XXXV
Fu quasi per caso che scoprii che il Destino stava giocando con me e Albert già da tempo. Albert aveva già visitato diverse volte il villaggio, fin da bambino ed era sempre rimasto affascinato dal castello.
-Mi ero ripromesso che un giorno sarei entrato lì dentro- mi confessò.
Una volta passeggiando per il paese era certo di aver incontrato una ragazza dai capelli rossi che teneva per mano due bambine, una bionda e una mora. Un'altra volta, passando accanto al lago, aveva dovuto rilanciare la palla persa verso il castello, a due ragazzine che lo chiamavano per averla. Era stato a Venezia nello stesso periodo in cui c'ero stata io. Mi chiesi se potesse davvero essere il misterioso ballerino che avevo incontrato lì. Lui non aveva voluto dirmelo. Lo stesso Natale di molti anni prima un merlo bianco si era posato sia sulla mia sia sulla sua finestra. Pareva addirittura che avessimo gli stessi sogni ricorrenti. Pallidi fantasmi che ci rincorrevano in un labirinto senza fine e a volte un enorme prato con bellissimi fiori blu che parevano brillare.
-Non ci posso credere- mormorò una volta Albert, scuotendo la testa –parrebbe quasi che siamo due parti di un tutto-
-Non credete che sia possibile?-
-Non credo alle anime gemelle...perlomeno non ci ho mai creduto- ora però pareva improvvisamente più incerto, forse iniziava a chiedersi se non ci fosse davvero un destino dietro ai nostri incontri.
Un giorno Albert volle organizzare un picnic in riva al lago. Riuscì perfino a convincere mia madre a non mandarci dietro Lolò.
-Potrà controllarci direttamente dal castello e speriamo che non prenda una delle vecchie pistole- commentò Albert, ridacchiando –altrimenti potrebbe decidere di volermi sparare-
Ricordo con precisione quel giorno. Il telo steso per terra, l'aria fresca, le deliziose pietanze, le risate, l'allegria.
-Posso sperare che un po' mi abbiate perdonato- disse a un certo punto Albert, mentre fissavamo il lago.
-No- mentii –certe cose non si possono perdonare-
Albert mi frugò il viso con attenzione alla ricerca di un cedimento, di qualcosa che potesse forse convincerlo che stessi mentendo. Poi la sua mano sfiorò la mia e la strinse. Per un attimo pensai di tirarla indietro, ma poi la lasciai. Fu allora che mi parve di vedere un'ombra sotto il lago.
-Guardate- esclamai.
Albert posò lo sguardo e poi sgranò gli occhi. –Sembra una donna-
Il volto femminile emerse e ci fissò un attimo, avvolto dalle alghe, per poi scomparire sotto l'acqua del lago.
-La zia Giselle- mormorai, la sensazione che la sua visione volesse dire qualcosa.
-Che posto!- sussurrò Albert, scuotendo lentamente la testa –Credo che ne uscirò pazzo ... oppure è l'amore che mi ha fatto impazzire-
-Siete tremendo quando fate così-
Albert mi strinse a sé e mi baciò, un bacio improvviso, inaspettato. Mi accarezzò i capelli, mi mordicchiò le labbra, mi sfiorò la pelle con tocchi delicati. Gli passai le braccia intorno al collo, abbandonandomi al suo bacio.
-Approfittate del fatto che Lolò è lontana- dissi quando ci staccammo.
-Non ditemi che i miei baci non vi piacciono-
Abbassai lo sguardo e non risposi. Non c'era nulla che non mi piacesse in Albert, a parte ciò che aveva fatto, a parte la sua orribile colpa.
-Non mi perdonerete mai?- chiese in un sussurro.
Non risposi, non sapevo cosa rispondere, poi sospirai e gli sorrisi. –Baciatemi-
E lui mi baciò nuovamente, poi si allontanò e mi fissò con un sorriso. –Vi amo- dichiarò.
-Spero che non mi stiate mentendo-
-Non ho mai mentito sui miei sentimenti, sulle mie azioni sì, ma mai sui miei sentimenti-
Lui mi strinse a sé e restammo abbracciati a guardare il lago. Ricordo con precisione quel momento, lo ricorderò per sempre. Fu uno dei momenti più felici della mia. Ero certa che nulla al mondo avrebbe potuto portarmi via quella gioia. Mi sbagliavo, ma forse è regola che non appena si tocchi la vetta della felicità si venga buttati giù fino a toccare il fondo. La felicità non è forse un bene che si possa possedere per lunghi periodi.
Fu quella sera, rientrando al castello, che seppi, ascoltando una conversazione tra Lolò e mia madre, che avevano scoperto dove stava Lotte. A quanto pareva conviveva con un uomo in un villaggio vicino.
-Le ho detto di tornare- disse mia madre che si era recata a trovarla -non posso permettere che viva così, è pur sempre mia nipote-
In cuor mio sperai che Lotte non sarebbe tornata, che non avrebbe ascoltato quel saggio consiglio.
-Povera ragazza- continuò mia madre -è così pallida e mi ha detto che in questi giorni non si sente bene, è rimasta seduta per tutto il tempo della mia visita-
Lolò sospirò. -Speriamo che torni-
-L'uomo che vive con lei è un vero furfante, dicono delle cose orrende su di lui, la tratta male- mormorò mia madre -speriamo che tutto si risolva-
Quelle parole mi fecero male. Ero proprio un mostro a desiderare che Lotte non tornasse, a preferire che vivesse con un uomo simile, che soffrisse. Ma era davvero tanto sbagliato voler essere felice? Voler essere, per almeno una volta nella vita, l'unica fanciulla del castello? Non meritavo una vita senza Lotte?
Quella notte feci uno strano sogno. Sognai la sala da ballo del castello, com'era prima dell'incendio. Sognai la musica che riempiva l'aria. Sognai i ballerini che si muovevano sinuosi. Era tutto così perfetto, illuminato solo dalla tenue luce delle candele. Poi mi resi conto che c'era qualcosa per terra. Abbassai lo sguardo. Uno strano liquido, leggermente denso, che pareva ricoprire il pavimento e che mi macchiava le ballerine bianche. Ci misi un attimo a comprendere che si trattava di sangue, così tanto sangue. Alzai lo sguardo. Ora potevo vedere meglio i ballerini e compresi che erano morti. Il loro viso era ferito, o meglio si staccavano i pezzi di carne che cadevano a terra, in mezzo al sangue. Era tutto così vivido, così reale. E poi vidi due ballerini in particolare. Lotte e Albert, solo che il loro volto era distrutto, profonde ferite lo percorrevano. Mia cugina mi sorrise, un sorriso insanguinato. Arretrai, terrorizzata. C'era però qualcosa che andava oltre l'orrore, oltre il terrore, una strana sensazione che quasi non mi faceva respirare. E poi compresi. Era un dolore, un dolore senza nome, era la paura che Albert avrebbe scelto Lotte perché alla fine tutti sceglievano Lotte, era la sensazione che fossi sempre seconda a lei, anche se mi sforzavo per essere la prima, era la certezza che Lotte avrebbe sempre fatto parte della mia vita e che mi avrebbe sempre sostenuta e ostacolata. Era la sicurezza che non sarei mai potuta essere felice con lei e neppure senza di lei. Era una sensazione che non sarei mai stata capace di descrivere fino in fondo, qualcosa di profondamente e terribilmente perturbante.
Il giorno dopo Lotte tornò e portò con sé una notizia che mi avrebbe cambiato la vita.
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