PROLOGO

La osservavo andare via, immobile, affacciata alla finestra, tenendo per mano quel bambino che pur non essendo mio mi assomigliava in modo così evidente. Aveva i miei stessi occhi, la mia stessa bocca, perfino quel mio modo di piegare leggermente la testa. Eppure era figlio suo, non avrebbe potuto mai essere diversamente. Mi appoggiai al davanzale di pietra e mi spinsi un po' più avanti per guardare la mia migliore e peggiore amica andarsene, come se nulla fosse, come se non lasciasse alle sue spalle la sua vita, il suo presente, tutto ciò che amava, me e il suo bambino.

La potevo vedere, indossava il suo abito verde smeraldo, il suo preferito, quello con le maniche a sbuffo e la gonna ampia, quello che le faceva risaltare gli occhi. L'osservai bellissima e stranamente pallida sotto il sole del primo pomeriggio. I capelli tagliati corti, a caschetto, erano strani su di lei, che li aveva sempre portati lunghi e si era sempre vantata della sua chioma. Volse la testa verso il castello e ci fissammo, un lungo sguardo, poi lei sollevò una mano e la mosse. Un ultimo saluto. Sentii le lacrime spingere per uscire mentre facevo la stessa cosa, pallido specchio di ciò che era lei. Non capivo perché avesse voluto partire, perché avesse insistito così tanto per una cosa così sciocca. Lei apparteneva al castello forse ancora più di me, ossa, sangue, pelle, era il castello, era come se fosse incatenata a esso, era come se fosse parte delle mura stesse, era sempre stato così. Ci guardammo un'ultima volta. Una parte di me era certa che l'avrei rivista, lei non poteva allontanarsi dal castello per troppo tempo e io sarei restata in muta attesa, come una statua di marmo, perché, me ne rendevo conto solo in quel folle attimo, senza di lei la mia vita non avrebbe mai potuto essere la stessa.

Eravamo cresciute insieme e Lotte era sempre stata lì, al mio fianco, odiosa, egocentrica, approfittatrice, ma l'unica vera amica che avessi avuto, l'unica disposta a sostenermi sempre, seppur con il suo modo di fare aggressivo.

-Tornerà?- chiese il piccolo in lacrime.

Gli accarezzai i capelli scuri. –Certo che tornerà- e con tutte le forze che riuscii a trovare lo sollevai, quel piccolino, sul davanzale. Tremavo per la fatica. Lotte avrebbe riso della mia debolezza, come aveva sempre fatto.

-Non riesci a fare nulla, neppure a sollevare un cagnolino- mi aveva deriso una volta.

Aveva ragione, ma io avevo una forza che Lotte non avrebbe mai avuto e che in fondo, ero certa, m'invidiava, la forza d'animo.

-Non mi vuole bene- mormorò il piccolo...se mi volesse bene non se ne andrebbe-

-Non dirlo neppure per scherzo, certo che ti vuole bene-

-No...vorrei che fossi tu la mia mamma- e mi strinse forte, premendo il viso contro il mio seno.

Lo tenni stretto a me e mi chiesi se mai avrei potuto rompere la promessa che avevo fatto a Lotte, se mai avrei potuto rivelare la verità a quel bambino che sosteneva di odiare la madre. Purtroppo sapevo che non potevo farlo, non a breve perlomeno, non fino al momento in cui lei non fosse tornata e mi avesse dato il permesso di dire tutto. E io non vedevo l'ora che tornasse, perché io e Lotte eravamo sempre state come sorelle.

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