IV

La sera, dopo cena, la quale si svolgeva sempre nel grande salone, sotto lo sguardo attento e severo dei miei antenati, Lolò ci portava nella nostra stanza. Avevano provato diverse volte a metterci in camere separate senza ottenere il risultato sperato, infatti non appena venivamo lasciate sole correvano una nella stanza dell'altra. La verità era che, anche se Lotte non lo avrebbe mai ammesso, avevamo entrambe paura di dormire da sole. Quel castello, così grande, così freddo, con quei quadri così inquietanti, ci metteva paura. E poi c'erano le storie che si raccontavano in un sussurro. Si diceva che lì abitassero vari fantasmi.

-Gli spiriti sono più sinonimo di nobiltà di uno stemma- soleva dire mio padre, con aria compiaciuta.

Poteva anche essere vero, ma di notte, soprattutto quando fuori il vento era forte e i rami battevano contro le finestre, io avrei cento volte preferito essere una popolana in una piccola casetta senza fantasmi e senza stemma.

-Chi credi che sia?- mormorava alcune sere Lotte, ascoltando i rumori del castello. Io avrei voluto zittirla con un pizzicotto, ma temevo troppo la sua reazione, più ancora che quella dei fantasmi.

-Non lo so-

-La Folle- sussurrava lei e io sapevo a chi si riferiva.

La storia, ambientata circa un secolo prima, narrava di una ragazza che si era follemente innamorata del figlio del padrone del castello. Il giovanotto, un vero dongiovanni, l'aveva illusa e lei si era concessa credendo che lui l'avrebbe sposata. Sfortunatamente il ragazzo l'aveva lasciata sola e incinta. La giovane era sparita per qualche tempo, fino a quando una sera non era riuscita a introdursi nel castello. Aveva rotto una finestra e i pezzi di vetro le erano finiti addosso, ferendola e macchiandole il vestito di sangue. A quel punto la gravidanza era ben evidente. Era così entrata e, trovato il suo ex amante, lo aveva colpito usando proprio i pezzi di vetro della finestra, per poi riuscire a buttarlo di sotto con una forza sovrumana, prima di scomparire nella notte. Il suo corpo non era mai stato ritrovato, ma tutti erano certi che si fossi uccisa, consapevole che se l'avessero catturata le avrebbero fatto fare una fine molto infelice.

La leggenda diceva che la ragazza andasse ancora in giro per il castello, furiosa per com'era stata trattata e decisa a vendicarsi di tutti, soprattutto dei discendenti di colui che l'aveva trattata male. Lolò, che amava spaventarci, ci raccontava  spesso la storia di questo sprovveduto rampollo e della sua furiosa amante.

-C'è chi giura di averla vista, l'assassina, il suo pallido fantasma, il viso sporco di sangue, è stata lei a spingere quel poveretto giù dalla finestra...una storia che fa ghiacciare il sangue nelle vene- e a questo punto si faceva il segno della croce, temendo che il fantasma, richiamato dal suo racconto, potesse da un momento all'altro apparire lì davanti e punirla dell'audacia con cui aveva narrato l'accaduto. Di giorno io e Lotte ridevamo di quella sua paura, ma la notte la storia era diversa, eravamo terrorizzate.

-Verrà prima a prendere te, sei tu l'erede diretta- era solita dire Lotte -così io avrò il tempo di scappare-

-Sei proprio crudele- le rispondevo io –e certamente punirà la tua crudeltà-

Andavamo avanti diverso tempo in quel mondo, litigando per una sciocchezza, ma ciò che per altri era una lite per noi era solo un modo per rapportarci.

Un altro spettro che tormentava le nostre notti era quello del Cavaliere senza Testa. Narrava la leggenda che un tempo un cavaliere desideroso di giustizia abitasse il castello. L'uomo faceva tagliare la testa a tutti i colpevoli di qualche reato, senza interessarsi sulle reali motivazioni che li avevano spinti a commetterli, così un giorno qualcuno aveva deciso di fargli provare ciò che lui faceva agli altri. Nessuno seppe mai quello che era successo, ma avevano trovato il suo corpo, decapitato, nel bosco. Nessuno trovò mai la sua testa. La storia diceva che il fantasma del cavaliere non avrebbe avuto pace fino al momento in cui non ne fosse tornato in possesso. Non era necessariamente crudele, ma c'era in lui qualcosa che metteva i brividi.

La leggenda più caratteristica del castello era però quella della bella Jolanda, il cui quadro faceva bella mostra in salone. La storia narrava che Jolanda fosse talmente incantevole da attirare su di sé gli sguardi di ammirazione di tutti gli uomini e quelli d'invidia di tutte le donne. Il padre, geloso e temendo che qualcuno le facesse del male, la rinchiuse nella sua stanza, ma un giorno un giovanotto la vide mentre era affacciato alla finestra e così iniziò una storia d'amore platonica, fatta di bigliettini, fiori e tanto altro. Un giorno il giovanotto sfortunatamente non si presentò sotto la finestra, nessuno seppe mai che fine avesse fatto. Da allora Jolanda parve impazzire e un giorno, preso un coltello, si ferì per poi buttarsi dalla torre. La storia narrava che si aggirasse per il castello e che fosse riconoscibile per l'abito bianco macchiato di sangue e il coltello che stringeva in mano. Se piangeva avrebbe portato brutte notizie, mentre se rideva voleva dire che sarebbe successo qualcosa di bello. Jolanda era la nostra personale Dama Bianca ed era proprio parlando di lei che mio padre soleva dire che avere dei fantasmi onorava la nostra famiglia, in quanto i nobili hanno bisogno di fantasmi almeno tanto quanto di uno stemma.

Infine c'era la leggenda del mostro nelle mura. Era una storia che pareva che nessuno volesse raccontare, una di quelle storie così oscure da poter addirittura rovinare il buon nome di una famiglia. Secondo mio padre non c'era niente di vero, ma a volte notavo che quando un rumore pareva provenire da dietro un muro che non aveva stanze adiacenti, s'immobilizzava e restava in ascolto. Il fatto era che in un tempo che nessuno ricordava il proprietario del castello aveva avuto un figlio deforme e così aveva deciso di nasconderlo in una stanza segreta la quale si poteva collegare ad altre attraverso dei corridoi creati all'interno dei muri e che un tempo venivano usati durante le guerre. Il problema era che l'erede non era una creatura umana e così aveva continuato a vivere dopo la morte dei genitori, dei fratelli, perfino dei nipoti, ed era ancora nascosto tra le mura, dilettandosi a percorre il castello e a restare nascosto nel suo nascondiglio, origliando coloro che vivevano in esso.

-Deve essere molto triste- era l'opinione di Lotte, che credeva nell'esistente dell'essere –non poter mai uscire, vivere lì dentro...orribile-

Aveva certamente ragione, ma io non riuscivo proprio a immaginarmi una creatura triste e non potevo far altro che temere che un giorno sarebbe uscito dalle mura e ci avrebbe divorate. Così per ingraziarci il mostro iniziammo a raccontare storie a voce alta, cosicché lui potesse dilettarsi ascoltandoci e non se la prendesse con noi.

Avevo notato che Lolò aveva sempre con sé degli amuleti. Una volta le avevo chiesto a cosa servissero, ma lei non me lo aveva voluto dire.

-Secondo me sono per scacciare gli spiriti- era la teoria di Lotte.

E a un certo punto lo pensai anch'io e mi chiesi dove potessi trovarne uno io, certa che mi avrebbe difeso da quei mostri che perseguitavano le mie notti. E così, di nascosto a Lotte, perché ero certa che se lo avesse saputo mi avrebbe derisa, mi misi alla ricerca di qualcosa con cui costruirla, lessi un numero enorme di libri, nella speranza di trovare quell'unico ingrediente che avrebbe tenuto lontano i fantasmi, non sapendo che ci sono spettri ben più pericolosi di quelli del castello, creature che vivono in noi, nella nostra mente, pronti con i loro artigli a ferirci in ogni momento e che non possiamo allontanare in nessun modo. All'epoca però ero troppo piccola per comprendere queste cose, così alla fine riuscii a procurarmi un po' di timo, che secondo la leggenda caccerebbe gli spiriti, e lo misi in un sacchettino che da quel giorno porto sempre con me, una sorta di oggetto scaramantico. Lotte rise molto quando lo scoprì, ma notai che qualche giorno dopo anche lei aveva un sacchetto, rosso, che si portava sempre dietro. Rosso, il colore che per gli antichi romani rappresentava la forza, il potere, ma che poteva anche indicare la passione, un colore che era perfetto per Lotte. Il mio sacchetto era viola, avevo scelto quel colore perché era il colore della magia e poi il viola mi piaceva, lo ritenevo più simile a me, un colore poco diffuso, non troppo appariscente, ma comunque neppure troppo poco vistoso. Vero o non vero dopo essermi creata il mio amuleto mi era sembrato che i fantasmi fossero meno presenti, anche se continuarono a far parte delle nostre vite.

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