Capitolo 6

L'alba era al suo inizio; il sole era un enorme pesca appena sopra i lontani Monti Varasiani di Atharinor.

Larica fissava con aria assente fuori dalla finestra. Aveva sonno, anche se sapeva che non sarebbe riuscita a dormire, e il dolore per la perdita di Endin pulsava forte nel suo cuore; un dolore ancora troppo fresco per poterlo sopportare.

Dopo aver lasciato le stanze del fratello, per dare alla madre il tempo di piangere in privato il suo primogenito, Larica aveva preso la strada per le stalle, e priva di forze si era accasciata accanto a Edna, per poi versare lacrime che non aveva mai creduto di avere.

Donna Rubia l'aveva trovata ore dopo, nel crepuscolo precedente l'alba. Larica, stremata, aveva lasciato che la guidasse fino alla sue stanze, dove la balia si era premurata di farle subito un ricostituente bagno caldo e aveva poi provveduto ad abbigliarla nel modo più consono, con il nero del lutto, che indossava anch'ella, e una retina di perle nere come unico gioiello a raccoglierle i capelli.

Non era però riuscita a farle mangiare niente. Larica aveva respinto il vassoio della colazione, per poi sistemarsi accanto alla finestra e rimanere immobile a contemplare l'orizzonte lontano.

Quella linea dorata così distante le ricordava una cosa che Endin spesso le diceva: che avrebbe voluto poter volare per toccare il cielo e raggiungere la linea, e magari toccarla. Anche a Larica sarebbe piaciuto e quand'erano più piccoli a volte sognavano di farlo insieme, un giorno.

A mano a mano che la linea dell'orizzonte si faceva più dorata nel cielo, a Larica tornava in mente tutto, i più bei ricordi con il fratello, i pochi litigi, le lunghe galoppate nelle campagne vicine. E anche i sogni ad occhi aperti, che ora sarebbero stati per sempre lontani, come quella linea nel cielo.

Per lei non ci sarebbe stato spazio per il lutto; solo quel giorno avrebbe potuto dare il suo ultimo saluto a Endin, perché la madre aveva dato disposizioni affinché il funerale avvenisse al tramonto.

La consapevolezza che le restavano solo un mattino e un pomeriggio per dire addio alla sua casa esacerbava la sua sofferenza per la morte del fratello e nulla di ciò che la balia le disse riuscì a confortarla.

Per tutto il resto del mattino rimase chiusa nella sua stanza, ad osservare quei luoghi dove suo fratello non avrebbe più messo piede.

Si rifiutò anche di scendere per il pranzo. Non ricordava l'ultima volta che aveva mangiato qualcosa, e aveva fame, ma l'idea di mettere in bocca del cibo mentre poco distante i servitori preparavano il corpo di Endin per la sepoltura era per lei impensabile.

Poco dopo il pranzo Larica ricevette una visita inaspettata. «È il principe di Calanthia, principessa, desidera vedervi» le disse donna Rubia. «Debbo riferirgli che siete indisposta?»

«No, cara balia, fallo entrare.» Non era il caso di essere scortese con chi l'aveva aiutata. In fondo era merito del principe se aveva potuto almeno stare accanto a Endin e dirgli addio.

Ferdinand Calan entrò con passo vellutato, tenendosi a distanza di rispetto. Il suo abbigliamento scuro e discreto, rispetto a come l'aveva visto finora, mostrava la solidarietà nel lutto di Larica e dell'intera famiglia Lavin.

«Vi ringrazio, principe Ferdinand» emise in un soffio, rivolgendogli uno sguardo indifferente per dissipare l'imbarazzo.

Lui parve confuso: «Per cosa principessa? Davvero siete lieta della mia visita?»

«Siete stato gentile a venire, ma è del colore dei vostri abiti che parlo. Apprezzo molto che vi siate vestito a lutto.»

A quelle parole Ferdinand sembrò rilassarsi: «Sono lieto che lo apprezziate. Non avrei potuto vestire di oro e bronzo mentre la mia futura sposa indossava il nero. Immagino poi che porterete il lutto anche durante il viaggio.»

«Indosserò il nero fino alle nostre nozze, se per voi non è un problema.»

«Non lo è. Fate come più vi aggrada.»

Un sorriso spontaneo distese le labbra di Larica, che per un attimo si sentì meglio. Forse, pensò, non sarebbe stato poi così male sposare Ferdinand. Con lui la libertà pareva potesse esistere anche per le donne.

Un po' rinvigorita dalla visita del principe, Larica decise, dopo che se ne fu andato, che non avrebbe buttata all'aria l'ultimo giorno che le rimaneva per dire addio alla sua città.

Endin avrebbe voluto che utilizzasse le ultime ore per riempirsi gli occhi e il cuore della capitale, per poterla portare con sé, come aveva detto lui una volta prima di partire per la guerra contro i barbari delle montagne. Avrebbe fatto come lui.

Abbandonò la sua buia stanza, gettò da parte i ricami storti a cui non aveva prestato la minima attenzione, e scese nelle stalle.
Edna era già sellata e pronta, merito probabilmente della sua cara balia che aveva dato precedenti disposizioni allo stalliere.

Larica carezzò il muso della giumenta. «Andiamo a fare un ultimo giro, che ne dici?» La cavalla sbuffò, chiaro segno della sua approvazione. Larica le salì in groppa, con qualche difficoltà a causa dell'abito, ma non voleva chiamare lo stalliere perché l'aiutasse; doveva fare tutto da sola, come al solito. Poi spronò Edna a partire al galoppo.

Percorse tutta la città, dalle zone ricche alla parte bassa, dove mendicanti e bambini affamati si vedevano in ogni angolo.

Prese poi la via della foresta, oltre i cancelli e le mura di Artas. La parte più vicina della foresta era in realtà un boschetto dedicato alla caccia. Larica ci andava spesso con Endin quando lui cacciava con il falcone e i suoi cani.

Fece galoppare Edna fino alla spaziosa radura dove lei e suo fratello erano soliti fermarsi per far abbeverare i cavalli al ruscello. Era un bel luogo, fresco e intimo, dove Larica poteva parlare liberamente a Endin senza essere rimproverata perché una donna dovrebbe tacere, per poi essere additata come fanciulla di facili costumi o addirittura colpevolizzata di incesto come una volta era accaduto a Rosanne Lavin, una sua cugina; era stata giustiziata per aver parlato, a detta del padre, in modo troppo diretto a suo fratello Clarys in pubblico. Una semplice voglia di conversazione le aveva costato la vita.

Con Endin era semplice. La portava in quel luogo perché lei potesse sentirsi se stessa. Nella radura non c'erano etichette, né pregiudizi e sottigliezze di alcuna natura; ma soprattutto non vi era malizia tra gli alberi e le acque del ruscello.

Semplicemente in quel luogo si era liberi di pensare, e parlare, senza ricevere gli ingiusti giudizi altrui. Endin però non c'era più e la radura così perdeva quella dolcezza e simpatia così vivide in suo fratello. Quel luogo, ora, agli occhi di Larica, era divenuto solo acqua ed erba.

Lasciò il bosco con il nodo in gola. Aveva sperato che la radura le avrebbe dato un po' di conforto, invece aveva ottenuto l'effetto contrario: ancora dolore e nostalgia.

Lanciò Edna in un galoppo sfrenato nelle campagne, con la speranza che le lacrime le si congelassero sul viso, così che almeno non avrebbe più dovuto sentirle scendere, lente e brucianti.



















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