XIV -In te e in me-

Izuku cercò di immaginare un giorno qualsiasi, forse nei mesi autunnali, con la ripresa delle lezioni e qualche libro in spalla. La carta dei quaderni ancora immacolata era segno di novità, le mani pulite aspettavano di esser immerse in polvere di carboncini, i fogli da disegno di esser sporcati. Lui era diverso. Il corpo era chiaro, i capelli biondi, gli occhi, sotto due dritte sopracciglia, pieni del sole di ottobre. Iridi rosse come le foglie degli aceri nel parco e vestiti freschi di bucato. Si sentiva sottile in quei panni, cosciente del destino e del tempo che la stagione avrebbe presto consumato fino ai mesi invernali. Era uscito dall'appartamento ancora nuovo, aveva lasciato solo due scatoloni da svuotare a aveva controllato tre volte di aver chiuso a chiave la porta. Niente mezzi pubblici, a lui piaceva camminare quando il clima lo permetteva.
L'accademia era strana, vuota, i gradini d'ingresso troppo puliti, ma l'interesse era cresciuto man mano che si avvicinava all'aula della prima lezione. Le prime settimane in una nuova scuola davano un senso di novità che sarebbe sbiadito lentamente.
Le ore erano calme, tese in poche occasioni ed i professori a malapena accennavano all'importanza di restare in pari con lo studio. La pigrizia estiva aleggiava ancora nelle aule.
Sembianze diverse, mente diversa, preoccupazioni diverse. Essere Katsuki lo gettava in una realtà scomoda. Ma quella maschera di serietà e silenziosi giudizi gli apparteneva, si stendeva sul suo viso come una seconda pelle. Pestò sul legno delle pancate e prese posto verso le ultime file, Kirishima era in anticipo come sempre e lo salutava con un sorriso tirato dal sonno. Non gli disse nulla, voleva solo sedersi e allineare quaderno e astuccio davanti a sé.
L'autunno filtrava dalle ampie finestre, la mattina si teneva stretta il calore dei primi raggi e gli alberi iniziavano ad ingiallire, arrossire e muovere i primi passi verso il letargo. Tutti gli studenti annusavano l'aria attendendo il cambio di stagione. Nell'aula ancora mezza vuota non serviva parlare, il giorno avrebbe preso a correre solo allo scoccare delle nove.
E il corpo urlava nel silenzio per la diversità delle membra che indossava. Izuku si vedeva percorrere a gran passi i corridoi, non degnare di uno sguardo i compagni, la propria chioma verde ondeggiare al ritmo di una scrittura convulsa apposita per gli appunti qualche fila più avanti. Per una volta pensò che in fondo Katsuki non avesse torto nel giudicarlo un fastidioso topo di biblioteca, sempre chino a divorar fogli. Negli occhi del biondo si vedeva piccolo, stretto in un mondo da cui non voleva uscire.
La mattina fu insapore, nel tornare a casa con una ventina di pagine in più da studiare sentiva solo il desiderio di un pasto caldo, lo stomaco si agitava per il poco caffè ingurgitato fra una lezione e l'altra. Ma invece di dirigere i propri passi verso Les Eaux-Vives tirò dritto fino alla fermata dell'autobus. Sua madre gli aveva chiesto di cenare a casa, si sentiva "abbandonata" lì sola, mentre Masaru passava le giornate fuori, chiuso nello studio fino a tarda notte. I suoi avevano molto a cui pensare, il lavoro era una priorità tanto quanto la famiglia, ma di tanto in tanto l'uno prevaleva sull'altra e viceversa. Katsuki aveva imparato a comprendere il loro stile di vita ed in fondo non si era mai sentito trascurato e, al contrario, a volte provava un senso di soffocamento nell'accettare le attenzioni dei genitori.
Quando scese dal mezzo erano le cinque passate e si rese conto di non aver avvisato di esser per strada come Mitsuki gli aveva detto. Pazienza, si disse, in un caso o nell'altro lo stava aspettando.
Sentiva sulla mani tracce di fresco e di secco, l'inizio del tramonto era vicino e la vecchia strada di casa trasudava di un profumo che non avrebbe saputo definire meglio se non con La Vie en rouge.
L'umidità saliva e presto, nelle settimane successive, la nebbia sarebbe salita nei parchi. La gente in bianco e in nero avrebbe continuato a vivere. Aveva lasciato casa da poco, eppure quel quartiere gli sembrava distante chilometri e anni dall'Accademia. Izuku pensò che Katsuki si sentisse così, un po' come lui, un po' diverso da lui, perché erano entrambi cresciuti in quella zona e per quanto potessero differire l'uno dall'altro restava sempre uno dei fulcri della loro infanzia.
Come allora Katsuki era lì, Izuku lo portava avanti sull'asfalto, muoveva i passi sul marciapiede crepato e vedeva il sole abbassarsi oltre gli alberi, il grande cartello che indicava il senso unico ormai alle sua spalle. Respirava la stessa aria de Les Eaux-Vives, perché la città in cui viveva era sempre la stessa e questo lo sapeva, anche se insisteva nel pensiero di esser migrato molto lontano con la crescita. Il trasloco lo aveva cambiato, se ne convinceva, lo aveva fatto crescere e non importava il fatto di dover telefonare alla madre per qualche consiglio. Lui stava crescendo e piano i punti di svolta si avvicinavano, anche quelli più bruschi avrebbero bussato con insistenza alla porta dei vent'anni.
Percorreva la via che conosceva da sempre, ripensava alle lezioni, alla cena, all'insistenza della madre nel farlo tornare a casa, quella vera, di tanto in tanto. Quel posto non era poi così diverso da come lo aveva lasciato pochi mesi prima, persino le scarpe che indossava erano le stesse che portava il giorno della partenza. Quel vecchio paio di converse lo avevano condotto lontano ed ora lo stavano riaccompagnando indietro. C'era forse qualcosa nell'aria, qualcosa di diverso, che gli potesse dire che il tempo non gira al contrario? Mitsuki avrebbe continuato a pregarlo di presenziare alle cene di famiglia, suo padre a lavorare fino a tardi e l'università era un percorso ancora troppo lungo per avere una scadenza. Le pallide lame di sole che filtravano dagli alberi scaldavano l'odore autunnale che nel fruscio delle foglie dava un senso di sicurezza, in qualche modo restava convinto che nulla sarebbe cambiato.
Izuku aveva dato troppi colori alla storia, lo sapeva, ma era un suo vizio quello di esagerare.

<Poi sono entrato in casa. Avevo le chiavi, volevo chiamare mia madre per salutarla, dirle che l'avrei aiutata a cucinare e che magari avrei fatto uno dei piatti che le piacciono tanto. L'ho cercata nello studio, non c'era> Katsuki era tornato nel suo corpo, sul divano di Izuku, stretto nella coperta. Pioveva ancora, proprio come aveva previsto. Il riccio lo lasciò andare con riluttanza, qualcosa in quella pelle pallida e diversa gli dava calore e non voleva separarsene. Forse era l'autunno di quei giorni, la nostalgia del primo anno di Accademia, le emozioni delle novità, belle e brutte, che gli ricordavano chi era solo fino a pochi mesi prima.
<Invece era al piano di sopra. Puoi immaginare il resto> continuava tirando la pelle del viso in un sorriso veloce e immotivato.
Katsuki si gettò all'indietro contro lo schienale, sprofondando fra i cuscini si raggomitolò più di quanto già non avesse fatto. Fissava le vetrate come se da un momento all'altro fossero dovute esplodere ed i rombi, dall'alto, sembravano dargli ragione.
Pelle fra coperte, coperte sulla pelle, cosa aveva visto quel giorno? Lo stesso corpo in cui era nato si faceva spazio nei ricordi e nel male degli eventi. Cancellarlo non era possibile, Izuku lo sapeva pur non avendo vissuto nulla di simile. Ma in fondo era proprio come Katsuki gli aveva detto: "All'epoca non lo potevo sapere, cosa volesse dire perdere un genitore". E cogliere Mitsuki in fallo aveva costituito per Katsuki una perdita simile a quella di Hisashi per Izuku.
L'immagine che aveva avuto da sempre della madre era scomparsa in una manciata di secondi e la frattura era avvenuta all'istante. Izuku era mortificato per chissà quali, sconosciuti sentimenti il biondo aveva conosciuto. È talmente facile inciampare in cose sgradite, specie per chi come loro guardava ancora ai vent'anni come ad un traguardo irraggiungibile. Eppure da lì a qualche mese entrambi lo avrebbero superato e tutti i sorrisi e gli acciacchi collezionati li avrebbero seguiti. Grazie a loro avrebbero capito un po' di più le persone che erano, questo, almeno, era il proposito.
Izuku tirò dentro aria, tanta, ma nessun lungo respiro gli avrebbe fatto passare la sensazione di sbagliato che era tornata ad attanagliarlo. Se ne stava alla base del collo, nello stomaco e sopra al cuore, come se controllasse qualcosa al suo interno, circolazione, battiti e funzioni simili. Era la stessa delle vacanze di Natale, la scomodità che lo faceva sentire fuori posto e che soppiantava la calma che aveva percepito per una misera manciata di minuti. Voleva ascoltare Katsuki, vederlo restare su quel divano in cui aveva ormai scavato la propria forma, vivere in una finestra di tempo capace di annullare la distanza della crescita.
<Ti ha chiesto scusa?> chiese all'improvviso, la curiosità era salita in un grumo in gola e aveva trovato la via d'uscita.
Mia madre lo ha fatto, tante volte.
Katsuki mostrò nuovamente il sorriso tirato e agli occhi del riccio iniziò a sembrare più inquietante che altro. Sorrideva per non parlare? Per indugiare? Era come quando ci si gira i capelli fra le dita per il nervosismo?
<Sì. Mi ha inseguito con la vestaglia mal allacciata e sarebbe persino corsa in strada se non l'avessi chiamata dal soggiorno>. 
Izuku ricordava la loro casa. Era spaziosa per sole tre persone, l'atrio accoglieva gli ospiti con un soffitto alto, le scale stavano sulla destra, erano ampie e non scricchiolavano. Il soggiorno era privo di mobili inutili, c'era un grande divano, un tavolino, un'ampia libreria che saliva fino al soffitto. Izuku immaginò il biondo aggirarsi vicino alle pile di libri nei ripiani, pestare di tanto in tanto sul tappeto vicino alla televisione. La grande finestra faceva entrare l'ultima luce della giornata e spargeva sussurri fra l'immacolato arredo. Tutto era ordinato, pulito, ogni stanza lasciava intendere il passaggio di qualcuno dotato di buon gusto. Se fosse stato il contrario, per qualche strano motivo, Izuku pensò che Katsuki non avrebbe mai scoperto la madre. Quando un ambiente è ordinato è più facile muoversi al suo interno, persino l'udito sembra captare i più piccoli rumori. Il caos, invece, destabilizza i sensi e avrebbe tenuto lontano Katsuki dai segreti di quella casa. Magari sua madre sarebbe stata impegnata a fare le pulizie perché ormai la settimana era passata e doveva assolutamente mettere a posto in vista della cena in famiglia e non ci sarebbe stato nulla da scoprire.
Era tutto un "se" questo e "se" quello, ma se davvero Katsuki avesse potuto evitare certi eventi non si sarebbe ritrovato nel salotto di Izuku quel sabato mattina e andava bene così, lo avrebbe fatto restare lì seduto per ore, perché poteva sopportare il senso di sbagliato.
Katsuki poteva anche percepire il disagio del riccio, ma doveva aver provato qualcosa di molto peggio nel soggiorno di casa propria e ciò faceva passare in secondo piano il modo in cui Izuku prese ad attorcigliarsi le ciocche vicino alla nuca.
Katsuki aveva chiamato Mitsuki prima che uscisse a cercarlo, era convinta che fosse scappato, doveva averla spaventata sentirlo parlare dal soggiorno. E si era sbrigata ad affacciarsi nella stanza mentre si allacciava meglio la cintura in vita, era a piedi scalzi e affannata. Il rosso delle guance era segno di un imbarazzo profondo, di una vergogna piena che sapeva di dover provare. Mitsuki era da sempre una donna forte, capace di affrontare tutto e tutti senza mezzi termini, per questo motivo aveva lasciato subito spazio al viscido dello sporco che lo sguardo del figlio le gettava addosso.
<"Mi dispiace, Katsuki" lo ha detto subito. Era serissima, immagino che volesse apparire convinta della cosa, ma dopo la prima le altre volte in cui lo ha ripetuto hanno subito preso una piega tirata. Ad un certo punto tutte quelle scuse non avevano più un senso>.
Sì, questo Izuku lo sapeva. Anche Inko gli aveva ripetuto all'infinito di esser dispiaciuta per lui, per la morte di Hisashi. Lo aveva fatto per mesi, diceva al bambino che stringeva che era un vero peccato che il padre non potesse tornare, che forse avrebbe potuto far qualcosa per evitare una simile tragedia. Ma Izuku aveva capito presto che da fare non era rimasto altro se non occuparsi di Inko al posto di Hisashi, darle conforto, non accettare il suo senso di colpa come giusto o sbagliato.
Katsuki sembrava voler dire "Non mi importa di questo, tanto non metterò più piede in quella casa, in quella camera da letto o in quel soggiorno", era quello che si leggeva fra le righe delle sue parole.
Izuku si torturava i ricci più corti, pensava a che ore fossero, alla madre di Katsuki e a cos'altro chiedere al ragazzo che ospitava. In qualche modo la sua sete di risposte necessitava di sollievo.
<Mia madre lo sa?>.
Katsuki si girò a guardarlo storto.
<Ovviamente sì, ma è troppo gentile per dire alla mia di esser stata troppo frettolosa nel ricorrere al divorzio>.
<Non è stato tuo padre a chiederlo?>.
<Oh no. Mia madre ha pensato che il sistema "ammissione colpa-auto punizione" fosse la via più giusta. Perciò si è presentata da mio padre con le carte, gli ha spiegato che si sentiva trascurata e che aveva ceduto alle lusinghe di un collega. Lui non è che abbia avuto modo di discuterne, ma non ha voluto firmare fino alla fine di dicembre, quando lei ha insistito una volta di troppo> il tono aveva preso una sfumatura di rabbia, Izuku la percepì distintamente.
<Sai cosa? Credo che fosse sua intenzione dare l'impressione di volersi sbarazzare di lui. Sì, come se si sentisse meglio nel liberarsene o nel liberarlo dalla moglie che lo aveva tradito. Il senso di giustizia per lei viaggia avanti e indietro su una netta linea di separazione fra bene e male; lei era andata nella parte del male, doveva pagare per tornare nel bene e il divorzio era la cauzione>.
Ogni cosa nel suo discorso era logica, Izuku pensò che quella rigida distinzione fra la retta via ed il peccato che attribuiva a Mitsuki si riflettesse perfettamente in lui, perché come lei era perentorio nei giudizi. Izuku si chiese se certe regole valessero anche per lui, per le cattiverie compiute nell'adolescenza, ma forse Katsuki era stato continuamente troppo preso da quel che gli accadeva intorno per operare un'autoanalisi del genere. Lui era quel tipo di ragazzo che sembra pensare solo a se stesso, ma che alla fine si cura esclusivamente di come le persone lo guardano, di quello che fanno meglio o peggio di lui, perché alla fine pensare di aver la risposta giusta è la strada più rassicurante.
<La fai stare nel tuo appartamento> osservò.
Finalmente Katsuki lo fissò esasperato, per un paio di secondi Izuku ebbe paura di vedersi arrivare un cuscino addosso.
<Sì, la faccio stare nel mio appartamento. Che dovrei fare?! Non so nemmeno se devo essere io a rimproverarla. Non è strano? Insomma, farsi sgridare dal proprio figlio lo è, no?>. Izuku si limitò adannuire. Lui non poteva saperne, non aveva mai voluto litigare con Inko per il suo carattere bonario o la sua fragile indole che non riusciva a mettere da parte per rifarsi una vita come si deve. Ci aveva rinunciato quando era ormai chiaro che si sarebbe trasferita fuori da Ginevra. In fondo Katsuki non aveva avuto torto nel dirgli quanto sua madre fosse una codarda, Izuku ne era ben cosciente. Ma era lui, non il biondo a doverlo pensare, per questo si era arrabbiato quella sera sulla terrazza. Mitsuki era stata un esempio di coraggio persino quando era nella parte del male, era restata la figura forte a cui fare riferimento, perciò Katsuki non la cacciava.
<Non la voglio mandare via, ma non la voglio vedere adesso>.
Perché no? Hai passato il Natale con lei fino a poco prima della firma del divorzio, cosa c'è di diverso ora? Chiederlo sarebbe stato uno sbaglio. Katsuki si sarebbe spazientito ed in fondo Izuku, per quanto volesse sentirla da lui, sapeva già la risposta. La firma ha cambiato tutto, vero? Prima della firma c'era la possibilità di tornare indietro, di risolvere. La firma era il punto di non ritorno, un po' come quando mio padre ha accettato l'ultimo incarico ed è salito sul suo ultimo aereo.
Le due cose non erano più diverse di un pensiero ed un'azione. Entrambi fanno parte del mondo, a volte cooperano, a volte no, ma il confine è labile e per definizione non sono esattamente opposti. Un pensiero scatena un'azione, un'azione scatena un pensiero, per scissione il primo può generare un nuovo se stesso. Regole semplici, ma che incasinano gli eventi in modo irreparabile.
Tuonava e pioveva, ma il temporale non sembrava essere né più vicino, né più lontano. Il vento aveva ormai spinto l'acqua contro le vetrate e le gocce di rincorrevano unendosi e dividendosi sulla superficie trasparente. Una pensava di poter scendere con calma fino a terra, ma un'altra agiva e si attaccava a mo' di zavorra trascinandola giù con più velocità. Certe gocce ti facilitano la discesa.
Izuku si alzò stiracchiandosi ancora un po' ignorando l'espressione contrariata del biondo che si era fatta spazio sul suo viso a furia di mandare avanti il discorso. L'orologio in cucina indicava le otto e un quarto.
<Resta qui allora. Lascia che smaltisca le bottiglie di vino, una volta anche la mia l'ha fatto. È stata meglio dopo, più o meno>. Izuku non doveva dare consigli, non era bravo a farlo, voleva solo ascoltare, fornire qualche commento innocuo, aiutare stando a distanza. Ma non poteva lasciare che Katsuki uscisse con quell'acquazzone per poi rischiare di restare di nuovo chiuso fuori casa ed in fondo voleva evitargli una Mitsuki riversa nella disperazione. Quella donna impediva al biondo di entrare nel suo stesso appartamento per un motivo ben chiaro: l'aveva già vista a letto con un uomo che non era suo padre, ci mancava solo che la vedesse ubriaca. Lei era determinata a non mostrare a Katsuki il suo lato debole per la seconda volta, un po' perché voleva continuare ad essere la madre di sempre e po' perché sapeva che Katsuki aveva ereditato da lei la stessa fragilità.
Altrimenti perché quel ragazzo tanto scorbutico era lì? Perché si faceva prendere a pugni alle feste? Perché faceva sesso nei bagni della scuola con persone che a malapena conosceva?
Loro due, madre e figlio, si evitavano per non doversi guardare allo specchio.
Anche Katsuki si sollevò. Probabilmente era stanco di parlare. Chiese del bagno, Izuku gli indicò l'ultima porta in fondo al corridoio e quando il biondo scomparve dalla sua vista prese la coperta dal divano e la piegó. Sprimacciò i cuscini, mise su di nuovo il bollitore e quando Katsuki ritornò gli porse una tazza fumante di tè alla menta. Indossava ancora la sua tuta beige, voleva dire che il consiglio aveva avuto effetto.
<Ti piace, no?> fece posando i gomiti sull'isola. Katsuki prese posto su uno dei due sgabelli dal lato più esterno e mise il naso in mezzo al vapore profumato.
<Sì, te ne ricordavi>.
<Sì>.
Bevvero senza fiatare, passarono minuti interi nel silenzio. Il solo gesto di avvicinare il bordo della ceramica alla tazza era ciò che bastava a riempirlo.
Ma poi, quando Izuku mise la propria tazza nel lavandino, il senso di sbagliato lo colse di nuovo assieme a qualcosa di strano. Era la calma di prima, che si fondeva in una bizzarra commistione di sensi.
<Katsuki> lo chiamò lasciando le stoviglie. Un mormorio sconnesso si levò da oltre l'isola, era ancora seduto sullo sgabello e scorreva lo schermo del cellulare che Izuku non gli aveva visto prendere.
Il riccio lo studiò cercando di comprenderne con precisione l'umore, così da non rischiare di esser linciato sul posto. Non stava controllando dei messaggi perché non era impegnato a leggere, forse guardava solo l'ora o le previsioni meteo, sembrava essersi ritagliato la propria bolla nel suo appartamento.
<Da quando vai con gli uomini?>.
Il biondo annusò ancora un po' il tè, non dava l'impressione di esser infastidito dalla domanda, ma neanche di esserne contento.
Sospirò piano stringendosi nelle spalle ed il riccio iniziò a pensare che non fosse tanto sorpreso dal suo interesse. D'altronde Katsuki sapeva che Izuku aveva bisogno di sapere, di indagare su tutto, era fatto così.
<Se me lo chiedi è perché non hai svolto bene il tuo lavoro, vero? Ci conosciamo da quando siamo nati, sarai deluso di non averlo capito. Tu devi capire sempre tutto, non lo sopporto> e prese un sorso di tè. Era bollente, ma non fece una piega nel mandarlo giù.
<Da quanto so che mi piacciono gli uomini? Praticamente da sempre>.
Così porse ad Izuku qualche pezzo di puzzle, non disse dove doveva metterli, ne se appartenevano allo stesso quadro.
<Ah, e per tua informazione porto le lenti a contatto. A casa indosso gli occhiali- continuò indicandosi le pupille per poi spostare la mano indietro e scoprirsi l'orecchio dalle ciocche bionde che iniziavano a ribellarsi al taglio fatto chissà quante settimane prima -ho tre piercing sull'orecchio sinistro, due sul destro. Ecco, ora sai quanto basta> concluse riprendendo in mano la ceramica. Izuku lo fissava attonito. Aveva avuto paura di chiedergli troppo e invece lui aveva provveduto a dargli svariate informazioni non richieste. Chissà, magari pensava che sarebbero servite a dargli un'idea più completa della situazione e a frenarlo dal domandare altro.
Da quanto porti le lenti a contatto? Da quanto hai gli orecchini? Da quanto sei qui in casa mia? Da quanto ho smesso di conoscerti? Per contro, Katsuki scatenò una valanga di quesiti. Ma Izuku non diede voce a nessuno di loro, il biondo era riuscito a dargli "quanto basta", dimostrando di sapere ancora qualcosa di lui e della sua irrefrenabile sete di conoscenza.
In te e in me, c'è qualcosa di vecchio e qualcosa di nuovo. Izuku cercò di vedere i piercing di Katsuki una seconda volta, cercava di ricostruire il momento in cui erano comparsi, tuttavia non rammentava di essersene mai accorto e lo stesso valeva per le lenti a contatto. Si tastò inconsciamente il petto, come se si aspettasse di trovare qualcosa fuori posto, di diverso, tanto per contraccambiare le novità che gli erano state presentate. Non aveva nulla. Era assurdo, possibile che avesse lo stesso aspetto da più di dieci anni? Si toccò il viso, si scompigliò i capelli. Niente, non percepiva niente di anormale. Katsuki gli rivolse uno sguardo confuso. Che stava facendo? Che voleva trovare?
Infine comprese: sono io a vedere i cambiamenti in te e tu in me. Io che li ho vissuti non ci faccio ormai molto caso, proprio come te.


Mai immagine fu più azzeccata.
Avete letto/visto anche voi Heartstopper? Ho finito di scrivere il capitolo, sono andata sui social e questa è la prima cosa che ho visto.
Io avevo già letto i 4 libri pubblicati e da poco ho finito di guardare tutti gli episodi. Amo le coincidenze.

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