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Era un giorno come tanti altri: un giovedì statico e freddo che rotolava stanco tra gli altri giorni della settimana. Il sole indolente aveva appena fatto timidamente capolino tra le nubi di quella noiosa mattina di novembre quando la sveglia di Antonio suonò.
-Sono le 6:15 del 13 Novembre - proclamò la voce femminile melodiosa proveniente dalla sveglia del suo cellulare, mentre una musica delicata invadeva la stanza buia -Preparati per una nuova entusiasmante giornata. Ripeti dopo di me: io sono speciale, ogni giornata è speciale -
-Io sono speciale, ogni giornata è speciale – ripeté Antonio con voce roca, aprendo stancamente gli occhi.
-Io valgo. I miei pensieri valgono. Le mie azioni valgono -
-Io valgo. I miei pensieri valgono – strinse i pugni per bloccare l'abituale tremore delle mani -Le mie azioni valgono -
-Ogni giorno può trasformarsi in una grande avventura, se credo in me stesso -
-Ogni giorno può trasformarsi in una grande avventura, se credo in me stesso – borbottò con gli occhi fissi sulle crepe del soffitto umido che si intravedeva tra la penombra.
-Sono pronto ad accogliere tutto ciò che il mondo mi offrirà -
-Sono pronto ad accogliere tutto ciò che il mondo mi offrirà - la testa gli doleva e le dita strette contro il palmo continuavano a tremare; il sorriso artificiale che gli stirava le pieghe del volto gli conferiva un'aria da vecchio gargoyle.
-Bene, sei pronto per essere padrone della tua vita. Buona giornata - la musica di sottofondo aumentò di intensità, per poi sfumare delicatamente fino a spegnersi in un silenzio buio.
Alle 6:17 del 13 Novembre Antonio si alzò dal letto e arrancò stancamente tra i pochi metri del suo monolocale. Preparò come ogni mattina il suo frullato multi-vitaminico e lo bevve celando il disgusto dietro al sorriso preconfezionato che non aveva ancora abbandonato le sue labbra secche. Come ogni mattina si vestì indossando la divisa azzurra del negozio di elettronica, si lavò il volto nel piccolo lavandino del bagno, pettinò con le mani i pochi radi capelli castani che iniziavano a sfumarsi di grigio e guardò nello specchio le pieghe sempre più pronunciate che gli solcavano la pelle, cercando di ignorare le palpebre gonfie e i contorni violacei attorno agli occhi.
-Io valgo. I miei pensieri valgono. Le mie azioni valgono – ripeté al suo riflesso, con voce flebile ma decisa. Alle 7:00 uscì di casa.
La giornata scorse lenta, come quella precedente e come quella ancora prima: sembrava che qualcuno avesse preso una vecchia pellicola di un film muto in bianco e nero e poi avesse riavvolto il nastro appena finita la riproduzione; ogni volta da capo, all'infinito. Come ogni mattina camminò a piedi fino al negozio, allungando di proposito il tragitto per evitare la strada piena di bar; aprì l'attività e pulì meticolosamente i corridoi e gli scaffali, aspettando che il luogo si riempisse di commessi e clienti. Passò quasi tutta la giornata in magazzino, sistemando i prodotti; mangiò da solo un panino in un angolo per poi tornare rapidamente al suo lavoro. C'era qualcosa in quella ripetizione che lo tranquillizzava: non doveva ragionare, non doveva preoccuparsi, non doveva pensare; solo leggere il codice e sistemare la scatola sullo scaffale giusto. Tenersi occupato lo aiutava ad ignorare quel subdolo desiderio che strisciava appena al di sotto della superficie, come un rumore di fondo quasi impercettibile ma sempre presente, che si manifestava in quel tremore costante che gli scuoteva le falangi e in quella pressa invisibile che gli premeva sulla scatola cranica appesantendogli il cervello. Scatola, codice, scaffale. Scatola, codice, scaffale. Scatola, codice, scaffale. Alle 18:00 uscì dal negozio salutando sbrigativamente i suoi colleghi: le conversazioni di circostanza lo rendevano nervoso. Arrivò puntuale alla seduta di gruppo e si sedette in una delle sedie disposte in cerchio, ascoltando in silenzio i racconti dolorosi, le confessioni, i traguardi raggiunti; la mano nascosta nella tasca dei pantaloni tremava più violentemente del solito. Quando uscì si sentiva agitato: il sole era da poco tramontato e l'oscurità appena accennata sembrava attendere di soppiatto sulla soglia, restituendogli un senso di incompletezza che lo metteva a disagio. Si sentiva inquieto, come se la parte del suo cervello che cercava di tenere costantemente sopita stesse scalpitando per tornare in superficie. Iniziò a correre per liberare la mente e mantenersi in forma, ma dopo qualche minuto si rese conto che le sue gambe si erano mosse contro la sua volontà, o forse rispondendo a un comando proveniente dal suo inconscio. Si avvicinò esitante alla porta del bar, scosso da tremori sempre più intensi, mentre sentiva quell'odore acre che da una parte lo nauseava e dall'altra lo attirava come il canto tentatore di una sirena. Rimase fermo in mezzo alla strada, come un manichino abbandonato, rigirandosi il gettone giallo appena ricevuto con la scritta "1 anno" in rilievo al centro, che sembrava urlargli dimenandosi sotto la plastica di non distruggere in un secondo tutti quei giorni di progressi. Eppure ad Antonio non sembrava di essere progredito. Anzi: gli sembrava che la sua vita si fosse fermata da talmente tanto tempo da non ricordarsi neanche più cosa si provasse a viverne una. Restò lì in piedi finché il cielo non diventò completamente buio, dopodiché staccò lentamente le scarpe da ginnastica incollate al suolo e tornò a casa.
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