XIX -Essere pioggia-
Il sole era morto. Ma si sarebbe levato ancora, Izuku si disse di non dover temere. Era precipitato nel rosso orizzonte ore addietro e adesso che questo era chiuso negli occhi di Katsuki, respirava con forza, sopprimeva la luce che cercava di uscire. Trattieniti, solo per la notte. La chiarezza della mattina sarebbe arrivata prima o poi.
<Solo perché ne ho voglia> soffiò su di lui ed in quelle poche parole trovò nuovi dubbi. Cosa fai, Katsuki? Dimmi, cosa credi di fare? Non solo il riccio, ma l'intero appartamento, come se fosse conscio di quella presenza estranea, glielo stava domandando. C'era nebbia di pensiero, nebbia di interrogativi, nebbia per nascondere azioni di cui non avrebbero parlato. Il fiato di Katsuki era caldo, insapore, proprio come avrebbe dovuto esser quello di uno spettro. L'aria fluiva nei polmoni del biondo e risaliva per abbattersi sul viso di Izuku, l'ennesimo gioco di Katsuki. Tuttavia -si disse- mi ha avvertito. E mentre il biondo si chinava l'unico interrogativo a cui diede importanza fu riguardo all'immediato. Sono curioso, lo sai. Sono curioso, come farai? Sono curioso, Katsuki, sia di me che di te.
Il ragazzo che gli stava puntando le ginocchia vicino alle gambe punse quella parte della mente che gli gridava da tempo di non fidarsi, di riconoscere quel che era passato e quel che non poteva capire. C'era talmente tanto di ignaro nell'aria, si tastava un senso di novità e di scomodità che legava loro le corde vocali. Qualcosa di non detto -lo sentiva- si abbatteva sulle loro menti. Izuku volle pensare di non essere sorpreso, di esser stato cauto non abbastanza, ma di aver tenuto stretto il filo della ragione fino ad allora.
Adesso Katsuki gli avvolgeva i tratti affusolati del viso, timoroso e non di guidarlo verso di sé e fin troppo conscio di aver superato la distanza per potersi ritrarre. Andrà bene? Si chiese il riccio. Se non ti allontano, posso solo tentare. Era curiosità la sua, da sempre, ma senza Katsuki non sarebbe stata forte a sufficienza. Era il biondo a spingerlo in avanti, nella scoperta di una misera manciata di risposte, insufficienti, fredde e pallide nella notte. Speravano entrambi, forse, che i gesti potessero parlare.
Prima di rinunciare ad una scappatoia Katsuki mosse la bocca sussurrando appena, in un confuso respiro, e ripetendosi: <Solo perché ne ho voglia>. Era un monito solitario. Non fu riluttante, tuttavia, nell'attimo in cui Izuku chiuse gli occhi permettendogli di assaggiare un primo, soppesato bacio. Mosse da un brivido famigliare, le labbra del riccio si lasciarono inumidire da quelle del biondo, inumidire appena, come se il temporale si fosse calmato nuovamente, regalando rugiada a chi come loro lo aveva ascoltato. E studiò la sensazione, solo per darsi conferma delle proprie impressioni, contemplando la banalità degli esseri umani. Hanno tutti labbra in grado di baciare, non è forse così? Allora Katsuki premeva mentre il riccio decideva di venirgli incontro, attirato da una diversità che ancora non aveva trovato. Si schiusero l'uno nell'altro, avvertendo il giusto e l'errato dell'atto.
Katsuki aveva labbra sottili, morbide, capaci di seguire i movimenti più lenti di quelle di Izuku, che cercavano di abbandonare del tutto un'incertezza primordiale, che risaliva dalla bocca dello stomaco. Con le dita che si muovevano sul collo del biondo per arrivare alla nuca, dove strinse alcune ciocche lisce e setose, un vago pensiero lo colse. Mi ricordo di quella ragazza. La chioma nera della sua prima volta gli apparve improvvisamente, accompagnata dai tratti pesanti di una matita mal temperata, la sua sola immagine gli presentò l'inadeguatezza del presente, non dissimile da quella passata. Gli stava suggerendo di tornare indietro nel tempo, di soffocare le aspettative, lasciando che un sé più giovane riconoscesse i segni di una seconda occasione; vedeva una strada diversa, dove non inseguiva odore di vaniglia per le vie di Ginevra, ma in cui si domandava cosa vi fosse di allettante nei tratti più marcati di un uomo a confronto di quelli sfuggenti di una donna. Rimpianse brevemente di non esserselo chiesto prima. Ma una nuova conoscenza emerse dalle mani di Katsuki, che con una certa timidezza si facevano decise nell'accarezzarlo, e dal sapore di carne che lo aveva invaso. Non mi ricordo di te, invece. Chi sei? Una pressione maggiore lo fece sprofondare nel divano, in quella scomoda piega che gli dava l'impressione di potercisi perdere, un po' come nell'ignoto che si muoveva su di lui, governando senza permesso nella sua casa. Katsuki gli si strinse contro, il riccio rabbrividì ingoiando un respiro a fatica. Qualcosa in quel fluido contatto lo stuzzicava. Se non ti conosco, puoi essere uno dei tanti, esattamente come lo sono io. E prima di farsi innumerevoli domande ricambiò appieno il bacio, mordendo. Il timore che il biondo scomparisse, anche se riposto in un angolo buio, continuava a tormentarlo e per tenerlo a bada -così si disse- afferrò i lembi della felpa di Katsuki, assieme a quelli della maglia, sollevandoli prima di esser tentato dal ritrarsi. In un convulso movimento, la stoffa risalì, trasformando momentaneamente il ragazzo che si era allontanato con uno sbuffo in un bozzolo. Di nuovo, quando l'indumento fece riemergere la testa del biondo, Izuku restò sconvolto dai nuovi tratti, più sottili, più arrossati, più tirati che gli si mostravano. Assieme ai vestiti volò via quel vago sentore di domanda che aleggiava sulla punta della lingua. Ora la curiosità era diventata più concreta e trasportava le dita di Izuku verso il viso serioso di Katsuki. Lo avvolse, studiandone appena le curve affilate e la pelle liscia, irritata dal solo sfiorar di qualche lembo di stoffa; era il suo corpo, non più la sua mente, a chiedersi cos'altro ci fosse da vedere. Le guance prima bianche si tingevano sotto il suo tocco, la carnagione abbastanza più scura del dorso delle proprie mani sembrava carbone, carbone che sporcava un marmo fresco di modellatura. Liscio, freddo, attraente. Gli occhi di Katsuki lo osservavano riflettendo la luce della piantana, nascondendo una tensione appena palpabile. Erano rossi. Izuku si meravigliò come se non li avesse mai visti prima. Erano rossi e scuri, scuri e brillanti, brillanti e umidi. Forse, pensò, il biondo era sempre pronto a piangere, anche solo per il gusto di poterlo fare, perché non voleva privarsi di nulla. Lui vinceva in ogni caso.
Lo fronteggiava, non era chiaro? Quell'espressione pensosa, persa, era l'ennesima sfida che gli chiedeva di intendere.
Katsuki aveva un busto magro, ma segnato da linee decise. Ossa e muscoli, niente di superfluo, spalle forti. La magrezza di un atleta è bellezza per chi è abituato ad immortalarla in tratti di grafite. Comparve improvvisamente, la timidezza. La vide nel corpo del biondo, nei polmoni che riempiva fino in fondo, nel modo in cui si era morso un labbro cercando di non farsi vedere. I capelli un po' scombinati davano all'insieme un'aria giovane, troppo giovane per essere respirata.
Tenendo un essere simile, c'era troppo da desiderare e da temere. Il pensiero lo folgorò mentre lo riavvicinava a sé, attirato irrimediabilmente.
Un secondo bacio, un secondo momento di riflessione e di abbandono. Era la conferma. Gli piaceva. L'idea, la concretezza dell'azione, il come il proprio corpo si muovesse verso quello del biondo. Non era assurdo voler tentare, si tranquillizzò nel pensarlo ed in qualche modo volle trasmettere al biondo la medesima calma.
Mordendogli appena il labbro inferiore lo abbandonò per poterlo guardare tornare a pesargli addosso e non più a sollevare i muscoli per venirgli incontro. Le mani, leggere, gli circondarono i fianchi tastando il bordo dei pantaloni e la pelle che da esso spuntava.
<Togli-> iniziò per poi deglutire a vuoto. La sua voce aveva riempito l'ambiente con due misere sillabe, per un istante gli era parsa assordante, inadeguata. Poi, con gli occhi di Katsuki che indagatori lo costringevano a proseguire, si decise ad obbedire all'invito non pronunciato.
<Togli anche la mia> ma non sapeva che tono usare, quale avrebbe fatto desistere Katsuki e quale lo avrebbe invitato a continuare. Per questo parlò piano, in un misto di timore e sicurezza, solo per poter chiedere di più.
Il biondo annuì appena, sollevando le spalle al ritmo dei respiri. Izuku vedeva le sue ossa, sotto le dure fibre muscolari, ne seguiva le torsioni. Erano le clavicole, lo sterno, la spina dorsale, era questo e molto altro a far muovere Katsuki. Aveva studiato anatomia nei mesi addietro, si ricordava ogni legatura del corpo e le ripassava guardando il corpo che aveva addosso. Lo riveriva, per così dire, e lo interrogava sulle prossime azioni.
Katsuki iniziò ad arrotolare i lembi dei vestiti del riccio, li sollevò fin quando anche questi non furono abbandonati su qualche superficie. Indumenti persi, come i pensieri. Restarono entrambi a torso nudo, con sguardi che si evitavano e pur di fuggire l'uno dall'altro indagavano sul resto. Katsuki tendeva i muscoli delle gambe e forse stava iniziando a capire che tornare a qualche minuto prima, quando non c'era nulla in più da spiegare, non era cosa fattibile. Nell'ombra dei suoi tratti, fra le pieghe della pelle, lo tradiva un tremore appena percettibile. Era la voglia di non pensare o, per meglio dire, di pensare solo a se stesso. La tentazione è egoista, Katsuki.
Izuku la respirò e la comprese. La conoscevano e si conoscevano, forse era questo il vero motivo. Il riccio fece sua un po' della rigidità del biondo, ma si spinse comunque in avanti cercando di ritrovare il tocco delle sue labbra. Non appena le riuscì ad afferrare, fece scivolare le mani attorno alle cosce di Katsuki e trattenne il respiro. Per un attimo aveva creduto di potersi scottare e per quanto fosse impossibile, il rischio restava nella sua testa come una bomba ad orologeria. Il suo appartamento non aveva sistemi di difesa, ma sentì che il suo corpo, più di una casa, necessitava di precauzioni del genere. Si spinse in avanti, sbilanciando il biondo e facendogli intuire, con un gioco di strette, di doversi stringere attorno a lui. Esitando, Katsuki obbedì. Izuku rafforzò la presa sulle cosce e appena sentì le gambe del ragazzo circondargli il bacino si sollevò. Fu divertente, forse solo per il riccio, farsi strada fino alla camera da letto. Rischiò di cadere un paio di volte e fu sconvolto quando gli parve di riconoscere l'ombra di un sorriso nel mezzo del loro bacio confuso. Ma Katsuki non poteva sorridere, non era così? Lui poteva arrabbiarsi, fare il serioso, sospirare, ma non sorridere. Una regola del genere, tuttavia, sarebbe stata cancellata per sempre da lì a poco. La porta era aperta, il letto ancora sfatto, la carta governava, assieme a qualche matita sparsa, la penombra della camera. Se ne sentiva l'odore nell'aria e nella testa di Katsuki si fece spazio l'idea che vi potessero esser fogli fin sui cuscini del riccio. Aveva giudicato presto il suo ospite e aveva visto, disseminati per ogni dove in quella manciata di stanze, segni di chi è abituato a lavorare ovunque. Perciò Izuku doveva disegnare laggiù, sull'isola della cucina, sul tavolino del soggiorno, sull'asciugatrice del bagno, fra le coperte, in alcune occasioni anche prima di andare a dormire. Persino lui faceva supposizioni, ma non lo avrebbe mai ammesso.
Il contatto con il materasso fu caotico. Il riccio incespicò a due passi dalla meta. Katsuki si sentì cadere, ma all'ultimo fu accompagnato dalle mani di Izuku, che gli solleticarono la schiena. Non riconosceva la sensazione. Il riccio, con i palmi contro la sua pelle, lo sentì sussultare piano.
<Vuoi la luce?> si premurò di chiedergli, la risposta fu un agitarsi da destra a sinistra del viso del biondo. Il bagliore proveniente dal corridoio sarebbe bastato ad entrambi. Le lenzuola blu notte, nere al buio, incorniciarono il corpo affusolato di Katsuki. Il riccio puntò i palmi ai lati della sua testa, una marea di ricci gli si riversarono in fronte. Un respiro pesante, unico, anche se diviso, riempiva la camera. Raccogliere ossigeno divenne un nuovo modo per raccogliere informazioni. Sentiva un vago odore di menta, traccia del tè che era sempre presente nelle due tazze in cucina, vicino al bordo del lavandino, dove Katsuki le riponeva una volta vuote. Ed il calore aveva profumo, nella carne, fra le labbra che aveva toccato, sapeva di ignoto e del suo completo opposto. Offriva, per non saper descrivere meglio la sensazione, una visione sfocata e accattivante del ragazzo che ospitava. Realizzò nel modo più concreto possibile di aver desiderio di questa novità. Tremava appena, sempre più propenso ad un terzo bacio e non voleva assolutamente contemplare l'idea di rinunciarvi.
Quel che voleva innescare il biondo, qualsiasi intenzioni avesse, era iniziato. Sentiva pressione addosso, pressione che convergeva nel suo petto, spostandosi al basso ventre. Immaginava quasi, per brevi istanti, di poter vedere l'energia. La sua e quella di Katsuki, due ragazzi, due vite separate.
Il corpo è solo corpo. Izuku scindeva sempre troppo, esagerava, cadeva nella paranoia dell'apocalisse. Un giorno il mondo doveva finire, esplodere, solo per lui. Ma non era solo Wilde a dirlo, si ricordava, era il dualismo mente-corpo che permeava la storia dell'uomo a farsi strada in ogni tormento ed i suoi pensieri erano davvero errati il più delle volte. Aveva bisogno del corpo, sì, e della mente per capire.
Così Katsuki era un'informazione da assorbire con tutto se stesso, doveva accettarlo.
Niente luce mentre si scambiavano baci mesti, baci profondi, baci a fior di pelle, baci esploratori, pionieri, astronauti.
A Katsuki la luce non piaceva. Izuku lo percepiva. Erano i mesi invernali a rendergli più chiara la cosa, erano i bagliori delle vetrine, le decorazioni, le cascate di scintille davanti a cui non riusciva a figurarsi il biondo. E realizzò che laggiù, fuori dal suo appartamento, nell'intera città, tutto ciò stava svanendo. Avevano tolto le luci natalizie. Serpenti di vetro lungo le ringhiere dei balconi, erano strisciate via. Era sotto di loro che il suo momentaneo amante aveva rivelato più del necessario.
Senza, Katsuki poteva continuare a nascondersi con più facilità, lo poteva fare fra le lenzuola del riccio, contro le sue labbra, tirandogli la pelle.
E lo incuriosì di più, quella medesima causa che lo ispirava, per raccontargli a tatto dell'esperienza del corpo. Avvertiva l'addome del biondo contrarsi contro il proprio, le sue dita attorcigliate attorno alle spalle, pendenti come araldi, appese per la forza delle dita che lo raschiavano appena. Volevano fare, sapere, chiedere, ma senza parola. Ma il modo in cui Katsuki si esprimeva era talmente diretto.
Forse il loro linguaggio era solo l'ennesimo scherzo dell'universo.
L'umidità del bacio non saziava persone come lui, che traevano il peggio ed il meglio da ogni cosa; così il biondo lo addentò. Con pressione, il suo labbro inferiore venne catturato, morso, tirato. Si lasciò sfuggire un breve sospiro mentre i ricci gli ricadevano sulla fronte. Un contorto divertimento iniziò a destarsi. Se lo aspettava -si ripeteva-... se lo aspettava da quel ragazzo!
Forse Izuku mirava a questo fin dall'inizio, inconsciamente, fin da quando aveva messo piede nel caos di Katsuki. Voleva provare, desiderava aggiungere anche questo al suo bagaglio di esperienze. Perché, come il ragazzo che ospitava nel proprio letto, anelava alla grandezza del prendere, del collezionare, del privare e del ricambiare. Pensava e in sé parlava come un poeta parla dei quartieri più malfamati della città. In quei luoghi echeggiano i misfatti degli umani, sussurri di vite ignote, incroci di strade in cui le pozzanghere vibrano al ritmo del convulso avanzare di miriadi di piedi. Le nuvole si addensano e si condensano continuamente, raccontando a suon di lacrime notti misteriose.
Il riccio ne avvertiva il preludio. Katsuki lo afferrava fisicamente e tuttavia poneva muri, ergendoli dal profondo, per sguisciar via da sotto il suo sguardo. Lo baciava, lo accarezzava lungo i fianchi, lasciandosi imitare. Eppure cercava di porre una qualche barriera, talmente difficile da vedere e da toccare, ma semplice da percepire; Izuku ne avvertiva lo scorrere sulla pelle, come se le incomprensioni degli anni precedenti e quelle nuove, precoci e violente, stessero cercando di trattenere i loro corpi.
Quella sera i cumulonembi si contraevano al di sopra delle loro teste e tentavano di allontanare, a suon di tuoni e scrosciar d'acqua, le barriere che li dividevano.
Nel sentirsi graffiare delicatamente i fianchi, il riccio si impose di ascoltare il fruscio delle lenzuola. Voleva ricordare il modo giusto di pensare e di agire, perché continuava ad avvertire un freno interiore; voleva e non voleva scoprire le intenzioni del biondo, perché in fondo sentiva che non erano diverse dalle proprie. Katsuki doveva dimostrare qualcosa, forse che nel farsi beffa dell'ennesimo amante non avrebbe perso nulla, o piuttosto che, nonostante i problemi che si rifiutava di affrontare, poteva essere il solito egoista. Izuku lo sapeva: sarebbe stato usato.
Quando si scostò per riprendere fiato il biondo aveva il fiatone e stava scherzosamente percorrendo con le dita l'elastico dei suoi pantaloni. Il tocco faceva vibrare i muscoli di Izuku, che si chinò a mordere un collo pallido e teso. Al di sotto dei denti, accarezzando con la lingua una buona porzione di pelle, sentiva il pulsare del sangue che aumentava. Il corpo di Katsuki gli suggeriva di risalire, di scendere e di premere. Si spinse contro il biondo. Affondarono brevemente nel materasso mentre Katsuki si lasciava sfuggire un sospiro. I denti di Izuku afferravano e tiravano.
<Ah!> gli strinse alcune ciocche di capelli. Qualcosa, nell'aria che si respirava e nel modo in cui la voce del biondo si levava, più delicata di quanto si aspettasse, gli suggeriva una sensibilità estrema. I suoi morsi avrebbero lasciato una traccia profonda, se non nel concreto, nel pensiero.
Voglio restare qui, abbracciato alla pioggia, a chiedermi come raccoglierla.
L'incertezza dell'atto stava in agguato, negli angoli bui della stanza, a confabulare di apocalissi e di grandi disfatte. Non conoscevano, eppure sapevano, non vedevano, eppure si inseguivano negli sguardi, non sapevano parlare, eppure qualcosa gridava in loro. I loro corpi, custodi di desideri di libertà, cercavano di volare prima di arrendersi all'idea di dover fare un passo indietro.
Cari lettori che ancora avete questa storia in libreria, chiedo venia per la mia lunga assenza.
Ho dovuto prendermi del tempo per me stessa negli ultimi mesi, sono felice di esser tornata con un po' più di forze dalla mia parte.
Non ho mai avuto l'intenzione di lasciar a metà la storia, continuerà, ve lo assicuro.
Cercherò di rifarmi viva presto(◠‿・)—☆
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top