Capitolo 12


Quel mattino Emel si svegliò sereno, con i primi raggi di sole filtrati dalle imposte socchiuse. I suoi servitori si alzavano molto presto la mattina per aprire quel poco che bastava, perchè sapevano che il loro signore amava svegliarsi in quel modo.

Lasciò che la flebile luce accompagnasse i suoi occhi al risveglio e alle prime immagini del giorno. La struttura pesante del baldacchino, la cassa un po' troppo alta ai piedi del letto, il grande arazzo nella parete di fronte raffigurante la grande vittoria di Endin a Sokhjon Mirhan.

Ricordava bene quel giorno; aveva combattuto al fianco del fratello nonostante avesse solo tredici anni. Era stata la sua prima battaglia e l'orgoglio di potervi partecipare aveva superato ben presto la paura di non uscirne vivo.

Endin, a sedici anni, riportò la sua prima vittoria, dimostrando al padre di essere degno del titolo di erede dei Lavin.
Avrebbe dovuto superare anche lui una prova, come da tradizione, prima di portare quella corona, invece il fardello si era posato su di lui senza che avesse provato di esserne degno.

Erano trascorsi nove anni da quel giorno, ma ricordava ogni momento con angoscia mista a euforia e una generosa dose di notalgia. Lui non era stato messo alla prova, forse perché suo padre sapeva che non ne sarebbe stato in grado, non come Endin.

Un movimento nel letto accanto a lui lo riportò alla realtà, al sole che tentava di scaldare il gelo di Varasia, alle pellicce morbide del suo letto, alla sensazione di torpore che ancora avvolgeva le sue membra.

Si volse a mirare le curve di sua moglie sotto alle coperte; sentì un sorriso affiorargli spontaneo sulle labbra. «Sei sveglia?»

Lei mormorò rigirandosi pigramente tra le coltri. Emel allungò un braccio e le circondò il fianco posandosi sopra il suo corpo. Una mano della moglie lo raggiunse accarezzandolo al volto. «Buongiorno marito mio.»

«Buongiorno amore.» La baciò, insistendo affinché lei non si sottraesse a quella dimostrazione d'affetto.

«A cosa devo tanta passione, mio signore?»
«Alla tua bellezza, moglie mia.» Le sorrise, sentendosi rasserenato dal suo sguardo forte già di primo mattino.

Si guardarono a lungo, lui sopra di lei, a separare i loro corpi solo le tuniche e un lembo di coperta. Faticava a reggere la potenza di quegli occhi profondi e dentro di sé sentiva già quel bisogno viscerale di possederla fino a renderla inerme tra le sue braccia. Erano solo sogni, perché non era capace di tanto vigore. Il pensiero di Endin si formò nella sua mente.

Lo scacciò premendo di nuovo le labbra su quelle morbide della moglie. «Ti voglio, Alia.»

«Molti impegni ti attendono mio signore. La tua passione dovrà pazientare per ora.»

Di nuovo lo accarezzò, con dolcezza. Sentire quella mano delicata ma decisa sul suo volto non fece che accendere ancor di più il suo desiderio. Serrò gli occhi, tentando di calmarsi. «Hai ragione, i miei doveri vengono prima del piacere.»

Come sempre la saggezza della moglie lo riportava alla cruda e triste realtà della sua vita, ma troppo spesso aveva il sentore che lo facesse più per sfuggire ai doveri coniugali che per aiutarlo nel suo personale compito di membro reale.

Si alzò a malincuore, con l'amaro in bocca. Alia fece lo stesso, recuperando poi la sua vestaglia e scivolando leggiadra e silenziosa fuori dalla stanza.

Era convenzione che fosse il marito a recarsi negli appartamenti della moglie per soddisfare i bisogni passionali, ma quella notte Emel aveva chiesto ad Alia di restare con lui.

Il suo obiettivo era che col tempo lei abbandonasse le sue stanze per condividere ogni notte il suo letto. Voleva dormire con sua moglie liberamente, senza dover attraversare corridoi bui e freddi di notte come un ladro. Ed era lui l'uomo, forte e virile; era giunta l'ora che Alia lo capisse.

Era il suo primo vero giorno da principe ereditario, perciò lasciò che i servitori lo vestissero da capo a piedi con abiti azzurro ghiaccio ricamati d'argento e gli ponessero sul capo il cerchio d'oro simbolo del suo titolo.

Avrebbe volentieri fatto a meno di quel peso, che gli doleva dietro le orecchie e tutt'attorno alla fronte, ma era indispensabile per farsi rispettare anche da quei nobili che non lo vedevano di buon occhio. Quel mattino ne avrebbe incontrato ben più di uno.

Nella sala del consiglio reale suo padre e i consiglieri erano già riuniti a discutere. Attese che un servitore lo annunciasse, poi fece il suo ingresso e prese posto alla sinistra del padre, dove fino a poco tempo prima sedeva Endin. Il principe ereditario era l'unico tra i figli del re ad avere il diritto di presiedere durante le riunioni.

Alla destra del re sedeva il primo consigliere, ser Hannor Lavin. Emel gli rivolse un cenno di saluto, al quale rispose con un'occhiata imperscrutabile.

Reprimendo un nodo che gli saliva in gola fece scorrere lo sguardo attorno al grande tavolo. Accanto a suo zio sedeva ser Arvin Athenn, che finse di non accorgersi della sua presenza. Si passò una mano tra i folti capelli rossi, mentre tamburellava con le dita dell'altra sul tavolo.

Una gomitata di lord Kadimann gli ricordò di stare composto dinanzi al suo re. Il lord, nonostante l'età avanzata, sedeva ben dritto sul suo scranno e aveva riportato le mani intrecciate in grembo, un gesto che Emel gli aveva sempre visto fare. Al suo ingresso, lord Kadimann aveva chinato la testa in segno di referenza. Eppure nei suoi occhi era evidente un lampo di furbizia, malcelata dai modi cortesi.

Nella tavolata seguivano ser Belock, ser Egan e ser Hendral. Quest'ultimo incrociò il suo sguardo e accennò un saluto. L'unico sincero, pensò Emel.

Gli occhi glaciali di suo padre non esprimevano certo lo stesso sentimento di rispetto quando si puntarono su di lui.
«Stavamo dicendo, miei consiglieri?»

«Perdona l'interruzione padre.»

«I Karonn, è l'ora di sterminarli tutti» s'intromise ser Egan.

Ser Hannor si schiarì la voce: «Lascerei questa decisione al re, Egan.»

Il giovane capitano distorse la bocca sottile in una smorfia sentendo omettere il suo titolo. «Perdono, Maestà.»

«Concesso, ser, anche se mi trovo d'accordo con te nonostante la tua irruenza.»

Emel non riuscì a evitare di far trapelare la sua sorpresa, ma tacque sperando di aver compreso male l'argomento, per quanto fosse ben chiaro.

«Mio re, i Karonn possiedono Rocca blu da quasi un anno, ormai, e non è ancora stato fatto nulla a riguardo.»

«Grazie, Hannor, sai sempre sottolineare l'ovvio.»

«Ne sono consapevole sire, ma di fatto è questo il nostro problema ora.»

«Mi oppongo, maestà» proruppe ser Hendral. «Abbiamo problemi più urgenti, come il rafforzamento delle truppe.»

«O della flotta» incalzò ser Belock.

Il re li zittì con un'occhiata fulminante.
«Il concilio oggi si è riunito per discutere su che cosa, miei signori? Sulle mie decisioni?»

Emel sentì l'ansia salirgli in gola. Il tono di suo padre era roccia e se aveva anche bevuto non c'era da aspettarsi che la guerra.
«Mio sire, non era certo mia intenzione sovrastare le vostre...»

«Silenzio, Ser Hendral, o non avrai più parola in questo concilio.»

Il comandante chinò il capo. Ser Belock invece dava l'impressione di voler ribattere, ma si trattenne mordendosi un labbro in modo più che evidente.

Il re fece un cenno a ser Hannor, il quale si schiarì la voce lanciando occhiate severe a chi aveva interrotto il discorso.

«I Karon» riprese in tono grave «hanno il completo dominio su più di metà della costa. Possiedono Rocca blu e Porto veliero, nonché Tevhal, nell'entroterra.»

«Dimentichi la loro residenza d'origine» s'intromise ser Arvin continuando a tamburellare con le dita sul tavolo.

«Sì, grazie Arvin, hanno anche la roccaforte di Nock.» Lacerò con lo sguardo Arvin Athenn, che raccolse con un sorrisetto divertito e un'alzata d'occhi.

Silenzio. Cadde su di loro come l'impannata di una finestra, soffocando ogni sbuffo, ogni sospiro. Nessuno osava interrompere quel momento di riflessione che ognuno dei consiglieri stava vivendo a modo suo.
Emel pensava solo a un dettaglio; i Karon si trovavano davvero a Rocca blu, dov'era la famiglia di sua moglie? Se fosse stato così attaccarli significava che...

«Voi avete intenzione di attaccare Rocca blu.» Ruppe il silenzio con un tono perplesso, facendo aggrottare le fronti di più di un consigliere.

«Noi?» Ser Arvin incrociò il suo sguardo scuotendo la testa, facendo così ondeggiare i morbidi boccoli rossi che gli ricadevano sulle spalle.

«Vi aspettate forse che prenda parte anch'io allo sterminio dei Taevon?»

«Dei Karonn, non dei Taevon» puntualizzò il primo consigliere.

«Da quanto ho capito però i Karonn hanno preso Rocca blu e i Taevon risiedono lì.» Da tempo i Karonn miravano a Rocca blu, che contava di un misero numero di guerrieri per difendersi. Qualche tempo prima Rocca blu era stata presa d'assalto e i Taevon a quanto pareva erano stati sconfitti. Perché non ne era stato informato? Nemmeno Endin gliel'aveva detto. E sua moglie? Lo sapeva?

«È l'unica soluzione» proruppe il re.
«I Karonn devono essere fermati prima che possano divenire troppo forti.»

«Ne hanno di strada da fare» rise ser Arvin mirandosi le unghie di una mano.

«Io non ne sarei tanto sicuro» ribatté ser Hannor. «Ci sono molte case che trarrebbero vantaggio da un'alleanza con i Karonn.»

«Piccole casate, Hannor.»

«Piccole, ma numerose.»

Un improvviso pugno sulla tavola fece prendere un colpo a Emel. Si volse verso quel rumore. Era stato ser Egan, capitano della guardia reale. Si alzò di scatto dal suo scranno e fissò i suoi occhi di ghiaccio su tutti loro. «Ora basta, sono stanco di questi battibecchi da sgualdrine. Uccidiamo tutti e facciamola finita.»

«Frena la lingua, ser Egan» lo redarguì il primo consigliere.

Emel approfittò del rumoroso scambio di battute che ne seguì per rivolgersi a suo padre. Erano così vicini, seduti l'uno a capotavola e l'altro accanto, sulla sinistra. Eppure al contempo erano così lontani a causa della freddezza e dell'indolenza del re nei suoi confronti.

«Padre, pensaci ti prego. I Taevon sono buoni alleati da anni, dobbiamo aiutarli, non sterminarli.»

Il re non lo guardò nemmeno: «Se decisi di non farlo quando potevo è perché i Taevon erano già inutili da tempo.»

«Ma padre, sono la famiglia di mia moglie.» Se fosse accaduto qualcosa ai suoi cari, Alia non gliel'avrebbe mai perdonato.

«Non c'è altra soluzione. Ormai è deciso.»
Il re si era rivolto a tutti, placando con il palmo aperto di una mano il battibecco tra i consiglieri. «I Karonn si stanno facendo nuovi alleati. Dobbiamo fermarli.»

«Padre.» Emel sentiva che quello era un grosso sbaglio, che si poteva trovare un altro modo per sistemare quel dilemma e un gelido terrore si stava impossessando del suo petto bloccandogli il fiato.

«Prepara l'esercito ser Hendral.» Il re aveva occhi spalancati dall'eccitazione della guerra. In quelle iridi opache Emel non vedeva più un briciolo di senno. «E che la navi siano pronte, ser Belock. Attaccaremo da due fronti, mare e terra.»

Sul volto del primo consigliere si aprì un sorriso d'orgoglio, che a Emel non sfuggì.
«Bene miei lord» disse il re alzandosi «dichiaro terminata la riunione.»

Uno ad uno i consiglieri si alzarono a loro volta, mentre Emel rimase impietrito da quella sentenza, incollato allo schienale duro dello scranno. Si prese il volto fra le mani, gli occhi fissati su un punto preciso; sopra alla mappa disegnata su tutto il piano della tavola emergeva un dettaglio: la bandiera di guerra, con i colori dei Lavin, posta sul punto dove sapeva esserci Rocca blu.

Crollò con i gomiti sul tavolo, lacrime di rabbia a pungere i suoi occhi spalancati.
Ne era sicuro, Alia non gliel'avrebbe mai perdonato.

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