Capitolo 8

Larica si svegliò prima ancora dell'alba. Era nervosa, non aveva mai lasciato Varasia, ma si sentiva anche impaziente di partire per togliersi il pensiero.

Donna Rubia e le due ancelle che sarebbero partite con lei erano già pronte, come anche tutte le sue cose. L'aiutarono a vestirsi per il viaggio, con un abito comodo ma sempre nero per sua esplicita richiesta; le misero addosso una spessa cappa di lana scura e poi un'altra di uno spesso e ruvido tessuto nero bordato di calda pelliccia. Sul capo le posero un diadema d'argento, molto più comodo della sua coroncina e coprirono il resto dei capelli sciolti con un velo nero decorato da fili d'argento.

Larica si guardò allo specchio. Abbigliata a quel modo sembrava una vedova, ma in fondo questo non le dispiaceva; il dolore per la perdita del fratello era ancora troppo fresco per poterlo allontanare con luminosi abiti azzurro ghiaccio. Non solo, le conferiva anche un aspetto consono per il secondo lutto: essere costretta a lasciare per sempre la sua casa.

Uscire dalla sua stanza fu il momento più difficile. Gli spazi chiusi non le erano mai piaciuti, eppure guardò con un nodo in gola il suo letto a baldacchino con le tende di velluto verde, la cassa di legno dove, sul fondo, nascondeva i suoi vestiti comodi per cavalcare; e poi lo specchio che aveva sempre odiato, il tavolino rotondo sopra cui non mancava mai una bella candela su un piattino d'argento.

Gli arazzi alle pareti raffiguravano scene di cavalli in corsa, battaglie, i paesaggi di Varasia; in un piccolo quadro era disegnato il momento del parto per una donna che doveva avere circa la sua età. Con una lacrima che premeva per scendere, Larica prese il quadro e se lo tenne stretto al petto. Gliel'aveva regalato sua madre il giorno del suo tredicesimo compleanno, spiegandole che quello le avrebbe ricordato l'unico dovere che di sicuro avrebbe un giorno portato alla sua gioia più grande.

Andando verso la porta carezzò i profili dei candelabri d'argento appesi alle pareti e i tessuti morbidi degli arazzi, accarezzò le mura stesse per imprimersi il loro tocco gelido nelle mani e nella mente.

Non si concesse un ultimo sguardo, per evitare che le lacrime trovassero la loro strade verso le sue guance; invece superò la porta già aperta e raggiunse Rubia e le ancelle.

Fu difficile uscire anche dal castello, sapendo che almeno per molti anni non ci sarebbe più tornata.

Nel cortile sua madre, Emel e Miseh erano riuniti per salutarla. I Calan erano già pronti a partire; Ferdinand teneva le redini del suo palafreno bianco e sembrava molto stanco. Le rivolse un mezzo sorriso come saluto. Gli altri Calan, tronfi sui loro cavalli, non la degnarono di un solo sguardo.

Larica abbracciò la madre: «Mi mancherai.»
«Sii sempre forte figlia mia. È la sola cosa che conta, ricordalo.»

«Lo ricorderò.» Così come avrebbe ricordato sempre le labbra rosse e piene, i capelli lunghi e voluminosi, lo sguardo deciso e il sorriso dolce.

«Addio sorella.» Emel, un'espressione triste negli occhi umidi, si fece avanti e la strinse tra le braccia. Larica non poté più frenare le lacrime; pianse sforzandosi di controllare i singhiozzi, nascondendo il volto nel petto del fratello.

Sciolse l'abbraccio con riluttanza; avrebbe voluto restare avvolta nel dolce e confortante tepore di Emel per sempre. Ma aveva altri da salutare.

«Miseh.» Anche lui appariva triste, ma lo dava meno a vedere. Una parte di lei ne fu egoisticamente felice; se erano tristi significava che le volevano davvero bene.

«Larica.» Miseh, anche se con timidezza, l'abbracciò a sua volta.

In quel momento uscirono dalle porte del castello altre persone: Lady Kara Rowena, che Larica salutò frettolosamente, altre lady, che si inchinarono con deferenza e le porsero i loro auguri per il viaggio - alcune avevano per lei anche dei regali.

Lored, pallido e con un'aria malata, la salutò con un po' di freddezza ma augurandole poi buon viaggio con tono sincero.

Sezan venne a salutarla per un attimo, poi se ne andò da bravo menefreghista quale era. Proprio uguale al padre, pensò Larica con un sorriso. A suo modo anche lui le voleva bene, ne era sicura.

Per ultime, quando oramai non ci sperava più, apparvero le sue sorellastre accompagnate dalla madre, Lady Moria. Quest'ultima si tenne a rispettosa distanza e si inchinò.

«Alzatevi, vi prego, lady Moria, un tempo tutti si chinavano al vostro cospetto e io certo non merito più di voi.» Rispettava molto la prima moglie di suo padre, ripudiata perché aveva dato al re solo figlie femmine, e talvolta soffriva per lei.

La lady si alzò e le rivolse un sorriso di gratitudine: «Vi auguro buon viaggio, mia signora, e voglio donarvi questo regalo come simbolo delle mie sincere intenzioni.»

Sollevò una mano e fece un cenno a un ancella, che teneva tra le mani un pacchetto. Lo porse a Larica.

«Vi ringrazio, lady Moria, conserverò con piacere il vostro regalo.»

Poi Larica rivolse lo sguardo alle sorelle, e di nuovo le lacrime le punsero gli occhi. Abbracciò tutte, più volte, le baciò sulle guance e disse loro che le sarebbero mancate tanto. Si soffermò su Daria, che abbracciò a lungo. Si promisero che si sarebbe scritte lunghe lettere.

Infine lanciò uno sguardo su tutti; sua madre gliene rimandò uno di incoraggiamento, Emel tentò di sorriderle, Miseh abbassò lo sguardo, le sue sorelle sollevarono già i fazzoletti per sventolarli e salutarla fino a che non sarebbe stata troppo lontana.

Edna la aspettava, tranquilla, Rubia e le ancelle erano in su un carretto insieme alle valigie con le sue cose. Accarezzò la sua cavalla, poi salì in groppa rifiutando l'aiuto dello stalliere che aveva portato lì Edna.

Ferdinand le si affiancò con la cavalcatura che scalciava. «È ora di andare principessa.»

«Certo.» Larica mosse la mano in un ultimo saluto, a cui tutti risposero con le mani sollevate per augurarle gioia e ogni bene. Lei lo augurò a loro con la mente. Poi fece voltare Edna e, con il fidanzato a fianco, partì verso il suo futuro.






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