Capitolo 11

«Alzati, figlio mio, e solleva il capo. Ora sei il mio erede, il principe ereditario di Varasia.»

Emel sentiva le ginocchia tremare sotto il peso della sua angoscia; si alzò avvertendo una spiacevole sensazione di vertigini e pesantezza, mentre tutto attorno i presenti applaudivano e inneggiavano il suo nome.

Si costrinse a tenere la testa alta e a mantenere una postura orgogliosa, come il padre desiderava. Era tentato di sfiorare quel cerchio d'oro posato sopra la sua testa, ma si trattenne dal farlo temendo di apparire sciocco. Con la coda dell'occhio notò sua moglie, Alia, sorridergli incoraggiante, dalla sua postazione accanto poco più in basso degli altri principi reali.

Emel rivolse uno sguardo fugace ai fratelli; Lored, pallido e assente, fissava nel vuoto davanti a sé; Miseh appariva come al solito a disagio, ma era bellissimo con la tunica rossa che gli aveva regalato abbinata alla sua chioma ribelle. Sezan, dall'aria altezzosa e annoiata al contempo, a braccia conserte guardava in alto, come aspettasse che un intervento divino interrompesse la cerimonia.

Anche Emel avrebbe voluto che tutto finisse. Erano trascorsi pochi giorni, troppo pochi, dalla morte di Endin. Come poteva aver già preso il suo posto? Si sentiva un fratello orribile, anche se aveva pianto più lacrime di quante ne avesse, non riusciva ad accettare che una persona così importante per lui non ci fosse più. E insieme a lui anche Larica se n'era andata, verso una terra straniera che l'avrebbe inghiottita tra le sue fauci roventi. L'avrebbe mai rivista?

Quei pensieri si ingarbugliavano nella sua mente provata dal dolore, spezzando ancor più la sua resistenza. Forse era quel dolore a piegare il corpo all'apparenza malato di Lored?

«Principe ereditario.» Il lord consigliere, che non degnò di uno sguardo tant'era assorto nei suoi pensieri, in quel torpore paralizzante, gli mostrò con un cenno il suo posto. Emel si andò a sedere accanto al re, dall'altra parte rispetto alla madre, che gli lanciò un'occhiata mista tra orgoglio e preoccupazione.

Il suo scranno era poco più in basso rispetto ai genitori, ma imbottito di pellicce come quello di un re. Fino a pochi giorni prima vi sedeva Endin, nella sua tunica verde e azzurro ghiaccio. Qualcuno stava tenendo ancora un discorso e la folla di lord e dame applaudiva, gridava il suo nome, ma lui li sentiva ovattati, come fosse rinchiuso in una bolla di stoffa. "Endin."

Che diritto aveva di prendere il suo posto così in fretta e con una cerimonia tanto sontuosa? Perché stendardi e ghirlande erano appesi ovunque? Perché si stava preparando un grande banchetto in cui tutti avrebbero brindato al nuovo principe ereditario? Perché? Come potevano essere tutti tanto pronti a festeggiare quando ancora non avevano pianto del tutto il deceduto principe?

Emel, incantato nell'elaborazione di quei concetti troppo difficili, troppo dolorosi, non vedeva più ciò che aveva davanti. Le figure della gente, dei lord e delle dame che venivano avanti per rendergli onore uno alla volta, divenivano sempre più sfocate.
"Endin." Dov'era il suo amato fratello? Aveva raggiunto il regno degli déi?


«Amor mio, dovresti tornare al banchetto.»
«Non ce la faccio, non posso farlo.»
Emel si prese la testa fra le mani, la sentiva scoppiare sotto il peso della corona, nonostante fosse un cerchio piuttosto leggero. Si sfilò quel peso dal capo e lo posò sopra al suo letto dove si era seduto alla ricerca dell'intimo conforto delle coltri.

«Marito, lord e dame ti attendono e tuo padre si arrabbierà notando che la tua assenza si protrae.»

Sua moglie allungò una mano e gli carezzò il volto, con dolcezza. Emel cercò di godere di quel momento di tenerezza, che negli ultimi tempi tra loro avveniva di rado.

«Alia, tu vai. Io debbo rimanere qui. Non posso farmi vedere in questo stato.»

«E cosa dirò al re e alla regina?»

«Che sono indisposto. O che sono ancora in lutto, come dovrebbero essere loro.»

Alia scosse il capo e i suoi capelli ondeggiarono creando la lieve increspatura delle rive del mare. Era talmente bella che.
Emel sentì un piacevole calore nel basso ventre. «Parole dure mio principe, che spero non escano mai da questa stanza.»

«Perché mai? Mio fratello è morto e loro festeggiano. Io sono già principe ereditario, quando avremmo dovuto osservare un anno di lutto.» Non poteva lasciare che l'avvenenza di sua moglie lo distogliesse dai suoi princìpi.

«La pace tra i regni è fragile, lo sai bene. Tuo padre deve assicurarsi di avere un erede, per questo ti ha incoronato così presto.»

«Non riesco ad accettarlo.»

«Lo so che è dura.» Alia si chinò, mettendosi al pari con lui e fissandolo coi profondi occhi blu. «Marito mio, dimentichi che anch'io ho perso un fratello?»

Emel chinò il capo. Ricordava fin troppo bene quel giorno di pochi anni prima. Una popolazione barbara aveva superato i monti varasiani e attaccato la città di Atharinor.
Lui e Daenio cavalcavano in avanguardia, insieme a Endin e Sezan. L'esercito di Rocca Blu si era unito a quello di Artas per dare man forte ad Atharinor.

Avevano vinto e rispedito i barbari oltre i monti nelle loro terre paludose, ma la gioia per la vittoria era stata annientata dall'immensa perdita di Daenio. Quel giorno Emel aveva visto cadere un suo caro amico.

«Come puoi pensare che mi sia dimenticato? È stato il giorno più brutto della mia vita. O almeno lo era.»

«Allora sai che ti capisco, perché anche per me fu un giorno orribile quando tornaste a casa con il suo corpo coperto in quel carro. Io ti capisco, amore mio.»

"Amore." Emel avvertì di nuovo quella sensazione al basso ventre. «Lo so che mi capisci, ma non posso sopportare il peso di questa nomina così presto.»

«Devi farlo.» Sua moglie portò una mano, delicata e dalle lunghe dita sottili, al suo volto. Era fresca, come le acque tempestose di Rocca Blu. «Per quanto sia difficile e doloroso, devi farlo Emel. Verrà il momento del lutto, o forse no, ma ora dobbiamo essere forti. Dobbiamo, per il bene del regno.»

Quei suoi occhi blu lo stregavano; profondi e luminosi al tempo stesso come un cielo notturno adornato di stelle, fissavano i suoi e lui faticava a sostenere uno sguardo tanto potente. Non riuscì a resistere oltre, ghermito da una smania che in quel momento superava persino il dolore.

La baciò, soddisfatto di averla colta di sorpresa; la portò accanto a lui, sul letto, continuando a baciarla come non faceva da troppo tempo. Le sue labbra erano morbide, ma non la sentiva rispondere come avrebbe voluto. «Se dobbiamo essere forti per il regno, allora dovremmo avere anche un figlio, un maschio che possa divenire il mio erede.»

Sua moglie annuì, nello sguardo la consapevolezza che quelle parole erano vere; per acquistare credibilità come futuro regnante di Varasia, Emel doveva avere un erede. Così lei si lasciò sollevare le gonne, ricadendo con il busto tra lenzuola e pellicce.

Emel avrebbe voluto che Alia lo desiderasse come lui bramava le sue carni, ma sapeva che non era così. Entrò in lei con la speranza che d'ora in avanti perlomeno li avrebbe uniti un nuovo e doloroso senso del dovere.


🔥 🔥 🔥


Emel si aggiustò la corona prima di fare il suo ingresso nella sala dei banchetti. Chiese di non essere annunciato, ben sapendo che tutti l'avrebbero notato comunque appena avrebbe messo piede oltre la porta.

Il banchetto era al culmine del fasto più ridicolo, tra giocolieri e buffoni che intrattenevano nei modi più sfrontati elargendo allusioni, alle portate di carni abbigliate nei loro piumaggi e decorate con svariate salse colorate in piccole ciotole nei grandi vassoi.

Tutta quell'abbondanza gli metteva in corpo la voglia di rigettare la colazione, ma si costrinse a un respiro profondo per mantenere tutto il contegno di cui era capace. "Endin sarebbe stato in grado. Endin non avrebbe avuto alcun timore."

Raggiunse il suo posto d'onore alla tavolata a ferro di cavallo. Era accanto al padre, sulla destra, mentre la madre occupava la sinistra. Si scambiarono appena un'occhiata, capendosi molto più profondamente in quell'istante che tra tutte le discussioni avvenute tra lui e suo padre da quand'era bambino. La regina soffriva la perdita del figlio, ma sapeva di dover essere forte, di non dover mostrare a nessuno il suo dolore, così come Alia aveva ricordato a Emel.

Sua moglie venne poco dopo, accompagnata dalle sue dame, splendida nell'abito blu e argento che aveva indossato per la cerimonia. Sedette accanto a lui, con un breve inchino, senza guardarlo, ma da sotto il tavolo la sua mano si posò sulla sua gamba. Emel avvertì un piacevole brivido lungo la schiena e sorrise, appena.

«Oh, figlio, eccoti! Finalmente ti sei degnato di onorarci della tua presenza.» Il re si era appena voltato dalla sua parte, il viso arrossato e gli occhi lucidi dalla troppa birra. «Allora, la corona pesa troppo per la tua testolina da fanciullo?»

«Ero troppo onorato, padre, da questa tua nomina nei miei confronti, da dover rimanere qualche momento solo per pregare gli déi e ringraziarli.»

«Gli dèi! Bravo figlio, prega gli dèi...» L'alito di suo padre puzzava di rancido, ma Emel sopportò fingendo indifferenza.

Non toccò cibo, lo stomaco troppo chiuso per affrontare pavoni, anitre, cinghiali e pernici. Bevve solo mezzo boccale di birra, accompagnato dalle carezze solidali della moglie da sotto il tavolo. Lei mangiava, con grazia, portando piccoli bocconi alle labbra e sorseggiando vino caldo speziato.

Non era sorpreso dalla sua forza, ma ne era orgoglioso e invidioso talmente da non riuscire a capire quale delle due emozioni fosse in lui predominante.

Il dolore, però, ne era sicuro, si celava nel mezzo, pronto a oltrepassare ogni confine.


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