1- Perla
Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa piacere così come sei! Quindi vivi, fai quello che ti dice il cuore, la vita è come un'opera di teatro, ma non ha prove iniziali: canta, balla, ridi e vivi intensamente ogni giorno della tua vita prima che l'opera finisca priva di applausi.
(Charlie Chaplin)
1-Perla
Il suono della moto che accelerava, il vento che le sfiorava la pelle bianca e pallida mentre ascoltava lo strimpellio della chitarra proveniente dalla camera del figlio del vicino, rendeva la sua vita follemente perfetta. Salutò con la mano la vecchia signora Brompton che portava – come di consuetudine- Bobby a passeggio. Bobby era il suo cane da compagnia, un tenero chihuahua molto bruttino e di statura minuta, talvolta anche antipatico. Non permetteva a nessuno di avvicinarsi, e per chi ci provava avrebbe dovuto fare i conti con l'ospedale qui vicino.
Ridacchiò ripensando a quando William, un compagno di giochi di vecchia data, provò ad avvicinarsi. I risultati furono – naturalmente – disastrosi. «Maledetto cagnaccio!» urlò senza sosta tenendosi stretta la mano insanguinata. Il cane di tutta risposta alzò il muso risentito e con fare quasi arrogante si diresse verso la propria dimora.
Una ciocca dei suoi voluminosi capelli le attraversò il viso procurandogli un lieve fastidio. In questo periodo stava odiando la forma dei suoi capelli. Era un biondo abbastanza chiaro, che all'apparenza potrebbe sembrare un bianco latte, che stonavano con le piccole lentiggini che spesso le uscivano d'estate. Inoltre erano un ammasso di capelli e talvolta pettinarli diventava una vera scocciatura.
Ripensò a Emily Primpton sua compagna di classe delle medie famosa per i suoi lunghi e fluenti capelli. Li portava sempre legati in una splendida treccia e non c'era giorno che non apparissero così maledettamente perfetti. Prese stizzita la ciocca e se la riportò dietro l'orecchio.
Rinchiuse la finestra dove era stata appoggiata fin a quel momento e si diresse verso la sala pranzo. Sul tavolo era distribuita una abbondante colazione che purtroppo – siccome soltanto adesso aveva notato il suo immenso ritardo- avrebbe dovuto lasciare. La madre spuntò dalla cucina cogliendola quasi di sorpresa.
«Xenya ti credevo già a scuola.» disse la madre notando la colazione che aveva preparato con tanta cura completamente intatta. «Non hai nemmeno mangiato? Xenya ma certe volte dove hai la testa?» sospirò la donna lisciandosi la chioma rossastra.
«Ormai lo sai che la nostra Xenya ha sempre la testa fra le nuvole.» intervenne suo padre baciandole il capo spettinato. Non aveva avuto nemmeno il tempo di pettinarsi i capelli. Ricordò di aver un piccolo pettine nel suo zaino, e raccolse quest'ultimo di gran corsa spazzolandoli in fretta e furia dopo aver salutato i suoi genitori con un: « Ci vediamo più tardi!»
Quando l'uscio della porta si chiuse alle sue spalle tirò un respiro affranto. Poteva dire di stra-adorare i suoi genitori, ma talvolta il loro sguardo oppressivo la rendeva ansiosa.
Paul e Maria, però, non erano i suoi genitori biologici. Ero stata ben sì un'orfana, ma erano passati molti anni che ormai non sentiva più quella sensazione.
Nonostante avessero cercato in mille modi di non viziarla le era impossibile rinunciare ad un loro abbraccio, ad una loro carezza. In quel tempo in cui era stata rinchiusa in orfanotrofio aveva abbandonato qualsiasi contatto fisico con l'essere umano. Le risultava ripugnate la sua stessa razza ritenuta come una razza sporca e meschina. Aveva vissuto la propria vita rinchiusa nel suo guscio fatto di amarezza e rabbia. La rabbia contro chi l'aveva abbandonata, contro chi fingeva di aiutarla per poi pugnalarla alle spalle e la rabbia contro chi la maltrattava.
In quei momenti desiderava dispertamente di morire affinché non sprofondasse sempre più nell'oblio. Perché il dolore era capace di uccidere. Era facile entrare nel guscio, ma non era altrettanto facile uscirne. Con il tempo aveva smesso di provare alcun tipo di sentimento e soltanto la rabbia predominava sulla ragione permettendole di vivere. Quando Paul e Maria vennero all'orfanotrofio, non erano lei che volevano.
Però per chissà quale scherzo del destino, lo sguardo di Paul cadde proprio su di lei. Quella sua voce calma e soave sosteneva di poterla aiutare e riuscire a privarla del dolore. Non ne sapeva il motivo, ma in quel momento volle credergli. Pian piano con loro riuscì ad abbattere quel muro che aveva sorretto per proteggersi dal mondo esterno. Proteggersi dalla felicità e dalla possibilità di essere felice.
A passo svelto arrivò davanti alla suddetta scuola e poté constatare con sua somma felicità di essere arrivata in tempo. Gli studenti erano ancora radunati fuori la scuola ognuno preso dalle proprie faccende. C'era chi si baciava dietro le mura bianche della scuola, chi si preparava per la prima lezione, chi parlava della sua giornata, chi si lamentava e chi si scaccolava il naso.
Non nascose un lieve senso di disgusto a quella vista e girò lo sguardo. Avrebbe preferito non farlo. George Martin – un suo coetaneo di letteratura- stava salendo le scale della scuola. Era maledettamente figo soprattutto quando si grattava i capelli quando era intimidito.
Aveva sicuramente una forte presenza, non passava inosservato. Xenya però non era un sentimentalista che vedeva nell'amore un elemento primordiale e che credeva che la bontà si trovava in tutto ciò che ci circondava e che le persone non ti tradivano.
E non si era sbagliata.
La sua capacità era quella di comprendere se una persona le stava mentendo o meno. Possiamo definirlo una specie di magia. Era come una sensazione di nausea e di disgusto: la testa iniziava a girare e le gambe caminciavano a tremare. Era come se questo suo potere si indebolisse giorno dopo giorno.
Ma che senso aveva tutto ciò? Nessun senso. E tutto ciò che rimaneva dopo era il senso di vuoto e di dolore di essere stati feriti e ingannati.
La figura di Rachel raggiunse quella di George e si attaccò al suo braccio. Alla sua vista le venne il volta stomaco e quasi non riuscì a frenare il vomito che minacciava di uscire. Rachel Lambert era una maledetta sgualdrinarubapossibilifidanzati. Sin dai tempi dell'elementari era stata la sua amica più sincera, quella a cui aveva confidato i suoi segreti e insieme a cui aveva iniziato poco a poco ad aprirsi.
E anche quella volta non era stato diverso. Le aveva confidato la sua cotta per George Martin, e lei con finto buonismo aveva finto di aiutarla e sostenerla in questo piccolo amore. Peccato che dopo nemmeno due giorni dall'accaduto li avevi visti baciarsi nel parco della città.
Sembrava un film drammatico e strappalacrime, vero?
La ragazza tradita dall'amica di sempre. Le lacrime scesero da sole sul suo viso, e quel giorno l'intento di beccarli sul fatto e di urlare tutto il suo ritegno era forte, ma l'orgoglio lo era molto di più.
Si diede ripetutamente della stupida per essere stata così ingenua, così troppo fiduciosa nelle persone. Aveva dimenticato la lezione che avevo imparato nell'orfanotrofio. Chiunque può tradirti.
La vide voltarsi verso la sua direzione, il suo sguardo rammaricato e ferito non riusciva in alcun modo a scalfirla. Strinse la presa sullo zaino temendo che possa cadere a causa delle sue mani tremanti.
Improvvisamente avvertì un forte calore al petto, e una forte luce azzurra illuminò la sua maglietta bianca. Era una luce piccola quasi insignificante, ma c'era. Era la sua collana, una collana racchiusa in una piccola perla di zaffiro.
Istintivamente sollevò lo sguardo osservando una figura incappucciata fissarla sul tetto della scuola. A causa della luce del sole però chiuse gli occhi e quando li riaprì l'uomo era scomparso.
*
Il ritorno a casa fu abbastanza silenzioso. Sentì il telefono squillare, mentre sullo schermo appariva il nome di Rachel. Era un messaggio.
Mittente Rachel indirizzato a Xenya:
So che probabilmente mi odi in questo momento, so che non posso aver tutte queste pretese però ho bisogno di vederti. Di parlarti e spiegarti quello che è accaduto in queste settimane.
Spero che leggerai questo messaggio, sempre tua amica
Rachel.
Lesse il messaggio, ma come previsto lo ignorò inserendosi il telefonino nella tasca del pantalone. Osservò l'ora direttamente dall'orologio da polso che portava sul braccio e notò che erano solamente le due del pomeriggio. Richiamò a gran voce la madre, stava per richiamarla una seconda volta quando trovò il biglietto lasciato sul tavolo.
"Siamo usciti per una commissione torneremo presto. P.S I soldi sono dietro alla busta, mi raccomando non ripinzzarti di pizza. Baci mamma." sorrise leggendo le sue ultime parole e con aveva detto sua madre e i soldi si trovavano dietro al foglietto.
Decise di optare per una pizza margherita. Dopo aver ordinato il proprietario avvisò di dover aspettare almeno una quindicina di minuti, dopo di ché ringraziò per poi riattaccare.
Improvvisamente le assalì un dubbio: che cosa poteva fare in questi quindici minuti?
Uno squillo le fece dimenticare i suoi possibili e inesistenti progetti. Era di nuovo il suo telefonino. Se questa volta era di nuovo Rachel di sicuro l'istinto di mandarla a quel paese avrebbe preso il sopravvento.
Aprì il display e le apparve un numero sconosciuto. Non avrebbe dovuto rispondere, ma la curiosità era troppo forte.
«Pronto?» chiese incerta portandosi l'apparecchio elettrico all'orecchio. «Xenya, tesoro. Sono la zia Maggie.»
La zia Maggie era la sorella maggiore della madre. Aveva all'incirca vent'anni più di lei nata da una vecchia relazione del suo caro defunto nonno Mike. Non era una zia che adorava particolarmente e infondo era anche un po' svitata, ma fin da bambina adorava le sue storie. Specialmente quella riguardante il regno di Fiosterya.
«Zia Maggie, cosa ti porta a chiamarmi a quest'ora del pomeriggio?» chiese cercando di apparire cortese e interessata. «Tesoro volevo parlare con tua madre. E' in casa?» domandò con voce impaziente.
«Al momento la mamma è impegnata. Di pure a me, riferirò.» disse, cercando di non mostrare la punta di disagio che ora le stuzzicava il palato.
Se l'istinto non le ingannava, qui c'era qualcosa fuori posto.
«Non preoccuparti, non è niente di importante. A presto bambina mia.» e la chiamata si interruppe.
Guardò disorientata il display del telefono che definì la fine della chiamata. Il campanello la distrasse dai suoi pensieri verso sua zia Maggie, in un lampo raccolse i soldi e a passa felpato si diresse verso la porta.
Prima di aprila avveritì nuovamente un lieve calore al petto e la perla iniziò a brillare. Raccolse una felpa e si coprì il collo lasciano intravedere un bagliore quasi invisibile.
«Quanto le devo?» chiese al fattorino, e mentre quest'ultimo si affrettava a risponderle si voltò oltre le sue spalle dove intravide un'oscura figura. Poteva definirsi folle, poteva definirsi pazza e stupida... però quello era lo stesso ragazzo che aveva intravisto a scuola.
La perla iniziò a riscaldarsi poteva sentire il suo calore scottarle la pelle e quando il fattorino lasciò l'abitazione chiuse frettolosamente la porta respirando lentamente. Aveva bisogno di ossigeno, perché per un attimo aveva smesso di respirare.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top