VI

La domenica andavamo a messa nella piccola cappella di famiglia. Era un luogo accogliente, una piccola chiesa, in cui regnava sempre un forte profumo d'incenso, il posto in cui i miei genitori si erano sposati. Crescendo mi sarebbe capitato più volte, nei momenti di maggiore sconforto, di rifugiarmi lì, seduta in fondo, a pregare e riflettere. Le vetrate colorate raccontavano storie di salvezza e dannazione. Lotte aveva sempre avuto paura di quelle immagini e raramente era venuta di sua spontanea volontà nella chiesetta, troppo spaventata.

-Perché non ti piace stare qua?- le avevo sussurrato una volta, durante la funzione di Natale, vedendo che continuava a guardare verso l'uscita.

-Io so che diventerò uno di quei peccatori che sono su quelle vetrate- mi aveva risposto –oh, non so cosa dire, ho paura-

E così la Grigia Malinconia si impossessò di lei per tutta la giornata, nonostante tutti i miei sforzi per tentare di rasserenarla.

-Come puoi pensare alla morte?- le chiesi –Siamo così giovani, dovremo pensare a vivere-

-Oh, ma la morte non chiede l'età- e questa frase mi ha perseguitata per molto tempo. Aveva ragione Lotte, aveva sempre ragione Lotte, no, noi che eravamo cresciute con quelle storie di guerra, di epidemia, di morte dovevamo sapere che la morte non guarda in faccia nessuno.

La mattina seguente però Lotte si svegliò con il sorriso, pareva che all'improvviso fosse tutto passato, che non fosse mai stata triste, che la Grigia Malinconia neppure esistesse e in momenti come quelli mi chiedevo se non fossi io pazza a immaginarmi quella cupa tristezza.


Fu circa in quel periodo che assistemmo alla tragica morte di Caroline. Si trattava della figlia di una delle domestiche del castello, una ragazzina particolarmente emaciata e schiva che non godeva della simpatia di Lotte, ma che al contrario era spesso oggetto delle sue critiche. Un giorno si ammalò gravemente. Non si seppe esattamente cosa la colpì, si parlò di molte malattie, colera, tifo, l'unica cosa che ricordo fu il terrore che colpì tutti gli abitanti del castello. In pochi giorni la bambina morì e noi per la prima volta fummo a contatto con la morte. Si tratta di un argomento molto doloroso...soprattutto perché io e Lotte dal nostro balcone potemmo vedere, attraverso la finestra priva di tende della camera di Caroline, le ultime ore di vita della nostra coetanea. Ricordo il viso cereo di Lotte, che insisté per stare ad osservare fino alla fine, appoggiata alla ringhiera del balcone, come se non riuscisse a reggersi in piedi, ma allo stesso tempo non fosse neppure capace di allontanarsi da quel macabro spettacolo, mentre io, straziata dall'agonia di quella poveretta, mi rifugiai in angolo della stanza a leggere...ma di questo doloroso momento...non voglio ricordare, come neppure del funerale, che si tenne in un giorno piovoso e della piccola bara bianca dentro la quale stava Caroline, immobile e spettrale.



D'estate, quando la giornata era particolarmente soleggiata e faceva molto caldo, passavamo il tempo al lago. Spesso ci sedevamo per terra, sempre sotto lo sguardo vigile di Lolò, terrorizzata all'idea che ci potesse succedere qualcosa, ma che alla fin fine prestava più attenzione ai libri che leggeva che a noi. A volte ci veniva a far compagnia Mimì, figlio di uno dei pochi amici di famiglia, che abitava in una villa non molto lontana dal nostro castello.

-Qui sotto abita un mostro- mi raccontò un caldo pomeriggio Lotte, mentre riposavamo sotto lo sguardo attento di Lolò.

-Non ci credo-

-Credici e le piacciono le bambine dai lunghi boccoli scuri-

-Non ci credo- ripetei, ma in realtà da quel giorno non ho mai più guardato le quiete acque del lago nello stesso modo.

-Ci crederai quando verrà a prenderti-

E il mostro era venuto, o meglio Lotte aveva convinto Mimì a nascondersi sott'acqua e a trascinarmi sotto. Non parlai a entrambi per parecchio tempo, furiosa non tanto per lo scherzo, ma il fatto che per un attimo avevo davvero creduto al mostro, poi un giorno lei venne. La ricordo ancora, lo sguardo basso, l'abitino bianco, una margherita tra i capelli e una rosa gialla in mano...la rosa dell'invidia.

-Per farmi perdonare...scusa, non volevo farti spaventare-

E io, sciocca, l'avevo perdonata...perché in fondo Lotte mi era mancata tremendamente in quei giorni d'assenza, era stato come se una parte di me se ne fosse andata via e avesse lasciato un vuoto incolmabile. Ho conservato quella rosa, si trova dentro un libro, non ricordo più quale, ogni tanto inizio a cercarla, la vorrei tenere tra le mani, vorrei riassaporare l'infanzia, ma so bene che se anche la trovassi non cambierebbe nulla, è passato troppo tempo ormai.


Ho diversi ricordi della mia infanzia, normalmente c'è anche Lotte in questi ricordi. Quando da piccole correvamo su e giù per le scale, quando giocavamo con le bambole e lei insisteva per essere sempre la regina, quando andavamo a cavallo nel bosco e lei mi sfidava a fare a gara. Una volta cadde da cavallo. Ricordo il pianto disperato di mia zia, le parole consolatorie di mia madre, uno strano silenzio, come quello delle camere funebri, il medico che sospirava e scuoteva la testa, uno strano profumo pungente di rose. E poi Lotte si era ripresa, unico segno di quella tragica caduta era un segno sulla fronte. Durante la convalescenza eravamo state molto unite.

-Prometti che non mi lascerai mai?- mi disse un pomeriggio lei –Saremo amiche per sempre, io ho bisogno di un'amica come te, qualcuna che riesca a farmi ragionare, che riesca a controllarmi-

All'epoca non capivo cosa volesse dirmi, ora lo so.

-Come potrei lasciarti? Siamo amiche del cuore-

Era stato poco tempo dopo che avevamo fatto il cosiddetto patto di sangue. Lotte si era tagliata un polpastrello, poi aveva preso il mio e aveva fatto lo stesso nonostante le mie proteste.

-Sorelle di sangue- aveva mormorato mentre il nostro sangue si univa. Avevo sempre trovato quella cosa un po' inquietante, ma simili comportamenti erano abbastanza normali per Lotte.


Qualche volta Mimì passava il tempo con noi. Mimì, l'odioso figlio di uno degli amici di mio padre, un ragazzo esuberante e chiassoso. Da bambina Mimì non mi piaceva, lo trovavo insopportabile e non mi piaceva trascorrere il tempo con lui. La verità era che non mi andava di dover assistere al rapporto tra lui e Lotte, perché quando erano insieme sembrava che io non ci fossi. Mimì amava Lotte, di questo ero certa, come del fatto che nessuno si sarebbe innamorato di me.

-Quello sciocco me lo trovo ovunque vada- si lamentava Lotte, con quella civetteria che spesso accompagna la sicurezza di essere le più desiderate. Sapevo bene che le faceva piacere la presenza di Mimì, anzi, lei stessa la ricercava, fuggendo poi per essere rincorsa in un eterno gioco del quale io non facevo parte, o meglio, io ero la testimone di quanto Lotte fosse bella, intelligente, perfetta, di come riuscisse a conquistare chiunque con uno sguardo. All'epoca potevo solo immaginare quante altre volte quel gioco si sarebbe ripetuto.

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