8 - Sabato Romano
Seduto a un tavolino, Mattia sbadigliò.
Più che il sonno, era la noia a roderlo, visto che aveva un'ora intera d'anticipo.
Aveva sbagliato a puntare la sveglia, col risultato di essersi ritrovato a correre fuori casa alle sette del mattino, convinto di essere in tremendo ritardo.
Aveva anche mandato un messaggio a Lorena, per prevenire catastrofici incontri, ma quando si era accorto dell'orario lo aveva cancellato.
Meglio evitare di darle materiale con cui prenderlo in giro.
Così, Mattia si era rifugiato nel bar più vicino, ad aspettare.
Si era reso conto di non avere il numero di Hoshino, e anche che non c'era motivo di chiamarla.
Il percorso scelto con sua sorella non era niente male, era abbastanza breve da poterlo seguire con calma in una mattinata e toccava i monumenti più importanti.
In fondo, la Città Eterna non andava da nessuna parte, quindi se lei avesse voluto avrebbe potuto portare Hoshino a visitare qualcos'altro in ogni momento.
Di sicuro, non serviva trovare una motivazione per convincere Lorena a uscire di casa, soprattutto se poteva girare per negozi.
Via Condotti, la loro destinazione del pomeriggio, sarebbe stata un incubo, lo sapeva.
Mentre sbadigliava, Mattia diede uno sguardo all'orologio. Le nove precise.
Per sua fortuna, tra i tanti difetti della sorella non c'era l'arrivare in ritardo, e per quello che aveva potuto vedere Hoshino era più puntuale di una pendola svizzera.
Nonostante quello, gli restava comunque mezz'ora buona di attesa, da solo, in un bar davanti a una stazione della metro.
Non il modo migliore per iniziare un sabato mattina.
Guardare i passanti gli era venuto a noia in fretta, ma non gli veniva in mente nulla di meglio da fare. Gruppi di turisti, italiani o stranieri, si riversavano dentro e fuori dalla stazione, diretti ai monumenti dietro bandierine colorate.
Di colpo, Mattia si ritrovò a sussultare. Strinse gli occhi. Non era sicuro di averla vista davvero, ma per sicurezza si avvicinò all'uscita.
Dovette sforzarsi per non ridere.
Hoshino girava e rigirava su se stessa, col telefono in mano alla disperata ricerca di campo. Questo gli permise di vederla per bene.
Al posto del solito tailleur formale, Hoshino indossava una gonna lunga fino a metà polpaccio, che in quel momento le si stava avvolgendo attorno alle gambe, e una blusa pastello che le lasciava un poco scoperte le spalle.
Il ticchettio dei suoi bassi tacchi sul selciato superava il mormorio della ragazza, che continuava a fissare il cellulare.
In quel momento, a Mattia vennero in mente tutti i commenti di Romeo, anche se, guardando verso il volto della ragazza, li riassunse in un unico pensiero.
Hoshino Suzune era carina, più carina che bella. E un po' imbranata.
Mentre Mattia ne ammirava il collo sottile e i corti capelli nerissimi raccolti in uno chignon, la ragazza mise un piede in fallo.
Quello, e la spinta di un corpulento turista tedesco, per poco non la fecero cadere. Nel ritrovare l'equilibrio, i loro sguardi si incrociarono.
Arrossirono entrambi. Mattia aveva la lingua stretta tra i denti, per non ridere, ma sospettava che Suzune avesse le guance color peperone per un altro motivo.
«Konnichiwa» disse la ragazza, recuperando lesta l'equilibrio. «volevo dire... buongiorno».
Mattia sorrise, con la lingua dolorante.
«Buongiorno anche a te, Hoshino». La mente del ragazzo era in subbuglio per un attimo, e non ricordava di preciso che suffisso avrebbe dovuto usare. Per fortuna stavano parlando in italiano, quindi era salvo.
Vedendo avvicinarsi un branco di turisti francesi, Mattia decise di spostarsi verso delle panchine lì vicino.
«Sei in anticipo». Disse, quando furono a debita distanza dalla stazione.
«Sì... ho problemi con gli autobus, e devo prendere la mano con la metro».
«Come tutti» Mattia rise. «Tutte le strade portano a Roma, e qua si ingarbugliano».
L'altra annuì.
Il silenzio regnò tra di loro per qualche momento.
«Allora, è la tua prima volta a Roma, giusto? C'è qualcosa che vorresti vedere?» chiese il ragazzo, deciso a non tirare in ballo il lavoro, ma nemmeno a mostrarsi invadente nel chiederle cose troppo personali.
Hoshino non ci pensò a lungo.
«Il Colosseo! Decisamente il Colosseo! Da quando l'ho visto in foto, ho sempre sognato di visitarlo!» negli occhi della ragazza, Mattia vide così tanto interesse che per un istante fu convinto di fissare due piccoli soli.
E di provare invidia per un monumento, anche se non capiva perché.
«"Vedo 'a maestà der Colosseo... vedo 'a santità der Cuppolone..."» canticchiò quasi senza volerlo il ragazzo, con Hoshino accanto che inclinava la testa, sorridendo.
Pareva quasi una gatta davanti a un nuovo gioco.
«Vedi la... cosa?» chiese la ragazza, ridacchiando sotto i baffi.
Mattia avrebbe volentieri voluto seppellirsi.
Ma, guardando dritto davanti a lui per evitare il suo sguardo, iniziò a spiegare.
«San Pietro, la basilica, ha una cupola molto grande, e quindi... qua la chiamiamo "er Cuppolone"».
Hoshino annuì, contenta, e preso il telefono iniziò a digitare, le dita che scivolavano sulla tastiera a una velocità impressionante.
«Scusami, me lo scrivo così non mi dimentico» la ragazza parve quasi scusarsi. «Ho un'amica in Giappone appassionata di viaggi, e quando verrà a trovarmi voglio poterle spiegare tutto per filo e per segno».
Con una scintilla di orgoglio nel petto, Mattia si concesse un sorriso. Era sicuro delle sue doti di guida turistica, e soprattutto confidava nel fatto che poche città al mondo potessero eguagliare Roma.
«Ah, a proposito!» Hoshino schioccò le dita «Che vuol dire "mineta"?»
Mattia rimase così di stucco che per un istante si dimenticò come respirare.
Forse aveva capito male, perché non poteva essere logico che Hoshino chiedesse a lui il significato di un termine giapponese. E poi, non capiva nemmeno perché la ragazza avesse tirato fuori quella parola dal nulla.
«In che senso?» fu tutto quello che riuscì a dire, preso alla sprovvista davanti allo sguardo curioso dell'altra.
«Ecco... non sono sicurissima sia quella la parola, ma ho sentito Prietti-san dirla più volte in ufficio. Nemmeno Kichan è riuscita a capire cosa voglia dire».
Quel dettaglio mandò un lungo brivido lungo la schiena di Mattia.
Se Hoshino aveva sentito quella parola da Romeo, che la ragazza continuava a chiamare per cognome, quasi certamente era una qualche forma di insulto, o magari il termine dialettale per Dio solo sapeva quale parte del corpo.
«Ti ricordi, più o meno, in che tipo di frase la usava?» il ragazzo provò a prendere tempo, implorando che Lorena si sbrigasse ad arrivare.
Hoshino chiuse gli occhi, mettendosi due dita sul mento nel riflettere.
Lo faceva anche in ufficio, e per un istante Mattia si perse a seguirne il profilo delicato del mento e del collo, dimentico di ogni ambiguità linguistica.
«Ecco! Quello che ha detto quel ragazzo lì!» Hoshino aprì gli occhi di scatto, indicando col capo due persone in strada.
Mattia avrebbe voluto sprofondare.
«A fijo de 'na mignotta!» stava urlando un automobilista a un pedone, dopo aver frenato di colpo per non investirlo.
«Li mortacci tua!» rispose il ragazzo, accompagnando le parole con un gesto eloquente.
Hoshino seguiva la cosa con interesse, il mento stretto tra le dita della mano destra.
«Quindi è così che si risponde! Però Ranalli-san non lo dice mai a Prietti-san...»
«Meglio se non lo dici» Mattia si fece forza. «Insomma... serve essere molto in confidenza per usarlo... bene; diciamo... che di base è un insulto, ma... ma tra amici ogni tanto lo si usa come... come scherzo».
Hoshino inclinò la testa di lato, il volto una maschera di confusione.
«Un insulto che si può usare come scherzo? Com'è possibile?» Mattia avrebbe tanto voluto rispondere. «Ma, comunque, cosa... vorrebbe dire?»
Il ragazzo ripassò tutto il dizionario italiano, alla frenetica e disperata ricerca d'un qualche giro di parole per non rendere troppo oscena e crudele la definizione.
Stava per alzare bandiera bianca, quando finalmente arrivò la salvezza.
Nella forma di una manata che per poco non lo fece volare sul selciato.
«Allora? Finito di tubare?» Lorena era finalmente arrivata. Mattia poche volte era stato più felice di vederla.
«Tubare? Come i piccioni?» ormai Hoshino sembrava intenzionata a penetrare i misteri della lingua italiana.
Lorena ridacchiò, guardando maliziosa verso di lui. Mattia fu più veloce.
«Ci siamo tutti! Forza andiamo, il Colosseo ci aspetta!» per assicurarsi che la sorella non potesse dir nulla, prese per mano Hoshino e iniziò a muoversi verso il Circo Massimo.
Solo a metà strada, quando uscirono da un folto gruppo di turisti, si rese conto di cosa stava facendo.
Non ebbe il coraggio di girarsi e guardare la collega, ma intanto Lorena ne approfittò per superarli.
«Sarà proprio una giornata divertente...»
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