Capitolo 10. fiorellinosbocciato E spechiodellanima


Capitolo 10.

Era passato un po' da quando avevo avuto l'ultimo incubo a occhi aperti riguardante mio padre. Sembrava che il mio inconscio non volesse più mostrarmi quella parte dolorosa della mia vita.

Ma ecco che se ne presentò un'altra.

Ero sempre a scuola, stavamo aspettando che iniziasse il corso d'inglese, quando nella mia mente mi ritrovai nel pullman diretto verso casa dalla scuola. Anche se il peggio arrivò con la mia entrata a casa. Dei ragazzi si avvicinarono a me e iniziarono a darmi addosso. Io mi dimostrai forte quella volta. Ma in realtà non lo ero affatto: stavo letteralmente morendo dentro.

Mi ero tagliata i capelli in modo da non poter nascondere i segni delle cinghiate, sperando che mio padre capisse quanto rischiava se mi si fossero visti i lividi e magari avrebbe smesso di farmi del male. Erano parecchi anni che era stato condannato alla prigione. Però aveva diritto a tre giorni al mese di tornare a casa. E quei tre giorni al mese erano terribili.

Ora non era lui, o almeno non solo lui, a farmi del male. Cinque ragazzini si avvicinarono a me, si sedettero nei sedili vicino al mio, mentre io fingevo che loro non ci fossero fissando il mondo fuori dal finestrino. Come per farmi tornare alla realtà, uno di loro mi diede un colpo alla testa che li fece sbattere contro il finestrino. A quel punto mi sentii costretta a guardarlo negli occhi. Siccome non mi era stato insegnato a rispondere male, dissi semplicemente: <<Che succede, ragazzi?>>

Loro, come se fossero sdegnati, si posarono la mano sul cuore come se gli fosse venuto un infarto e aprirono la bocca come per cercare ossigeno. Quattro di loro mi infastidivano, mentre uno solo di loro rimase seduto a guardare senza prendere né parte alle offese, né difendermi. <<C'è per caso una checca sul nostro autobus?>> Fui io, stavolta, a sentirmi sdegnata. Cercai di non darlo a vedere. Erano tutti ragazzi più grandi. Infatti erano ragazzi delle superiori, (forse uno o due anni più grandi di me), e iniziarono a guardarmi in tutte le angolazioni.

<<Che cosa volete?>> feci io con un filo di voce.

<<Semplicemente non vogliamo delle checche sui nostri autobus. Perché ci fanno schifo. Quindi se scendi potrebbe non darmi molto fasfidio>>. Avvicinò la bocca all'orecchio, e disse una semplice parola. <<Altrimenti...>> e prese ad accarezzarmi una gamba. Sapeva benissimo che ero femmina. Era per quello che lo faceva. Era ciò che mi faceva più arrabbiare. Il suo tocco mi diede i brividi. Ebbi quasi paura che potesse farmi davvero del male. La sua mano stringeva la mia carne e dai miei occhi iniziarono a fuoriuscire le lacrime. Cercai di ricacciarle indietro e ci riuscii. <<Essendo una checca, ti dovrei piacere. O mi sbaglio>>. Mi afferrò la mano e me la posò sui suoi pantaloni. Ma io subito mi divincolai e gli mollai uno schiaffo in faccia.

Uno alle spalle di quel ragazzo fece: <<Quella checca ha osato picchiarti amico>>.

Allora lui si fece prendere dalla rabbia e mi mollò anche lui uno schiaffo. Sentii la pelle bruciare. Sembrava che stesse friggendo qualcosa. Non piansi neanche quella volta. Avevo preso abbastanza schiaffi da aver quasi completamente consumato le mie lacrime. Decisi da quel giorno - non da quel momento, però - che io non avrei sprecato le lacrime per chi non se le meritava. Non avrei più pianto più se mio padre mi picchiava, se mia madre non mi coccolava, se i ragazzi mi prendevano in giro. Piangevo solo per qualche amico. Alle superiori piansi per Kayla molte volte delusa dalla vita. Ma per nient'altro e nessun altro.

Il pullman si fermò davanti casa (c'era mio padre, che aveva ottenuto un permesso per uscire dalla prigione per un giorno, già furente perché aveva litigato con mamma e l'aveva picchiata) e il ragazzo, per farmi capire che non era finita con lui mi disse all'orecchio: <<Domani finisci con il lavoro che hai iniziato oggi>>. E mi toccò le labbra per poi baciarle. Un bacio che però non mi piacque per niente, un bacio di costrizione. Avrei solo voluto mordere quelle labbra e vederle sanguinare copiosamente.

Mio padre, notai, strinse i pugni. Quando gli arrivai accanto lui mi disse soltanto di entrare in casa. Guardando furiosamente il pullman mio padre strinse i pugni talmente tanto da far diventare le nocche bianche. Ero appena dietro l'angolo della cucina quando sentii provenire dal pullman la voce di quello stesso ragazzo. <<Signore. Sua figlia ha le mani d'oro. Mi ha fatto tanto piacere conoscerla. E scommetto che anche a lei ha fatto piacere conoscermi>>. A quelle parole provai un brivido. Vidi la mamma che sanguinava dal naso e dalla bocca, che aveva un occhio nero e la faccia completamente livida.

Mi disse a bassa voce: <<Corri subito in camera tua e chiuditi dentro. È arrabbiato perché l'abbiamo fatto arrestare>>. Naturalmente sempre per quello. E per cos'altro, sennò?

Ascoltai il suo consiglio. Corsi subito in camera e mi chiusi dentro. Mi nascosi sotto il letto sperando non riuscisse a trovarmi. Mai avrei fatto cosa più stupida, ma in quell'occasione fu l'unica cosa che mi venne in mente.

Sentii la porta sbattere, e con un brivido che mi percorse la schiena, udii i suoi passi sulle scale. A ogni passo sentivo il rumore di papà che si slacciava la cinghia. In quel momento iniziai a piangere. Anche se non lo feci perché mio padre se lo meritasse. Cercai di soffocare i singhiozzi quando mi accorsi che mio padre era fuori dalla porta della mia camera e cercava in qualunque modo di aprirla.

Chiese a mia madre se aveva il permesso di sfondare la porta, e senza neanche attendere, iniziò a sbattere con la spalla contro la porta fino a quando questa non si distrusse. Vidi il pomello della mia porta cascare accanto al mio letto. Trattenni per un attimo il respiro. Ma a nulla servì. Mi tirò fuori dal mio nascondiglio e mi sbattè sul letto. Iniziò a sbottonarsi la camicia e intanto mi chiedeva: <<Come mai quel ragazzo dice che hai le mani d'oro? Che gli hai fatto con le tue mani d'oro, figliola?>>

<<Papà, non ho fatto nulla. Ti sto dicendo la verità. Ha detto una bugia>>.

<<Che cosa hai fatto figlia mia?>>

<<Ti ho detto nulla. Papà, tu sti dicendo solo la verità. Ti prego. Credimi>>.

Di tolse la camicia che aveva finalmente finito di sbottonare, e attaccò a sbottonarsi anche il pantalone. Lo abbassò e mise in mostra le sue gambe muscolose. Io ebbi una tale paura che ricominciai a piangere. Non potei fare altro. <<Perché non fai anche a me quello che hai fatto a quel ragazzo, con le tue mani d'oro>>.

<<Non ho fatto niente. Non capisci papà?>>

Mi pentii quasi subito di quello che avevo detto. Infatti papà preso dalla rabbia iniziò ad avvicinarsi a me, si sdraiò sul letto in modo da potermi stare sopra e più io indietreggiavo, più lui avanzava. Poi mi mollò uno schiaffo e mi venne un capogiro. Sentii ben presto quello che stava facendo.

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Quando mi ripresi da questo incubo i miei compagni mi guardarono straniti perché io tremavo come una foglia e sudavo freddo, oltre a piangere lacrime amare. Notai Sebastian letteralmente preoccupato. Anche se gli negai di avvicinarsi a me in quel momento. Io e Kayla ci recammo alla mensa per poterne parlare. Ma evita di dirle subito quello che avevo sognato.

Avevo rimosso quello stupro. Non volevo più ricordarlo. Ma ora mi era tornato nella mente non sapevo per quale motivo. Decisi di nasconderle questo incubo ma continuavo a piangere e lei si preoccupava. <<Perché non me ne vuoi parlare? So di quello che ti accadeva a casa quando c'era tuo padre. Lo so. L'ho sentito mentre lo raccontavi a Sebastian. Parlarmene. Possiamo risolvere>>.

<<Kayla. Mi dispiace tanto. Non dovevo nasconderti una cosa così importante. E non dovevo nasconderlo neanche a Duncan. Ti ricordi degli attacchi dei bulli sui pullman?>>. Annuì. <<Era peggio di come li ricordavo. Ci hanno anche provato con me. Uno di loro mi ha messo le mani sulle cosce, Kayla. Ha detto a mio padre che avevo le mani d'oro perché mi aveva messo la mano sui suoi pantaloni per farsi fare una...>> Mi fermai. Non potevo dirle una cosa del genere.

<<Voleva che lo toccassi?>>

Annuii. <<E poi mio padre mi ha...>>. Scoppiai in lacrime. <<Non posso...>>

Lei aveva capito a cosa mi riferissi, tant'è vero che aveva cominciato anche lei a piangere. <<Non preoccuparti tesoro>>. Mi prese le mani e le strinse. La sentii così vicina. <<Io ci sarò sempre per te. Capito? Nessuno potrà separarci. Mi dispiace per quella volta>>.

Liberai una mano per asciugarmi le lacrime dicendo: <<Non hai nulla di cui scusarti Kay. Niente. Avevi trovato l'amore. O meglio speravi di averlo trovato. Io avrei solo dovuto essere felice per te>>.

<<Ho un po' di fame. Tu no?>> Mi fece lei passando dalle lacrime alle risate. Potei semplicemente annuire, ridendo.

Prendemmo entrambe un pezzo di carne e un mestolo di purè.

Inziammo a mangiare, ridendo anche tra un boccone e l'altro per delle battute che fece, e ritornò il buon umore. Ma durò poco.

Infatti la squadra di rugby si stava avvicinando a noi due con fare minaccioso. Derek era davanti a tutti. Iniziò a fare lo stupido dicendo che se non fosse stato per lui avrebbero perso la partita. E tutti gli altri gli davano corda. Archie era abbracciato a Crystal, la sua ragazza, con la quale sarebbe andato presto nel corridoio che separava i bagni per farsela.

Derek si avvicinò a me. Si imbevette le mani di purè e disse: <<Da quanto non ti lavi i capelli, brutta sfigata?>>

<<Ieri, Derek>>.

<<A me non sembra>>. Mi sporcò I capelli con il purè. Mi venne quasi il voltastomaco a sentire la poltiglia che mi aveva messo sui capelli. <<Alla prossima partita di pallavolo voglio essere invitato. Va bene, brutta sfigata?>> Si riferiva alla partita del giorno prima alla quale avevo invitato Sebastian a partecipare. Dopo siamo andati a farci una pizza.

Si avvicinò poi a Kayla che indossava una felpa. La obbligò a slacciarla. <<Indossi le canotte, rosso malpelo!>>, disse infilando le dita sotto la bretellina cercando di fargliela scendere sulla pelle delicata. Kayla tirò un sospiro di profondo orrore e per poco non le uscirono le lacrime. Lui fece scorrere le mani sulle curve delicate di Kayla. A quel punto non ci vidi più. Mi alzai. <<Lascia stare la mia amica. Lei non c'entra niente>>.

Cercai anche di mollargli uno schiaffo. Ma fui fermata dai ragazzi della squadra. <<Non hai capito niente, sfigata>>, disse Derek, armeggiando con i guanti che teneva alle mani, mentre si avvicinava a me che venivo trattenuta dai suoi compagni di squadra, Archie era con Crystal poco più in là. <<Io gioco. Voi siete i giocattoli>>. Mi mollò un pugno nello stomaco. <<Forse quando eri alle medie ti avrei anche toccata, ma ora mi fai schifo, sfigata>>.

Cercò di tirarmi un calcio ma Archie lo fermò. <<Dovevamo solo divertirci. Non dobbiamo distruggerle Derek>>.

<<Da che parte stai, eh Archie? Delle sfigate?>>

<<Ci sta chiamarle sfigate. Ma i pugni e con rosso malpelo le avances. Stai andando un po' troppo oltre non credi?>>

Derek allora si allontanò, camminando per la sala mensa come fosse il re. Tutti quelli che erano lì tenevano lo sguardo abbassato. Del tipo ~Meglio a loro che a noi~ e si avvicinò a Archie. Gli mollò un pugno nello stomaco. Gliene assestò un altro alla schiena. <<O fai tutto quello che dico e faccio io, o sei fuori, Arch>>. Gli assestò uno di quegli sguardi del tipo ~scegli~. Lui disse che non avrebbe mai violentato una ragazza per far parte della sua squadra. Dovetti ammettere che Archie aveva avuto un gran coraggio. Intanto uno dei ragazzi che mi teneva mi baciò il collo. Cercai di divincolarmi ma non ci riuscii in nessun modo. <<Quindi scegli le sfigate?>> Batté le mani. <<Devo ammettere che non mi sarei mai aspettato che fossi tu a tradirmi, sai?>>

<<Non ti ho tradito, amico. Sei tu che stai esagerando. Lasciale andare>>.

<<Pensa a farti Crystal. Che è meglio, Arch>>.

All'improvviso dalla porta della mensa entrò in fretta e furia il preside. Era stato Archie a chiamarlo mentre lui si divertiva a usarmi come sacco da boxe. La squadra semplicemente, per quel che aveva fatto non giocò due partite. Ma almeno sono stati anche sospesi. Così che non potessero infastidire me e Kayla. Ringraziammo entrambe Archie mentre ce ne andavamo abbracciate.

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