Capitolo 9
Il sole rifulgeva oltre la pianura tra i monti varasiani. Larica si era intestardita a fissarlo nonostante la accecasse; voleva imprimersi nella mente ogni cosa delle sue terre, persino il modo in cui i raggi fiammeggianti facevano brillare il verde della foresta.
Accanto a lei il principe cavalcava silenzioso, da quand'erano partiti non avevaproferito parola. Lo guardò di sottecchi e notò che a dispetto della sua compostezza il suo sguardo appariva spento; sembrava stanco, o addirittura sofferente.
«State bene?»
Lui sobbalzò, come risvegliandosi dal torpore del sonno: «Chiedo venia, principessa, mi avete parlato?»
«Mi chiedevo se state bene.»
«Oh, sì che sto bene. Voi no?»
«Gradirei una pausa» rispose tentando di nascondere che stava mentendo.
«Cavalchiamo da ore. Sono stanca. Voi non lo siete?»
«Non è la prima volta che viaggio.» Il suo tono di voce si raffreddò un poco; Larica pensò di aver colto nel segno e si chiese come mai il principe fosse stanco. Si era malato come Endin?
«Ci fermeremo per l'ora di pranzo, che per voi qui al nord è già giunta, ma per noi al sud è più tardi.»
Annuì distogliendo lo sguardo da lui. Attorno a loro la pianura pareva estendersi all'infinito e non aveva idea di dove si trovassero i villaggi nei dintorni. Non era mai uscita dalla capitale.
Cavalcarono per un tempo che le parve interminabile, finché si sentì stanca nel fisico e anche nella mente.
Doveva essere quasi metà pomeriggio quando si fermarono al limitare di un boschetto. Il principe si propose di abbeverare la sua cavalla, ma Larica insistette per fare da sola.
Donna Rubia e le ancelle prepararono un veloce pasto con quello che avevano, del formaggio, pane, carne essiccata. Larica mangiò all'ombra di un albero, seduta a terra come le sue ancelle; si sentiva bene anche senza gli agi di corte, dato che una vita semplice era sempre stata uno dei suoi desideri.
Non molto lontano i Calan e il loro seguito mangiavano chiacchierando a stento e bevendo più vino di quanto pane mangiassero; anche Ferdinand stava bevendo molto, notò Larica, forse nel tentativo di abbattere la stanchezza.
Presto ripresero il loro cammino. Larica si trovava scomoda con quell'abito, ma almeno le avevano permesso di cavalcare come un uomo; avrebbe voluto indossare comode brache invece di strati inutili di gonna che la intralciavano. Almeno però aveva un aspetto decoroso, pensò, al cospetto del suo fidanzato, anche se Ferdinand stava cavalcando accanto al fratello poco più avanti e non l'aveva più degnata di un solo sguardo.
Cercò di distrarsi continuando a guardarsi attorno, ma null'altro fuorché alberi, erba e foglie smosse dal vento catturavano la sua vista. Non molto più tardi, però, si cominciarono a intravedere piccole capanne all'orizzonte. Quel mare d'erba sembrava concedere loro finalmente una tregua.
«Non è così vicino come sembra, principessa.»
Larica si volse verso l'improvvisa voce, maschile ma limpida come quella di una donna. «Intendete il villaggio?»
«Sì, altezza. Quelle capanne che vedete innanzi a noi non sono tanto vicine. Ci vorrà, che gli déi ci assistanno, almeno un terzo del pomeriggio.»
«Ahimé non me ne intendo molto di numeri, messere.» Aveva studiato con il maestro di corte fin dalla tenera età, ma la contabilità non era mai stata il suo forte e nemmeno sentiva il desiderio di contare quanti passi la separavano da un pasto caldo, seppure frugale, e un pagliericcio dove dormire.
Il giovane accanto a lui sospirò: «Nemmeno io sono svelto di conti. Magari mi sbaglio.»
Era d'aspetto ai suoi occhi sgradevole, con il viso lungo e grandi orecchie a sventola, ma qualcosa nel suo sorriso che le aveva rivolto e nel suo modo amichevole di rivolgersi a lei le ispirò simpatia. «Voi come vi chiamate, messere?»
«Il mio nome è Muynn Tearnee, della casa Calan.» Lo disse a testa alta, con apparente orgoglio, ma nella sua voce si sentiva chiara un'inflessione d'insofferenza.
«Siete un cugino del principe Ferdinand?» azzardò Larica. Non vedeva alcuna somiglianza tra loro, ma tra cugini non sempre vi erano.
«Sì, lo sono.»
Tacque un'altra domanda, poiché un cavaliere si affiancò a loro. «Te, non starai importunando la principessa. Ti avevo detto di cavalcarmi accanto, così che potessi tenerti d'occhio.»
Muynn sollevò gli occhi al cielo, sbuffando: «Sua altezza ti confermerà che non la stavo affatto importunando. Lasciami in pace Ciar.»
«Principessa.» Il cavaliere chinò la testa in segno di deferenza. Lei ricambiò con un gesto più breve. «Sono ser Ciaran della casa Calan, al vostro servizio.»
«Ser Muynn mi stava già doverosamente servendo salvandomi dalla noia» riferì Larica, che già provava antipatia per quel tipo belloccio e dalla malcelata arroganza.
«Stavamo discutendo di quanto potesse distare quel villaggio.»
Ser Ciaran diede una scrollata di spalle:
«Con me al vostro fianco, altezza, vi giungerete sana e salva e al più presto.»
Muynn accanto scuoteva la testa.
Larica soffocò una risatina. «Come dite voi, messere.» Spronò Edna e fece cenno a Muynn di seguirla. Si allontanarono da Ciaran, che non li seguì.
«Perdonate mio fratello, principessa, è arrogante e vanesio.»
«Vostro fratello? Difficile crederci.»
Muynn rise. Trascorsero il tempo che li separava dal villaggio a chiacchierare; Larica smise di pensare al principe Ferdinand e a tutti i suoi timori su di lui; almeno per un po' si sentì sollevata dal peso di quel viaggio a cui era stata costretta.
Il villaggio era costruito perfettamente sul piano, poco distante da un piccolo bosco. Un canaletto era stato scavato ad accogliere un fiumiciattolo proveniente dal bosco e nonostante il freddo alcuni bambini vi si erano immersi mezzi nudi e giocavano con l'acqua.
«Sembra un posto delizioso» affermò Larica. Le sarebbe piaciuto soggiornarci per un po' e capire come viveva davvero quella gente.
«Carino, ma in tutta franchezza puzza di liquami.»
Larica rise: «Non v'è odore nei villaggi del sud?»
«Ancor peggio principessa. L'aria calda al sud porta al naso sentori fetidi, di sembra sempre di stare in un campo di cadaveri.»
«Ne deduco quindi che non vi piaccia né il nord né il sud.» Risero entrambi.
In quel momento il principe Ferdinand fece voltare il cavallo e si diresse verso di lei. Larica raddrizzò la schiena e controllò con una mano che il velo nero le coprisse per bene il capo e i capelli. Allora Endin tornò alla sua mente e in tutta velocità dovette scacciarlo.
«Principessa.» Ferdinand lanciò un rapido sguardo a ser Muynn. «Cugino.»
«Ci fermeremo qui?» chiese Muynn.
«Sì, se il salvacondotto di re Hartas sortirà il suo effetto.»
Larica avanzò di un solo passo, fermando poi Edna di traverso a bloccare il passaggio al principe. «E se questa gente non l'accetterà? Cos'avete intenzione di fare, principe?»
«Io nulla.» Ferdinand le riservò uno sguardo severo, poi le indicò dietro di sé, poco più in là, dove il re Calan dominava dalla sua cavalcatura un gruppetto di contadini. Con una mano mostrava loro il documento di salvacondotto e con l'altra reggeva una frusta. Li stava forse minacciando? Gli uomini, ai suoi piedi, sembravano poco propensi a prostrarsi e i loro sguardi erano di sfida verso chi aveva appena invaso il loro territorio.
Larica avanzò verso di loro; non avrebbe mai permesso a Calan di far del male a quella povera gente. Sentì i cavalli del principe e di Muynn seguirla.
«Re Ferdinand!» Si accostò a lui, senza curarsi di stare un passo indietro; non rispettava quell'uomo e in quel momento capì che non l'avrebbe mai fatto.
«State lontana principessa, questi non sono affari che vi riguardano.» Il suo tono era freddo, glaciale, duro come una roccia.
«Certo che sono affari miei, Maestà. Questa è la mia gente, sono la loro principessa. A me daranno ascolto.»
«Ne dubito Altezza. Sono ignoranti contadini che pensano solo a mungere le loro vacche e cogliere il loro grano. Non possono capirne nulla di viaggi, guerre, politica.»
Larica insistette: «Questo perché non è stata data loro l'opportunità della conoscenza. Fatemi parlare, sire.»
Re Ferdinad sollevò una mano per farla tacere. Si rivolse ai popolani riunitisi attorno a loro, sempre più numerosi. «Questo documento» disse mostrando il salvacondotto reale, «dovrebbe farmi passare ovunque voglia nel regno. Secondo le parole qui scritte da re Hartas in persona voi dovreste offrirmi ospitalità accogliendomi come uno dei suoi lord, come un suo portavoce in persona. Come me ho sua figlia, Larica Lavin, di cui avrete certo sentito parlare.»
Larica osservò quella gente; erano spaventati e alcuni impugnavano già forche e bastoni per scacciarli. Avevano solo paura, comprese.
«Così come ha detto re Ferdinand, brava gente del nord, davanti a voi è la principessa Larica Lavin, figlia di re Hartas II, ora promessa sposa dell'erede di Calanthia.» Intervenne con voce chiara e forte, cosicchè il re non potesse fermarla. Lo vide irrigidirsi al suo fianco. «Vi chiedo di ospitarci per questa notte, a nome del nostro re Hartas, mio padre, senza timore alcuno di essere derubati o uccisi. Non siamo esattori di tasse e meno ancora nemici o furfanti. Siamo nobili in viaggio verso il sud, privi di qualunque cattiva intenzione.»
«E chi ci dice che siete davvero chi dite di essere?» urlò un voce d'uomo nel mezzo della gente. Si fece avanti; era giovane, un ragazzo di circa la sua età, con capelli rossicci e un volto lentigginoso.
«Quel documento è firmato da re Hartas in persona e scritto solo da lui. È un salvacondotto e significa che veniamo in pace.» Non sarebbe stato facili convincerli, ma forse le era venuta un'idea. «Per darvi una prova della mia identità...»
«Ora basta principessa.» Re Ferdinad srotolò la sua frusta. La fulminò con occhi di ghiaccio, tentando di intimorirla. Larica avrebbe voluto non avere paura, ma quell'uomo invero le metteva un'angoscia difficile da sopportare.
Respirò a fondo, stringendo le redini e socchiudendo gli occhi quando calò la frusta in mezzo alla folla.
Un gridò si levò dal basso, tanto acuto e straziante da farle accapponare la pelle.
Larica riaprì gli occhi e vide il ragazzo a terra, il volto sfregiato dalla frusta e il sangue che si allargava sotto di lui. Urlava di dolore tenendosi le mani sopra la testa nel tentativo di proteggersi da un secondo colpo.
Larica si guardò intorno, presa da un senso di panico che le stringeva lo stomaco. Il principe era dietro di lei, abbastanza vicino che sarebbe potuto intervenire quando voleva a fermare la follia del padre. Perché non faceva niente? Ser Muynn, accanto a lui, aveva distolto lo sguardo con una mano a coprirsi la bocca.
La frusta calò ancora e ancora. La gente tutt'intorno cominciò ad agitarsi, chi a gridare, chi a fuggire. Qualcuno tentò di salvare il ragazzo, rimanendo a sua volta ferito. Le guardie di re Ferdinand li spaventarono, levando le spade in alto e intimando a tutti di lasciarli passare.
Larica avrebbe voluto fare qualcosa, ma non sapeva più come intervenire; la situazione era degenerata troppo in fretta e in un modo che non sapeva affrontare.
Quando due guardie sollevarono il ragazzo dai capelli rossi, fu costretta a distogliere lo sguardo da com'era ridotto. Ne avrebbe portato i segni per sempre, solo per aver posto una domanda più che lecita.
«Ora» disse re Ferdinand alla gente rimasta lì attorno. «Ammazzate due vacche e una pecora in segno di sottomissione. E preparatene una per questa sera. Abbiamo fame.»
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