La notte perduta : La maledizione dell'oceano Atlantico

Gli lasciai una dolce coccola, la dove quel candido lembo di pelle bruciava al mio solo contatto. I nostri respiri simbiosi, che si infrangevano sulle nostre pelli, un mio braccio che cingeva quel minuto ragazzino, così come i nostri corpi completamente nudi e appiccicati in un incastro prefetto, coperti solamente da una fresca lenzuola bianca che sapeva di noi. Di una nostra nottata piena d'amore e di desideri repressi per ben due anni.

Ora essere lí con lui, sopra di lui. A guardare ogni suo delicato dettaglio e a sentire finalmente quel mio piccolo pezzo di personale paradiso ricongiungersi con il suo pezzo mancante, riuscivo a ritornare a respirare per davvero. Era come se da prima di questo momento, i miei polmoni non mi richiedevano altro che ossigeno per sopravvivere. Ossigeno che portava unicamente e solamente un nome. Kim.

Era solo di lui che necessitavo per essere completo. Per sentirmi me, per sentirmi finalmente a casa.

Le nostre labbra desiderose di riappropriarsi di quel sapore che tanto ci mancava, si congiunsero. Da prima carezze delicate e impercettibili come petali di rose, per poi divenire molto più profonde e bisognose come fuochi che non volevano ancora dissopirsi del tutto, ardenti che consumavano quel legno che li alimentava.

Delicato come una farfalla, consapevole di avere davanti un solo miserabile giorno di vita a disposizione, mi riappropriai di quel corpo caldo che tanto amavo, affondando con massima cautela tra quelle pareti strette, già pronte per ospitarmi.

Mi spinsi più a fondo, separandomi dalle sue labbra, solo per imprimermi al meglio ogni sua espressione. I capelli castani che dolcemente gli ricadevano sudati sulla fonte, incorniciavano un bel piccolo volto ovale dalla pelle olivastra, ora un po' rossastra. Due gemme castani al posto degli occhi, tanto erano belli, quanto armoniosi, riflettevano ogni sua luce, emozione. Le labbra rosee dischiuse, che richiedevano urgentemente un mio bacio. Le sue gambe che si stringevano ancora di più intorno al mio bacino, come a volermi incatenare del tutto a sé, senza mai più lasciarmi andare. E le sue unghie che graffiavano la mia pelle, dolci suoi sospiri erano musica per le mie orecchie. Tra quelle braccia che cingevano con disperazione il mio collo, ci sarei anche passato volentieri le mie ultime ore di vita. Se c'era lui con me, me ne sarei anche potuto andare in pace, con la mia anima poco più leggera come una delicata e candida piuma lasciata andare da un angelo bianco.

Arrivò molto presto il frutto della passione ardente come le alte fiamme che dominavano l'inferno, esplodendo in un dolce nettare creato dai nostri corpi.

« Tornerai da me ? »
Mi sento chiedere un momento prima di chiudere un poco gli occhi, con la voce che cerca una rassicurazione a cui aggrapparsi. Come se io fossi stato il suo unico appiglio a quella riposta. Come se io fossi stato quella roccia che cercava di tenere a galla il marinaio in mare, nonostante la forte tempesta che cercava di portarselo a tutti costi via. Via da me.

Lui era il marinaio che aveva bisogno di aiuto.

« Farò tutto il possibile per farlo. Ma nel frattempo non dimenticare di quanto io ti ami » e nel frattempo, nascosto con il viso nell'incavo del suo collo, sicuro che non mi potesse guardare, lascio scendere dagli occhi lacrime amare. Amaro come il sapore che sta annientano poco per volta il mio cuore.

***

Lo strinsi a me, come se fosse stata l'ultima volta che avrei potuto farlo. Forse un poco così lo era. D'altronde, con il lavoro che faceva sapevo che c'era il rischio che non sarebbe potuto neanche più ritornare a me.

A questo pensiero un brivido mi sconquassa non solo il corpo ma anche l'anima. Cercavo di pensare al meglio, ma la paura che io sentivo vinceva sempre. Riaprii gli occhi, puntandoli verso il cielo, la dove il timido sole stava per sorgere, rischiarando pian piano quel buio illuminato dal chiarore delle stelle, se si faceva abbastanza attenzione ne vedevi sparire qualcuna. Una piccola rappresentazione che in questo momento ci stava definendo alla grande.

« Vado, ma cerca di avere cura di te e sta' lontano dai pericoli » mi disse staccandomi dolcemente da lui.

Ci guardammo, io con la speranza di rivederlo presto, di riaverlo nuovamente con me, sano e salvo e lui con lo sguardo carico di preoccupazione per me. Non volevo che se ne andasse senza avere il cuore leggero. Non potevo permettergli di partire con la costante ansia. Doveva stare tranquillo.

E fu lí che incrociando le mani tra loro, come in una preghiera, riposi la fiducia verso chi da la sú avrebbe fatto attenzione e chi si fosse preso cura dell'uomo che amo.

Ora non mi restava altro che aspettare quel giorno...

« Sta' attento anche tu ».
Gli dissi con un debole sorriso. Sorriso appena ricambiato, anche se impregno di tanto dolore.

Abbassò la testa e senza dire più una sola parola fece un passo indietro. Volevo dirgli di rimanere, di non andarsene più, ma questo non sarebbe stato giusto nei suoi confronti.

Mi voltò le spalle e in quel momento, sentii il mio maledetto cuore egoista staccarsi pezzettini per pezzettini, disintegrandosi del tutto in poltiglia di macerie.

Più lo vedevo allontanarsi. Più iniziavo a sentirmi incompleto, come un pezzo di puzzle disperso dagli altri suoi pezzi.

***

Dopo mesi di navigazione tra quelle acque violente per il vento, dove il solo sole splendeva ventiquattro ore su ventiquattro, finalmente i miei piedi toccarono terra ferma. Nonostante fossi fermo, continuavo a sentirmi ancora intontito, sballottato qui e la.

Ma dopo avere annodato al meglio la nave, cosicché non si allontanasse dal posto, girandomi mi accorsi che non era una semplice isola. C'era qualcosa di strano, inquietante e tetro.

Scheletri impolverati e per metà disintegrati regnavano su quella specie di piattaforma piatta, che mostrava il mondo intero. E poi lo vidi, l'amore mio. Se ne stava lí, in riva al mare, con gli occhi puntati verso l'orizzonte, con la speranza di rivedermi. Tra le mani un ciondolo.

Il mio cuore sussultò, perché quello, era la parte mancante dell'altro pezzo del ciondolo che gelosamente tenevo al collo. Il cielo pieno di stelle da fargli lo sfondo, come un dipinto fatto a mano ricreato su una tela, il vento che gli scompigliava quei fili di capelli che sembravano essere tessuti a mano. Era così distante, irraggiungibile e inafferrabile. Lacrime di mancanza e tristezza, varcavano il mio viso marcato, macchiandomi la pelle abbronzata, i capelli ricci che ad ogni mio movimento, gli sentivo muoversi leggiadri.

Guardai il tutto, senza poterlo raggiungere. Rotto a metà come la spaccatura che la terra ha subito dopo una forte scossa di terremoto.

Alzai la testa disorientato e lí, vidi una figura eterea venirmi incontro. La sua vestaglia bianca di seta che passo dopo passo finiva calpestata sotto ai suoi piedi scalzi, incorniciava quel esile e denutrito corpo, la pelle bianca cadaverica in netto contrasto con quegli occhi azzurri e profondi e con i capelli medio-lunghi biondi e mossi.

***

Finalmente la mia dolce attesa era lí. Mi aveva raggiunto su quell'isola dove la notte non scendeva mai, questa maledizione che avevo lanciato veniva soprannominata la notte mancata.

Il sole ardente che c'era, illuminava la sua pelle rendendola sempre più bella. Un miraggio che i miei occhi, da troppo tempo, avevano osservato di nascosto e desiderato. Lo avevo voluto sin dalla prima volta che il mio sguardo si era posato sul mio personale monitor.

Io che da anni ero confinato qui, io che da anni venivo continuamente tradito dalla fiducia degli uomini. Io che non riuscivo più a fidarmi. Io che dalla prima volta che avevo posato lo sguardo su questo possente uomo, avevo capito che lo volevo ma che non potevo averlo. Io che sentivo il bisogno neccessario di avere il mio salice piangente affianco al mio, cosicché potessi andarmene in sacrosanta pace. E l'isola altro non sarebbe stata, ciò che da anni prima del mio arrivo era. Un'isola pacifica, regnata tra le acque pacifiche di un oceano Atlantico finalmente illuminata dalla luce e dal calore delle stelle e la luna. Sarebbe stata libera da quel maleficio.

Io che per un mio errore commesso, ero stato costretto ad abbandonare la mia amata Groenlandia. Io figlio di un demonio e di un angelo bianco, non ero riuscito a mantenere la calma. Io che di quiete non riuscivo ad avere. Ero impetuoso come un tornado devastante.

Io che così arrabbiato e dopo avere capito che la mia vita era stata una menzogna e io che in questa non avevo alcun scopo, avevo scoperto che ero un esperimento mal riuscito. Un reietto. Creato da menti umane malate, avevo innescato un vero e proprio incendio, che aveva costato la vita alla mia vecchia città. Avevo perso tutto.

Ma ora.... Ora non ero più disposto a perdere più niente. Quell'uomo era la mia unica salvezza e con me per sempre sarebbe stato.

« Sono Eliad, mio amato capitano Rik e ti ringrazio perché sei venuto qui per salvarmi » dissi amaliandolo con il potere che i miei occhi avevano acquistato.

Ancora occhi negli occhi e con lui completamente soggiogato dalla mia stregoneria, mi avvicinai cautamente a lui. Gli accarezzai una guancia con più delicatezza possibile, per via della paura di vederlo scomparire da sotto ai miei occhi.

Vedevo che mi guardava, ma sapevo che dentro era vuoto, come un involucro senza anima e cuore. Il suo di cuore ora era nelle mie mani, completamente sotto alla mia disposizione, come i fili dei burattini.

Ma non avrebbe fatto la fine di tutti quegli uomini che venuti sulla sua isola, erano finiti incontro alla morte, come pesci che venivano annescati alle lenze dei pescatori.

« Voglio vedere le vostre lacrime ».
Gli sussurrai baciandogli la fronte.

Sapevo che nonostante tutto, la sua mente ancora ricordava. Così come ricordava il suo amore che lo aspettava e che mai avrebbe più rivisto.

Ora questo uomo mi apparteneva.

E ciò che attendevo di vedere non si fece aspettare.

Lacrime di pura rassegnazione, lacrime di chi ancora ricorda. Lacrime di chi sa che non può più appartenere dove in realtà vuole. Perché ora la sua vita é qui.

Con i pollici e con un dolce sorriso, gli scacciai via quelle gocce di pioggia e preso il volto tra le mani, feci congiungere le nostre labbra.

Lo baciai con ardore. Prendendo le sembianze del ragazzo che ancora era nel suo cuore e lasciai che quell'illusione si riflettesse nella sua mente, ma specialmente nel suo organo vitale, che sentivo battere anche attraverso lo scorrere del mio sangue nelle vene. Battevano in un'unica cosa.

Vidi che finalmente ricambiò il mio gesto, cingendomi la vita. Quel bacio ci avrebbe sacrificato la vita. Rendendola una seconda vita.

« K-Kim ».
Sussurrò dolcemente sulle mie labbra, e io lo lasciai parlare, sentii udire quel nome che non mi apparteneva. Lo lasciai semplicemente fare.

Il bacio continuò, finché la reincarnazione non avvenne. Pian piano stavamo divenendo quei salici piangenti, che a lunga vita avrebbero vissuto su quell'isola. Sempre uno di fianco all'altro, con i rami che si intrecciavano tra loro. Il vento che sino ad allora ci aveva accarezzato, finalmente lasciò spazio alla quiete della sera. Il sole venne sostituito dalle creature notturne. Finalmente, come promesso, la maledizione venne spezzate e la mia anima finalmente venne purificata.

***

Aspettai come sempre il ritorno del mio amato, in lacrime. Lí sulla riva del mare, dove ci eravamo detti addio.

Ogni sera mi recavo lí, con la speranza di rivederlo, ma quando ciò non avveniva ecco che la mia speranza di affievoliva, come una fiammella spenta dal vento entrato da una finestra lasciata aperta.

In cuor mio, sapevo che forse non lo avrei più rivisto, che non avrei più abbracciato l'amore della mia vita. Sentivo che gli era successo qualcosa. Qualcosa di terribile, ma nonostante tutto, ogni sera lanciavo sempre una preghiera.

Una preghiera lanciata da un anima crogiolata dall'ansia e dal terrore. Un anima tormentata ogni notte da incubi.

Rigirai tra le mani quel ciondolo, unico ricordo e lo strinsi al petto.

gwen_night

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