1. Diamanti che si fingono Swarovski
-VICTORIA-
Musica: ♫ Mountain - Good Charlotte
Victoria Elena Rossini. Cercavo il mio nome nella lunga lista appesa alla porta d'ingresso. Di solito ci mettevo un secondo a trovarlo, la sua lunghezza notevole lo faceva sempre risaltare tra gli altri, più corti e dall'aria meno snob, ma quel giorno l'ansia mi stava giocando un brutto scherzo.
Il primo giorno di liceo, quello programmato e aspettato per anni, quel fatidico momento che avrebbe dovuto dare inizio al periodo più bello della tua vita, come tutti si ostinavano sempre a ripetermi, era finalmente arrivato; e non ci stavo più capendo nulla.
Ero a metà lista, i nomi della classe 1^A scorrevano veloci sotto al dito, ed ecco sbucare il suo: Giacomo Frullini. O meglio, Jack, il mio fidanzato: l'unico in grado di strapparmi una minima dimostrazione d'affetto e di farmi apparire vagamente umana.
Con il suo metro e ottanta di altezza, i ricci nero corvino e la giacca di pelle, Jack era il classico belloccio della scuola. Ribelle ma brillante; abbastanza da perdonargli quella strafottenza che lo contraddistingueva. D'altronde non era colpa sua; per aver passato l'infanzia con un padre alcolista e una madre sempre troppo stanca era venuto su più che bene.
Jack era bello e dannato, o almeno abbastanza pieno di problemi da andare perfettamente d'accordo con me. Non era stato un colpo di fulmine il nostro, io a quelle cose non ci credevo proprio; trovavo impossibile il poter decidere di colpo di amare qualcuno più di sé stessi.
Per me l'amore somigliava più a un patto di alleanza, una sorta di cordata per affrontare i problemi in compagnia, senza sentirsi soli e privi di senso. Perché era proprio così che mi sentivo.
Tra me e Jack tutto ebbe inizio una sera come un'altra, lontana più di un anno da quel primo giorno di liceo. Mi ritrovai i suoi ricci scuri e i suoi profondi occhi color cioccolato sotto casa, di punto in bianco. Erano le dieci di sera e avevo passato ore a cercare di mettere insieme musica e parole in una canzone, senza riuscirci. Stavo per perdere le speranze. Fui quasi tentata di accampare una scusa e liquidarlo, ma poi trovai la mia parte diplomatica, sepolta da qualche parte, e scesi.
Il Jack di quella sera era ben lontano dal bulletto che incontravo in classe ogni giorno: mi trovai di fronte un ragazzo dagli occhi lucidi e l'anima rotta, che aveva bisogno di parlare con qualcuno senza timore.
«Vic, hai un minuto?» Nessuna battuta, nessun doppio senso.
La cosa mi sorprese visto che passavamo la maggior parte del tempo a punzecchiarci o a discutere su quanto io lo trovassi arrogante.
Sì, con il tempo aveva iniziato a piacermi, era difficile rimanere indifferente a quelle labbra disegnate che si ritrovava, ma non avrei mai neanche lontanamente provato ad avvicinarlo.
Se non per insultarlo.
Era il mio strano modo di dare affetto. Anzi, di non darlo affatto. Quella sera però sembrava tutto diverso, lui sembrava diverso.
Ci sedemmo sul muretto accanto al portone di casa mia, indossavo una minigonna di jeans e una cintura di pelle nera con le borchie argentate. Il freddo del marmo, a contatto con le gambe bianchissime, era rimasto indelebile nella mia mente.
Jack mi aveva guardata come un salvagente in mare aperto. Le lacrime che velavano quegli occhi scuri erano iniziate a cadere senza pudore sul suo viso da schiaffi, di colpo più simile a quello di un bambino ferito che a quello del ragazzo più popolare della scuola.
Era davvero strano vedere proprio lui così fragile. Eppure non avrebbe dovuto sorprendermi, non era il solo a portare una maschera per sopravvivere. Il mondo era pieno di diamanti travestiti da Swarovski.
«Oggi ho perso un amico. Non lo rivedrò mai più.» Gli occhi di Jack mi avevano inchiodata, non riuscii a sfuggirgli. Il suo sguardo era pulito e sincero, come solo quello di una persona disperata avrebbe potuto essere.
Rimasi attonita. Stavo vivendo sulla mia pelle cosa volesse dire perdere un amico, ma non sarei mai riuscita a sputare fuori quel dolore come stava facendo lui. Volevo dimostrargli di sapere cosa stesse provando in quel momento, ma non riuscii a fare niente di più che posargli una mano sulla gamba.
Nel modo più goffo possibile.
Per me era inconcepibile affrontare la fragilità delle emozioni. Mostrarle sarebbe stato come far leggere i miei pensieri a qualcuno. Ero convinta che non avrei mai concesso a nessuno questo onore. Quel dolore che avevo di fronte, in verità, mi imbarazzava.
Jack abbozzò un sorriso finto mentre si asciugava le lacrime. «Avevo voglia di parlarne con qualcuno di cui mi fido, e mi sei venuta in mente solo tu.»
Gli sorrisi, pensando che in realtà ero stata l'unica persona disponibile alle dieci di sera non troppo lontana da casa sua.
Perché mai avrebbe dovuto fidarsi di me? La cinica e fredda Victoria.
Lui mi piaceva, adoravo il suo essere senza regole, il suo riuscire a spuntarla sempre in ogni situazione. Jack non si arrendeva mai, ciò che non gli andava a genio lo plasmava a suo piacimento. Aveva sempre una gran voglia di dimostrare agli altri che per lui ogni cosa sarebbe stata possibile. E, alla fine, lo era davvero. Forse era proprio questo a piacermi di lui.
Guardai quel ragazzo davanti a me, fragile e così diverso dal Jack arrogante con cui litigavo ogni giorno. Fissai i suoi occhi, erano belli come li ricordavo. La loro luce da guerriero, nonostante le lacrime, era sempre lì. Mi feci coraggio e sfoderai uno dei miei talenti: ascoltare.
Io ero quel tipo di amica che non ti racconta mai nulla, ma che resta ore e ore a sentire i tuoi pipponi drammatici senza fiatare, o al massimo sfoderando qualche perla di saggezza impossibile da usare per sé stessi.
Le parole magiche erano sempre le stesse: "Se ti va di parlare, ci sono".
Prevedibile come l'inutilità di un principe in un film della Disney, Jack iniziò a sfogarsi. Mi raccontò della sua situazione drammatica in casa, del padre che non faceva che bere, di quanto era stufo di quella vita triste, e del suo sogno di vivere di musica. Avrebbe voluto scappare via, cambiare tutto e salvare sua madre da quell'inferno che stentava a chiamare casa.
Dietro Jack, il belloccio arrogante, c'era un ragazzo pieno di sogni e poche risorse per realizzarli. Mi sentii subito connessa a quella sua voglia di riscatto. La mia mente cominciò a pensare che, forse, era stata quella sua profonda voglia di cambiare vita a spingerlo a fidarsi di me. Io sola avrei potuto capirlo, tra tutti i nostri amici dalla vita semplice e piena di gioia.
Era bello per una volta sentirsi simili a qualcun altro.
Così il minuto per parlare si trasformò in ore, tante ore. Lui aveva scelto me; tra mille ragazze decisamente più empatiche, Jack si fidava di me. Di una che a stento riusciva a fidarsi di sé stessa, della persona meno adatta sulla faccia della Terra a consolare qualcuno.
Parlammo tutta la notte e, dopo avergli rivelato un accenno della mia collezione di tragedie, ci lasciammo alle quattro di mattina.
Non sapevo come salutarlo, non volevo fargli capire che quella conversazione avesse in qualche modo cambiato il nostro rapporto.
Perché era cambiato.
Aprii il portone facendo un gran baccano, per interrompere il gelido silenzio tra noi.
«A domani», dissi, pensandoci un po' troppo.
Al mio saluto asettico e impacciato, Jack sorrise. Io feci per andarmene, ma lui mi prese il braccio e mi strattonò verso di sé, cogliendomi di sorpresa. Mi diede il bacio più bello che potessi immaginare. Il muro che avevo sempre posto tra me e gli altri iniziò a vacillare.
Errore fatale.
Nel momento in cui le nostre labbra si sfiorarono, scattò qualcosa in me e iniziai a familiarizzare con l'idea che saremmo stati una squadra: insieme, uniti contro quello strazio chiamato "vita quotidiana". Con il tempo capii che anche lui aveva provato la stessa cosa.
E la prima tappa importante sarebbe stata proprio il liceo. Insieme, io e Jack, avremmo potuto costruirci una vita su misura e sognare di lasciarci le nostre problematiche famiglie alle spalle.
Dovevamo assolutamente finire nella stessa classe.
La colonna della 1^A stava finendo, e ancora non vedevo il mio nome nella lista. Continuai imperterrita, ma nulla. Proseguii anche sotto e poi, alla fine, eccolo: Victoria Elena Rossini... 1^B.
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