Nessuno ama le mattine d'inverno. Qualcuno le odia, che sia per il gelo o per la solitudine delle vie, qualcuno cerca di viverle con indifferenza, evitando le folate di brezza pungente, alcuni le ammirano pensando a quanto siano belle. Ma questi ultimi non le amano, le osservano solo passare come polvere al vento, attendendo che il caldo arrivi per poter desiderare il ritorno della stagione fredda. Loro rincorrono l'amore, ma non lo afferrano mai.
In inverno Ginevra allungava le proprie ombre, le distendeva e mai deludeva chi vi si celava per ritardare il proprio risveglio, permetteva alle persone di vagare un po' in se stesse e forse, quando i primi raggi si spargevano sulla neve del parco oltre i rami spogli degli alberi e la terra si riempiva di diamanti d'acqua, faceva loro dimenticare quel che avevano trovato. Una volta aperti gli occhi veniva difficile ricordare i propri sogni, ad Izuku questo lasciava sempre uno strano sapore in bocca, come se nella notte avesse inghiottito qualcosa di sgradevole e al suono della sveglia si fosse ricordato di non essersi lavato i denti la sera prima.
La domenica mattina, dopo la festa, pioveva. Tutta l'umidità della sera prima, la nebbia, il freddo, si erano condensati nel petricore che si respirava una volta spalancata la finestra della camera per far disperdere l'odore di chiuso. Per l'ammasso di coperte stropicciate, i vestiti buttati sulla scrivania, i fogli accatastati malamente in mezzo ai libri, per il disordine della stanza di Izuku si trattava di un lungo, ma breve sospiro, come l'ora d'aria che si concede ai carcerati. La prima cosa da fare era aprire la finestra, Izuku ne era convinto, era il modo migliore per svegliarsi: bruscamente, con il frastuono delle strade, mentre gli strascichi del sonno facevano spazio alla fastidiosa presa di coscienza del mondo circostante. Se avesse fatto altrimenti avrebbe solo passato minuti preziosi a rigirarsi fra le coperte, minuti che non avevano importanza di domenica, ma che per abitudine il riccio non voleva dedicare al disintorpidimento dei muscoli e alla lenta discesa nella realtà. Odiava sprecare tempo, il suo atteggiamento lo mostrava facilmente, tanto che persino chi non lo conosceva poteva dire, dal suo modo di ricacciare i quaderni nello zaino a fine lezione o dalla sua camminata quasi nervosa, che fosse un tipo frettoloso. Innumerevoli erano stati i richiami di Ochako o di Shouto al riguardo, ma lui non li aveva mai ascoltati, né aspettati. Quando uscivano al venerdì sera o al sabato era sempre il primo a presentarsi, puntuale o in anticipo, e quando Iida si palesava (si trattava di pochi minuti) si stupiva di come facesse a precederlo. Si aggiustava gli occhiali sul naso, gli faceva un cenno di saluto e gli ripeteva la solita cantilena: "Perché arrivi prima del dovuto? Ogni volta devi aspettare, non ti dà fastidio?". Izuku scrollava le spalle, ogni tanto rispondeva che non era un problema per lui.
In fondo, il riccio era abituato ad attendere. Da che ne avesse memoria l'ansia di riuscire a concludere gli impegni nei tempi previsti, se non addirittura prima, era sempre stata una compagna costante e la motivazione era più semplice di quanto si potesse immaginare: Hisashi Midoriya. Il padre, con il suo lavoro in giro per il mondo, i suoi viaggi continui e le sue lettere, era stata una presenza incostante, ma significativa, che Izuku aveva aspettato per giorni, settimane o mesi interi. Rientrava nei periodi di festa, di ferie o per le occasioni speciali, come i compleanni, di cui non ne perdeva uno, ed il piccolo ragazzino che correva su e giù per le scale teneva in gran considerazione le occasioni in cui Hisashi tornava a casa. Che fosse per contatto diretto, quando il padre lo abbracciava al suo rientro, o indiretto, fra lettere spedite da chissà dove ed i racconti di Inko, Izuku aveva presto maturato una sorta di ammirazione per lui, mista ad un affetto che trovava la sua miglior forma nelle parole che Hisashi spendeva nella sua corrispondenza con la moglie. A quelle epistole il ragazzo attribuiva un valore inestimabile, poiché non conosceva nessuno a cui i genitori scrivessero in una calligrafia tanto curata, quanto satura di nostalgia. Suo padre, come si era detto negli anni a venire, era un uomo di altri tempi ed aveva l'impressione di non esser mai riuscito a comprenderlo appieno. Ammirarlo era solo una forma di affetto, di lui ricordava la presenza, l'odore dei luoghi in cui era stato che si portava appresso, il fruscio della carta di qualche biglietto aereo, lo sguardo di Inko mentre lo osservava nel salotto dove Hisashi leggeva comodamente sulla vecchia patrona di pelle. Almeno in questo, pensava Izuku, era diverso dal padre.
Era importante seguire le parole, come un bisogno naturale, e nel farsi trasportare da esse era necessario muoversi. Se non camminare, anche solo far oscillare la gamba dalla sedia dava al riccio la sensazione di non star perdendo nulla nella lettura, di star assimilando, tramite gesti istintivi, il contenuto delle pagine che sfogliava. Izuku non riusciva a star fermo. Forse era per questo che ammirava e giudicava al contempo Hisashi, perché non riusciva a capire la sua calma, né il suo modo di fare contenuto, quasi studiato, che non lasciava trapelare alcun turbamento. Il padre, così gli era sembrato nell'ascoltare il silenzio della sua lettura, era un uomo incapace di farsi trasportare dal mondo reale, come dal mondo che fuoriusciva come sottili esalazioni di parole dai testi che divorava incessantemente. Aveva preso da lui l'abitudine di leggere ogni qualvolta vi fosse occasione, ma non il contegno che lo contraddistingueva e per qualche ragione questo era motivo di fierezza. Non era come lui, non in tutto, non possedeva quell'immagine nostalgica che Inko rincorreva e sperava di non presentarne mai alcuna peculiarità. Tuttavia, se davvero desiderava non assomigliarvi, perché percorrere la sua stessa strada? Perché condannare la sua assenza se alla fine era il primo a rinunciare agli impegni, a desiderare di restare nel letto alla mattina invece di esser vigile nelle giornate invernali, pronto a raccogliere le poche ore di luce che la stagione fredda lascia a disposizione?
E alla fine arrivava sempre in anticipo, lo faceva per non sentirsi dire di aver fatto sprecare minuti interi ai suoi amici, per esser certo di non dar loro preoccupazioni, per sentirsi diverso da qualcuno che a tratti dimenticava e a tratti avvertiva prender spazi nella sua testa, qualcuno che volente o nolente portava con sé sempre. Hisashi non sarebbe mai scomparso dalla sua vita, ma per sua madre ed il signor Toshinori sarebbe stato diverso: un giorno loro avrebbero riscosso l'ultimo ricordo, avrebbero sorriso e non si sarebbero resi conto che quella sarebbe stata la fine. Izuku non aveva conosciuto il padre come loro, pertanto non poteva sentirne la mancanza allo stesso modo; Hisashi pareva quasi una persona ignota a cui di tanto in tanto dedicare qualche pensiero, i più tormentosi, per non gravare su chi gli stava vicino.
Le persone, alla fine dei conti, sono molto più strane di come possano essere descritte ed il riccio prendeva se stesso come esempio. I suoi amici lo vedevano in modi diversi, i loro giudizi avevano una soggettività inconcepibile per qualunque altra mente, il loro era un modo di operare sulla realtà che sarebbe vissuto e morto con loro, come una filosofia che esaurisce il proprio fine e che si spegne nell'arte di essere e forse rinasce dai propri resti in una nuova forma che sarà lo stesso e l'opposto della precedente. Così, Izuku ed Hisashi erano due specchi posti l'uno di fronte all'altro, che si guardavano perennemente alla ricerca dei più piccoli particolari. Il problema era che Izuku continuava a vedere il proprio riflesso nell'infinità delle immagini che gli tornavano indietro e del padre non vi era nemmeno l'ombra. Non lo aveva ancora capito: Hisashi Midoriya era morto, sua madre era invecchiata, il signor Toshinori era diventata la sua nuova figura di riferimento, il suo vecchio amico si chiamava Katsuki, non più Kacchan, ed un sabato sera lo aveva visto baciare un ragazzo. Per qualche motivo questo fatto gli venne in mente prepotentemente, presentandosi come unico elemento di novità, l'ultimo colpo di scena della sua vita consisteva proprio in quell'evento bizzarro che alla domenica mattina prese a ripetersi come un bug nel sistema.
Izuku era una persona paziente, ma frettolosa, forse era per questo che la sua mente non aveva ancora digerito l'immagine del biondo contro la parete, il suono di un suo sospiro nel corridoio della casa di periferia che per brevi attimi aveva preso per una voce femminile. Ed il sangue che aveva visto colargli dal naso apparve meno vivido di quanto fosse stato la sera prima, parve scolorito, come rivisitato in una tonalità che tanto gli ricordava i suoi amati fumetti. Katsuki era davvero un personaggio singolare nella sua storia. Lui si poteva permettere tanto, ma prendeva poco, solo quello che gli andava e in quell'occasione aveva preso un pugno in faccia. E prima? Non aveva preso altro? E non lo aveva preso proprio dallo stesso ragazzo che gli aveva dato un pugno? Katsuki era un vincente, lo era stato nell'ideale che Izuku aveva da bambino, lo continuava ad essere persino a vent'anni, quando in molti subiscono svariate sconfitte. Katsuki aveva vinto contro quel ragazzo, si era preso la sua eccitazione, una fetta di dignità e la sua rabbia, non aveva rinunciato a niente.
Nell'entrare in soggiorno e calpestare il tappeto Izuku si sgranchì le gambe, distese le dita dei piedi e scivolò con la pianta nuda sul parquet, giunse infine alla cucina. Passandosi una mano fra i capelli sbadigliò e afferrò malamente il contenitore del caffè e la moka. Nello svitarla fece fatica e si chiese come avesse fatto a stringerla tanto l'ultima volta che l'aveva usata. Nel lamentarsi in silenzio commentò la scena e si disse che anche il suo amico beveva caffè a colazione, probabilmente troppo, ed immaginò e si convinse del fatto che Katsuki ruotasse sempre troppo il collettore sulla caldaia e fosse costantemente costretto ad irrigidire le dita per svitare le due parti. Ci mettevano entrambi la stessa forza, pensarlo lo fece sorridere come quando si commette uno stupido errore e, per mascherarlo, ci si scherza sopra. Fu sicuro che le mani di Katsuki stessero effettuando la stessa procedura delle sue e che in qualche modo ciò fosse un fatto divertente. Riflettendoci meglio le loro mani erano davvero simili, non solo nel modo di disincastrare la caffettiera, ma anche in quello di afferrare un asciugamano, come gli aveva visto fare la sera prima, ed in quello di protendersi nell'aria quando non si sa a cosa aggrapparsi e si trova a tentoni un appiglio, come la nuca di qualcuno che si sta baciando.
La polvere del caffè cadde fuori dal bordo del filtro, andò ad impastarsi con le gocce d'acqua sparse vicino al lavandino; Izuku, preso da un moto di fastidio, infilò il cucchiaino nel barattolo, chiuse quest'ultimo, riavvitò il collettore e lo mise il sul fornello più piccolo prima di accendere il fuoco. Gli faceva male la mano, magari questo poteva essere un punto di divergenza fra lui e Katsuki, uno dei tanti. A lui non poteva far male niente, il riccio ignorò momentaneamente l'espressione sconfortata, ma impassibile, che il biondo aveva avuto a dicembre, sulla terrazza di Veyriere, che non molto si differenziava da quello della festa. Omesso questo particolare, Katsuki poteva restare il ragazzo di cui Izuku sapeva tutto quello che gli bastava sapere, cioè che fosse qualcuno di ormai distante. Ma riportare agli occhi l'immagine di quella giacca di pelle calante dalle sue spalle e del giovane che gli stava addosso, con l'aggiunta di quelle dita affusolate intente a contrarsi per il piacere dell'atto, gli dava una nausea capace di cancellare l'indifferenza che voleva dedicare a certi pensieri. Era interessato all'accaduto della sera prima, pensare al caffè era stato solo un tramite affinché se ne rendesse conto.
Era attratto dalla particolarità del tutto, di per sé il suo era l'atteggiamento di chi è affascinato da un evento per le domande che gli suscita. Tuttavia, se avesse visto chiunque altro al posto di Katsuki dubitava che la cosa lo avrebbe toccato a tal punto dal chiedersi cosa avesse portato quelle due persone in quell'angolo di periferia, a schiacciarsi contro una parete, a discutere e a far finire il biondo sulla sua macchina. Conoscere Katsuki era uno dei fatti scatenanti della sua curiosità. Non aveva formulato all'istante una tale idea, eppure nel torpore della domenica giunse a far affidamento su alcune, strane cose: la prima era che il caffè doveva essere essenziale anche per Katsuki, la seconda che il ragionamento gli fosse sfuggito di mano e la terza che risultasse palese l'importanza di una premessa. Katsuki doveva aver già baciato degli uomini, gli fu chiaro, senza bisogno di spiegazioni. Così doveva essere e così era, ma ciò non si sarebbe potuto dire un fatto più rilevante di altri, se non che ad Izuku non sembrava comprensibile una cosa del genere. Aveva visto l'amico crescere, essere suo rivale, diventare il bullo delle medie, del liceo ed infine allontanarsi completamente da lui. Non si era mai domandato come fosse la sua vita al di fuori del rapporto che avevano avuto, veniva naturale la conseguenza che le sue avventure, come quelle del riccio, non fossero mai state prese in considerazione come parte dell'insieme. Al punto di singolarità di dicembre, nella rivelazione di Katsuki riguardo al divorzio dei suoi genitori, Izuku non si era reso minimamente conto che cose del genere concorressero direttamente alla motivazione di quella conversazione, del silenzio nella sua 911 mentre lo accompagnava a casa a due settimane di distanza e del modo brusco ed inevitabile con cui non si erano salutati.
Izuku aveva peccato di disattenzione e ovviamente avrebbe dato a questo un'importanza spropositata. Possedeva intuito, capacità di osservazione, ma la svogliatezza delle giornate passate rinchiuso nel proprio mondo a volte gli dava alla testa e dimenticava tante cose, come svegliarsi in modi più gentili, scrivere a sua madre nelle sere libere, dare maggior considerazione a chi per lui non ne aveva abbastanza. Dare più di quel che si riceve. Era un insegnamento sbagliato che cercava di rifiutare. Dare anche nel prendere, dare per avere, dare per non dover perdere, in qualsiasi modo potesse riformularlo era ineluttabile la conseguenza del dover cedere qualcosa e guardare il mondo giocarci come un bambino con un aquilone, che ad un certo punto si stanca della novità divenuta noia e lascia andare il filo liberando l'oggetto che con tanta smania aveva preteso.
Ritornava ancora la convinzione di esser in difetto di qualcosa che stimolasse l'interesse degli altri e persino il proprio, si investiva del ruolo di giudice mentre faceva colazione e si accusava e condannava, non provava a difendersi.
Negli ultimi due anni aveva cercato di avere tanto, ma mai abbastanza e la sua sete lo aveva portato a quella domenica mattina, appoggiato sul bordo della cucina, a fissare la moka che gorgogliava mentre il caffè finiva di salire. L'odore della bevanda aveva presto invaso la stanza, Izuku pretese di inspirarlo come si faceva con il fumo, gustandone l'amaro che traspariva sotto alla sensazione di piacere che dava. Ma non tossì, né deglutì per smacchiarsi dal sapore, il caffè non era tabacco, il tabacco non era caffè, e non era in vena di dedicarsi ad un vizio non vizio.
Tornò a Katsuki e alla sua scioltezza nel fare e nel dire, all'idea che a baciare qualcuno non ci volesse un grande impegno e che in fondo le loro fossero semplici avventure della crescita. Vi era chi ne aveva molte, chi poche, chi da poche ne avrebbe avute molte, ma non il contrario ed Izuku conosceva il sapore delle sigarette, del caffè e per quanto riguardava le persone aveva avuto esperienza solo delle donne e di nient'altro. Katsuki era diverso da lui per questo. Tolte le insicurezze, gli affanni dell'adolescenza, i punti di convergenza, loro due non si trovavano mai sugli stessi binari. Amici e sconosciuti, nella sua vita aveva queste due cose e pochi attimi di calma a disposizione; che qualcuno come Katsuki, in cui amicizia ed ignoto esistevano l'una sotto i pesanti strati dell'altro, avesse avuto il desiderio di ricercare il divertimento nella durezza di un giovane scorbutico quanto lui gli dava un senso di giusto e di sbagliato. Forse un giorno di scuola come tanti altri aveva sentito correre la voce che il biondo avesse deluso le aspettative di qualcuno, di una ragazza di un altro corso di cui non si sapeva il nome, che la loro breve frequentazione era andata a finire in un litigio. Izuku si ricordò di questo e fu investito nuovamente dalla marea dei pensieri.
Lei non era nessuno, lui era quello nuovo, lui non era interessato, lei sì, lui era solo curioso, lei troppo gentile, lui si era tirato indietro subito e la frustrazione della ragazza non lo aveva scalfito per niente. Lo aveva sentito da Mina per pura distrazione durante una lezione del professor Aizawa, la sua voce era modulata in un sussurro che a malapena riusciva ad udire e poco gli sarebbe importato di origliare, ma le ore erano lente e l'attenzione calante, scarabocchiare sul quaderno non era più il passatempo migliore. A lui erano bastate poche frasi. "Ha quasi pianto, mi dispiace per lei. Katsuki non ha cuore per certe cose, ma è onesto, credo abbia fatto bene a dirle di smetterla di cercarlo" nel parlare picchiettava la penna sul libro, la carta assorbiva i colpi in piccoli tonfi sordi, Izuku aveva drizzato le orecchie per seguire il ritmo di un racconto di cui già conosceva il finale. Oltre ad essere un ragazzo propenso ad attaccare briga per un nonnulla, Katsuki aveva la fama di non aver grande interesse per le relazioni e che spesso e volentieri le sue avventure fossero frutto di un'intesa momentanea. Era una natura che Izuku e molti altri studenti e studentesse potevano comprendere, dopo tutto era normale il dare, il ricevere, il prendere ed il perdere, con rispetto o con arroganza non importava: i giovani riescono a crescere nel solo modo che imparano e questo...beh, vien da sé nella vita, diverso per tutti ed uguale per nessuno, simile ma non troppo, dolce e terribilmente amaro. Perciò non era stato interessato molto all'accaduto, non lo era neanche quella domenica di gennaio, ma riportare a galla certe fragili voci di corridoio, le solite delle scuole, lo portò a guardare il biondo sotto una luce distorta. Katsuki cozzava con chiunque incontrasse. Qualcuno era esageratamente molle con lui, qualcuno troppo scontroso, altri ancora indecisi sul come comportarsi. Ma il riccio sapeva, fin dall'infanzia, che a lui piaceva solo chi non si sforzava di venirgli incontro, chi non sprecava parole, chi non si offendeva per le sue risposte acide, ma diceva in silenzio la sua al riguardo, chi, in parole povere, era sincero. Così il biondo non era davvero cambiato, forse nella quiete che aleggiava in quel bagno, nella 911 e nella via di casa significava che Izuku era accettato, anche se con fare quasi brutale, da lui.
Durante il viaggio, fra un semaforo ed un incrocio, gli era parso un fantasma, lo stesso che vedeva nel sorseggiare il caffè, sbiadito nella ceramica ormai vuota, con grumi di zucchero pronti a restare aggrappati al fondo fin quando qualcuno non avesse afferrato un cucchiaino per grattarne via la ruvidità.
Si raccontava la storia di un ragazzo e di qualcuno, la solita che in molti conoscono, quella di un viaggio lungo anni che ti fa arrivare ai vent'anni in una bufera di avvenimenti e che poco conforta chi vi finisce in mezzo. Era la sua, era la storia dei suoi amici, di Katsuki, di un nessuno che era chiunque.
Il tintinnio del metallo contro la tazza si disperse per la casa e lo stesso fece il respiro mezzo trattenuto del riccio. Posarla nel lavabo fu un gesto che mise in pausa la cascata di ragionamenti che aveva dentro, nel piccolo mare che racchiudeva era rimasto spazio per poco, in settimana avrebbe dovuto gettar via molte delle cose che aveva raccolto, proprio come si fa con i vecchi file di un computer che, rimasti a stagnare abbastanza, finiscono nel cestino della memoria. L'alba era passata mentre dormiva, la via si stava illuminando, ma Izuku aveva paura al pensiero di esser toccato dalla luce. Non era pronto a svegliarsi del tutto, voleva restare vicino alla cucina, bere altro caffè, immaginare ancora per un po' quello che le altre persone stavano facendo e tornare a divagare sul come e sul perché Katsuki si trovasse nel mezzo delle mattonelle di un sentiero di considerazioni superficiali e non.
Izuku amava le mattine, in particolare quelle del fine settimana, ma il freddo dell'inverno lo costringeva nel torpore della mente, forse doveva sgranchirsi, cambiarsi, fingere di studiare per un paio d'ore e aspettare che le distrazioni tornassero a fargli visita. Le briciole della notte erano cadute ormai a terra assieme alle rimembranze della festa, per poco si sentì talmente povero, svuotato dal modo in cui aveva corso a meno di un'ora da quando si era alzato, la testa gli doleva come i muscoli dopo un riscaldamento malfatto. Poteva spazzar via quei resti, tuttavia si sentì più propenso a lasciarli sul pavimento e nel caso il buco nero che sentiva nello stomaco, brontolante per la miseria che aveva ingerito negli ultimi giorni, gli avesse dato problemi lo avrebbe saziato con essi. Lui si nutriva di cose prive di forma come quelle, si tormentava continuamente per aver nuovi oggetti volatili come parole con cui svagarsi. Il gusto di quelle che aveva trovato era un mistero, non sapeva dire se la cosa lo incuriosisse o lo facesse innervosire. Ringraziò comunque di potersi dedicare a qualcosa, le domeniche erano troppo noiose senza i ripensamenti del sabato che si trascinavano fino al giorno dopo.
Nella stagione fredda faccio sempre più fatica a trovare del tempo libero. Non che ciò sia dovuto allo studio, in fondo il più delle ore lo perdo nelle piccole distrazioni del giorno e alla sera poco conta quel che non ho fatto, sono un disastro nel rispettare i programmi che io stessa mi faccio.
Cerco sempre di metter mano su qualche lavoro lasciato in sospeso, come capitoli abbozzati o faccende di casa rimandate con un "Lo finisco dopo" continuo. Fino ad un paio di anni fa novembre era un mese che gradivo di più, ora mi ritrovo ad esser più stanca del solito, mi auguro che per voi sia diverso.
L'università è un mondo difficile, ma non ho fatto fatica ad adattarmi ai nuovi metodi di insegnamento, credo piuttosto che il mio modo di fare riservato mi abbia costretto come al solito nella piccola bolla di sicurezza che tanto mi piace e mi deprime al contempo. Sarà il freddo, forse dopo i primi esami riuscirò a mettere un piede fuori.
Nonostante questo pensiero mi sento come svuotata, un po' come Izuku, al pensiero di esser sempre in ansia per trovare qualcosa su cui concentrarmi che non sia la scuola o qualche vecchio problema irrisolto.
Prima di trasferirmi ho visitato la città in una giornata di pioggia, non avevo controllato il meteo, io e la mia amica, ora mia coinquilina, abbiamo incrociato due ragazze all'ingresso di una delle sedi. Una stava aspettando l'altra, dovevano aver appena sostenuto un esame perché alla domanda "Com'è andata?" l'altra ha risposto "Di merda". Persino in quel momento, come adesso, pensavo che non avrei avuto nessuno ad attendermi dopo una qualche prova.
Mi sono allontanata da tante cose, ho voluto cambiare città per questa ragione, in fondo non mi aspettavo grandi cambiamenti e così è stato.
Mi sono dilungata tanto, ma mi fa piacere condividere la mia esperienza con voi. Forse dovete ancora pensare all'università, forse ci siete già, in un caso o nell'altro il mio è un modo di confrontarmi con voi. In periodi come questo, né vivi né morti, buttar giù qualche parola di troppo come sto facendo aiuta a sentir meno il gelo che portano.
Riguardo alla storia va a rilento, ma va. È certo che per come le cose mi stanno andando farò fatica ad aggiornare in tempi brevi. È il solito sali e scendi, con giorni in cui ho voglia di scrivere, ma vorrei che le parole comparissero per magia sullo schermo del computer.
Izuku si è ritrovato di nuovo a pensare a Katsuki, né come amico, né come conoscente, forse più come un proprio simile in cui risaltano le diversità che ha con il riccio. In un certo senso questo lo incuriosisce nonostante continui a ripetersi di conoscere Katsuki, ma forse non si rende conto che chi conosce è ancora il vecchio Kacchan che rincorreva nel parco. Inizia ad intuire, comunque, che i cambiamenti a cui sono andati in contro entrambi li accomunano e li allontanano. Esser straniti da questo è normale, non credo ci sia modo per capire come comportarsi in certe situazioni, a volte il tempo passa e si dimentica un po' di tutto, altre volte si resta coinvolti in qualche ripensamento di troppo. È davvero bizzarro aver a che fare con un passato tanto distante da sembrare vicino.
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