XXXVIV

Il tempo passò lentamente, i giorni parevano tutti uguali, senza nulla che li distinguesse. Un paio di volte appoggiai l'orecchio sul pancione di Lotte e sentii quella piccola creatura che si muoveva, che prendeva lentamente vita dentro di lei. Ero come attratta da quel pancione, da ciò che stava succedendo nella mia amica. Non avevo mai avuto vicino una donna incinta e il mistero della vita mi affascinava.

-Mi sta mangiando viva- si lamentava Lotte.

-Quante sciocchezze-

-Non voglio un figlio-

-Avresti dovuto pensarci prima- le rispondevo io.

Ma Lotte parlava senza ascoltare la risposta. La cosa che pensavo spesso in quei giorni era l'assurdità di quella situazione. Lotte non voleva quel bambino che era nato dal suo stesso tradimento.

E poi finalmente arrivò il gran giorno.


Mi ricordo che era una bella giornata, con il sole che splendeva e il cielo azzurro. Il parto fu molto difficile, tanto che Lotte rischiò di morire. Quando iniziarono le doglie mia cugina fece uscire tutti dalla stanza.

-Voglio che resti solo Viola- dichiarò Lotte, sempre testarda.

Lolò corse subito a chiamare la levatrice, colei che si era occupata anche di far nascere me e mia cugina. Era una donna anziana e gobba che arrivò meno di un quarto d'ora da quando era stata mandata a chiamare.

Quando Lotte mi chiese di restare sola con lei, io restai un attimo immobile, non aspettandomi quella richiesta. Non volevo rimanere lì, non volevo assistere a quella nascita che avrebbe confermato ciò che era accaduto.

-Ti prego, Viola, voglio che tu resti qua- mi pregò Lotte, lo sguardo supplicante, mentre si sedeva nel letto.

E ovviamente cedetti. Ricordo bene quando stavo seduta al suo fianco, tenendole la mano, mentre lei urlava, piangeva, mi graffiava. Fu in quel momento che Lotte mi fece giurare.

-Giura che non gli dirai mai chi è il padre-

-Io...-

-Giura, devi giurare, nessuno dovrà mai sapere chi è il padre-

La fissai, il viso pallidissimo, gli occhi sgranati che avevano perso tutta la loro brillantezza, le labbra le tremavano ed erano macchiate di sangue tanto lei le aveva morse, i lunghi capelli ricadevano piatti intono a lei.

-Devi giurare, ti prego, devi giurare-

E alla fine, come sempre quando si trattava di Lotte, cedetti e giurai, con le lacrime agli occhi, giurai che non avrei detto a nessuno, neppure alla creatura che avrebbe messo al mondo, non avrei mai detto che era Albert il padre.

-Grazie, Viola, non immagini cosa questo vuole dire per me- piangeva, le lacrime le scendevano lungo le guance... oh, credetti davvero che potesse morire! Eppure il suo parto fu come la sua nascita e la lasciò completamente sfinita, ma viva.

-Un bel maschietto- esclamò la levatrice, sollevando un bambino in lacrime.

-Non lo voglio neppure vedere- disse Lotte con un filo di voce –portatelo via, vi prego-

-Lotte, cosa stai dicendo? È tuo figlio- intervenni.

Ma Lotte non disse più nulla, né più tardi volle prendere in braccio il bambino, si chiuse in se stessa.

-Prendilo tu, Viola- fu l'unica cosa che aggiunse.

La levatrice mi fissò confusa e io annuii. Un attimo dopo mi ritrovai quel bambino, quella creatura così piccola, così delicata, così fragile tra le braccia. Se fino a quel momento non ero riuscita a provare nessun sentimento per l'essere che cresceva dentro Lotte, non appena l'ebbi tra le braccia provai qualcosa. Non so se fu amore materno, no, fu qualcosa che non saprei spiegare neppure oggi, neppure dopo che è passato così tanto tempo. Fu come la certezza che la mia vita e quella del neonato sarebbero state per sempre legate.

Lotte non volle vedere nessuno quel giorno. L'emorragia era stava violenta, per cui il medico non le permise di alzarsi dal letto per diverso tempo. Io, mia madre e Lolò ci occupammo del piccolo e, visto che Lotte si era rifiutata di dargli un nome, dovemmo pensare noi anche a quello.

-Oh, povero piccolo- mormorava Lolò –neppure un nome... dobbiamo trovarne uno... - e iniziò a proporne alcuni, ma nessuno di essi riusciva a convincere me o mia madre.

-Per lui ci vuole qualcosa di speciale- mormorò mia madre che teneva il piccolo tra le braccia, già affezionata a lui.

E fu allora che vidi un libro posato sul tavolino. Il rosso e il nero. –E se lo chiamassimo Julien?- chiesi.

Dopo un attimo di silenzio sia mia madre sia Lolò si dichiararono d'accordo. Fu così che il piccolo fu battezzato Julien. Lotte non diede mai la sua opinione su quel nome.

Quella notte mi affacciai alla finestra e mi parve di vedere una figura ferma vicino al bosco. Era uno fantasma dei fantasmi del castello, venuto a dare il benvenuto al nuovo arrivato? Magari si trattava proprio di Giselle che aveva predetto la nascita di quel bambino e in qualche modo aveva anche previsto la competizione tra me e Lotte per lo stesso uomo. Oppure si trattava di Albert che forse non si era mai allontanato molto dal castello? Non lo seppi mai. Forse fu solo un'ombra o qualcuno che si fermò a guardare il castello. Un giorno una persona mi avrebbe detto che, ancor prima di conoscermi, si era fermata a osservare il mio castello e mi aveva vista alla finestra. Si riferiva a quella notte? Non lo so, non so neppure se questo fatto sia vero oppure no. Ma questa è un'altra storia.

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