che avresti studiato?- insisté.

Sì, la sua predizione... e fu così che decisi, in fondo era già scritto. –E tu resterai qua?-

-Devo, per forza, non ho molte altre possibilità-

-Tornerò tutte le volte che riuscirò, io tornerò...te lo prometto-

-Lo so che tornerai-

-Parigi è lontana-

-Lo so, ma noi saremo sempre vicine- mormorò Lotte, piangendo –e poi starai con Dory, lei conosce benissimo Parigi-

-Mi mancherai- e piangemmo insieme, piangemmo come due povere sciocche –come farai con Julien?-

-In qualche modo me la caverò-

Speravo davvero che se la sarebbe cavata, perché non potevo semplicemente andare via lasciando il mio piccolo Julien solo.

L'addio fu straziante, con mia madre in lacrime e Julien appeso al mio vestito che non voleva lasciarmi andare.

-Tornerò presto- mormorai.

-Se l'università non ti dovesse piacere non preoccuparti, torna qua- mormorò mia madre, il fazzoletto tra le dita.

L'abbracciai forte.

Lolò era un passo più indietro. –Sei sicura che non vuoi che venga?- mi chiese.

-Sicurissima- le sorrisi. Il suo posto era lì, con mia madre, con Julien, con Lotte.

-So di chi è la colpa-

Sorrisi. Per lei tutto era colpa di Albert, se il mondo fosse finito sarebbe stata colpa sua.

Alla fine venne il turno di Lotte. Mi fissava, ferma in un angolo, lo sguardo basso e intimorito.

-Mi prometti che penserai tu a Julien?- le chiesi.

Lei annuì. –Sì, baderò io al piccolo, in fondo avrei già dovuto farlo dall'inizio-

Ci abbracciammo, un lungo abbraccio, poi partii, verso un destino di cui avevo paura.

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